lunedì 23 aprile 2018

Contro la violenza, la cultura

Luca della Robbia, La Grammatica


Il clima di violenza che imperversa nel nostro paese è diventato allarmante. La scuola paga il tributo più alto con atti di violenza perpetrati tra  gli stessi ragazzi  e contro  gli insegnanti. Il problema riguarda  l’intera società  e sollecita da parte di tutti un esame di coscienza e  una risposta a una serie di interrogativi.  Perché i ragazzi assumono tali comportamenti? Perché usano la violenza? Perché aggrediscono, picchiano e umiliano? Quali sono gli atteggiamenti di noi adulti nelle diverse sfere sociali? Siamo aperti al dialogo, all’ascolto e alla comunicazione? Sappiamo essere severi nell’impartire regole? Sappiamo dare affetto e amore? È difficile rispondere, basta guardarsi intorno per capire: la violenza imperversa in famiglia, verso le donne, verso i più deboli, i diversi, per paura, per ignoranza, per timore di dover cedere qualcosa, per il falso miraggio di essere qualcuno.  Ognuno di noi, nella propria sfera pubblica e privata, ha diritti e doveri, direttive  che regolano la vita civile e la convivenza dove fondamentali sono i valori che se adeguatamente osservati  ed impartiti,  concorrono ad una formazione consapevole dove i principi di solidarietà, uguaglianza, libertà, seminano civiltà e progresso. Siamo noi adulti gli esempi da seguire e alla nostra responsabilità non deviare nelle parole e nei comportamenti. Gli atti di violenza compiuti dai ragazzi sono intollerabili  ma prima di giudicarli dobbiamo interrogarci e capire se la famiglia, la scuola e l’intera società si  sono  adoprate per evitare che tali fatti accadessero. I ragazzi sono colpevoli della loro devianza,  ma  quale senso dare alla punizione? Si sa che in ogni circostanza è sempre  meglio curare che intervenire poi drasticamente. Siamo sicuri  che siano state attivate in ogni ambito  tutte le strategie possibili o abbiamo preferito che l’apparenza coprisse la sostanza lasciandola alla deriva?  E se il loro comportamento  fosse un  segnale di richiamo verso di noi? Abbiamo considerato i loro bisogni, le loro necessità, il desiderio di affettività, il dialogo, l’ascolto, la solitudine, contro il mutismo, il rifiuto, l’indifferenza? Abbiamo tentato di sottrarli alla noia? Ne abbiamo curato l’inserimento e la partecipazione offrendo loro prospettive  dove la comunicazione diventa valore irrinunciabile?. La violenza è sintomo di disagio, di malessere, di dispersione, di isolamento, di allontanamento dalla famiglia e dalla scuola,  di false prospettive.  Contrapponiamo alla violenza e alla punizione la cultura. I ragazzi hanno bisogno di autostima, di fiducia, di valori in cui l’essere sconfigge l’avere, la presunzione, la prepotenza, la sopraffazione e l’emarginazione. La cultura  è l’unico strumento capace di alimentare la mente e lo spirito con il culto della bellezza che ci circonda e con i messaggi educativi che ci trasmette. La violenza è sinonimo di fragilità in cui ogni valore viene sopraffatto dal desiderio di essere eroi, di valere e di farsi valere. Se non vogliamo perdere i nostri ragazzi utilizziamo le armi del sapere, della conoscenza, della fiducia, dell’inserimento, della pazienza, del sostegno fisico, psicologico e morale. Non c’è da meravigliarsi se si è rotto il rapporto tra insegnante e studente, basta guardare il contesto scuola per capirne il cambiamento spesso negativo, e nonostante gli sforzi degli insegnanti,  che non godono più del prestigio dovuto, mostra le sue fragilità, diventando un terreno facile dove al posto della cultura il ragazzo preferisce la violenza per fare mostra di sé.  Bisogna rispondere a questi quesiti e intervenire tempestivamente con progetti di recupero non semplici ma possibili. Insieme possiamo  intervenire sulle nostre disattenzioni  con un comportamento corretto  nell’agire e nel comunicare, memori che ogni nostro gesto è un insegnamento. Ogni ragazzo che si perde è una sconfitta imperdonabile. Il dovere di noi educatori in ogni ambito sociale ci spinge a unirci e ad armarci di volontà e di tenacia per impedire che il problema diventi irreparabile. Abbiamo tutti  bisogno di una società più giusta, di calore umano e di  un futuro che inglobi i giovani in modo attivo e interattivo. Abbiamo bisogno di potenziare la scuola come elemento centrale della società, con leggi mirate al benessere di tutti i componenti. Abbiamo bisogno di risentire pulsare il nostro cuore e di riappropriarci di termini come: dignità e rispetto. Abbiamo bisogno di sentire pulsare il cuore dei nostri ragazzi,  perché componenti il nostro domani  e infondere in loro la speranza di  essere  protagonisti. La riflessione ci aiuta a guardare oltre le cose e ad agire con circospezione e razionalità. Facciamo in modo che al momento  la punizione non si muti in un boomerang di colpevolezza verso di noi e che il bullismo non canti una triste vittoria.


