lunedì 27 dicembre 2010

Nun è Natale senza ‘o presepe




Un tempo, il Natale si aspettava costruendo il presepe.
Tutte le energie della famiglia si spendevano per la costruzione di casette, ponti, scale e castelli e con  i pochi risparmi si acquistava  un personaggio particolare.

Conservo ancora alcuni pezzi di quel lontano presepe, luogo della mia fanciullezza.
L’angioletto azzurro, da me tanto desiderato, fa ancora bella mostra di sé accanto alla capanna.



Col tempo ho capito che il presepe era allora lo specchio reale della vita, il contrasto tra la miseria  e l’opulenza.

Nel presepe si mangiava, si vendeva ciò che nella vita non si poteva avere, lunghe fila di salsicce che scarseggiavano si appendevano al banco del macellaio che faceva sfoggio di tutto ciò che si poteva desiderare e i personaggi portavano doni a  Gesù Bambino fortemente invidiato dai bambini che non avevano nulla.


Il presepe era il quartiere, il rione, il borgo, la quotidianità con la vivacità del mercato e dei personaggi  che animavano i luoghi.

Si faceva a gara a ricreare gli ambienti tipici del tempo. Si immaginavano, si inventavano ed ecco l’osteria con la ricca tavola imbandita, il venditore che gridava a squarciagola dal banco del pesce, il venditore di caldarroste e le ceste che contenevano  ciò che in tavola raramente compariva; l’ambiente dei pastori dove non poteva assolutamente mancare il pastore dormiente detto Benino; l’ambiente  contadino con l’aia e gli animali da cortile e poi, lo specchietto per il lago, il ruscello sotto il ponte, gli abeti innevati e la folla di persone che portavano i doni al Bambino. E lungo la discesa che conduceva a valle i ricchi Magi su cavalli o cammelli (come qualcuno vuole) col ricco seguito a contrastare la modestia del luogo in un incontro col magico e ricco Oriente.



Il presepe era ricchezza per ogni casa e ci si confrontava per scegliere il più bello. Presepi modesti, come si diceva, fatti alla buona anche se l’impegno era tanto ma che riflettevano la storia di ogni famiglia. Tale è rimasto per me, semplice, modesto, con personaggi in terracotta che ancora conservo con cura perché nessuno di essi si rompa, perché ad ognuno è legato un momento, un racconto.

Il presepe raccontava la storia del mondo, il contrasto sociale, l’attesa dell’Evento, del cambiamento, della rinascita di un nuovo mondo.
L’Alleluia accendeva le speranze di chi guardava con una sorta d’invidia gli abiti regali dei Magi che coperti di umiltà non disdegnavano di inginocchiarsi davanti a colui che era nato in una grotta e che portava un messaggio di fratellanza.
Quante speranze si nutrivano davanti alla grotta: di pace, di amore, di tolleranza, di uguaglianza e nei volti dei Magi, diversi, il mondo trovava la sua unità.




Continuo la tradizione del presepe, un filo che lega il mio presente al mio passato ma molte speranze sono svanite e il mondo non è migliorato.
Possiamo forse esaudire il desiderio di un giocattolo ma siamo diventati più poveri in termini di umanità.

Oggi il presepe si guarda con distrazione e non è più un invito a sperare. Forse perché abbiamo perso il senso dell’attesa?. Certo è che il suo significato è cambiato. Un tempo raccoglieva la famiglia, amici e parenti nella preparazione.
Forse perché non c’era altro!. Si aspettava la mezzanotte perché il Bambino nascesse. Una piccola mano nascondeva furtiva un foglietto nella mangiatoia per chiedere al Bambino che quella notte fosse buono anche con lei.
Tutto aveva allora un significato e mentre il Bambino nasceva, iniziava la processione e le scintille illuminavano  il cammino verso il piazzale della speranza.



Il presepe è pronto, venite a vederlo! Quest’anno sembra il monte Ararat. 
Io sono entusiasta! Forse si vedono troppo i fili delle luci! Non importa! Il presepe mi inonda la casa di ricordi, di sogni e di felicità.
Le tradizioni sono le nostre radici e perderle vorrebbe dire perdere una parte essenziale di noi: la memoria del tempo della nostra vita.

Vi piace? Mi guardano e si affannano a dire di sì. Chissà se ne capiscono il significato, il senso che ha per me. Forse è pretendere troppo e non glielo chiedo anche perché appartiene al mio tempo passato.
Ne apprezzano il lavoro, lo mostrano agli amici e io cerco di spiegare perché lo facciamo ancora e perché “nun è Natale senza ‘o  presepe”.



Ogni personaggio mi rievoca un volto, un momento, una storia e gli occhi mi diventano lucidi ma non voglio piangere oggi con loro devo e voglio vivere un’altra storia, la loro storia.
Le luci multicolori ne illuminano ogni angolo. Adoro le luci e i colori, un tempo scenario della mia fantasia e in quelle luci amo ancora perdermi nel ricordo di una poesia:

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne…

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla…

(da Le ciaramelle di Giovanni Pascoli)

Anna Lanzetta