lunedì 16 aprile 2018

Il culto dell’immagine



                                             Botero: Danseuse 


Uno dei problemi che tocca da vicino il mondo giovanile è il culto della bellezza e della perfezione. Siamo dunque diventati figli dell’immagine, dell’apparire, del sembrare? Tale è ciò che si percepisce, guardandosi intorno. Alla richiesta incessante del cellulare, precocemente avanzata, si è aggiunta la richiesta di “rifarsi”, frutto della propaganda filtrata attraverso ragazze bellissime, perfette in tutti i connotati anatomici, tale da far sentire inferiore o addirittura diversa chi non è tale. Non si può fare carriera, ci vuole presenza; non basta l’intelligenza, ci vuole la velina; che poi abbia tanto di cervello, non interessa nessuno; ci vuole la prestanza, il fisico adatto, un bel seno e altro, tutto perfetto altrimenti non entri, non sei guardata, non sei richiesta; un messaggio subdolo,  non rispondente al vero, da cui pochi si salvano,  ma che passa e che viene assorbito da chi in età giovanile non ha ancora un’identità definita, che non riesce a sottrarsi a tali messaggi, che guardandosi allo specchio non sa accettare il proprio corpo, perché mancano cinque centimetri di altezza, c’è  più del peso necessario, che giudica troppo piccolo il proprio seno.
Importanti sono i sedici anni; si è già da tempo donne, si incomincia a definire la propria personalità, ma invece di rivolgere lo sguardo verso se stessi, a prendere contatto col proprio corpo e a diventarne complici, a scoprire in esso le pulsioni dell’amore, di quel sentimento che nulla ha a che fare con la bellezza artificialmente costruita, a capire che la bellezza è altro, che si può catturare uno sguardo col cuore, che esistono sentimenti veri che nulla hanno da spartire col bisturi, a sedici anni oggi si chiede in regalo di “rifarsi”. E qui crolla il mondo degli adulti,  spesso consenzienti perché certi di regalare la  felicità. È questo oggi l’aspetto più deteriore  di una società che ha fatto dell’immagine un culto, senza considerare il danno irreparabile che tale idolatria provoca  sui giovani: rapporto col cibo e di qui l’anoressia, il rifiuto di se stessi, il confronto, l’invidia, l’isolamento, la selezione;  giornali, strumenti mediatici, trasmissioni televisive, pubblicità, tutto parla di immagini che inneggiano al culto del corpo, in modo spudorato, senza la minima considerazione di ciò che esse provocano e dei danni irreparabili che ne conseguono. Argomenti questi importantissimi,  che riguardano il mondo giovanile, al maschile e al femminile, e che devono essere affrontati insieme in ogni sfera sociale, dalla famiglia alla scuola, per demolire i falsi miti che imperversano, per insegnare a maschi e femmine, fin da piccoli, inseriti nella stessa  classe,  il rispetto delle identità, dell’unicità e della reciprocità; dimostrando col dialogo  che quelle immagini sono soltanto una mistificazione della realtà,  che l’omologazione annulla l’identità, che la società è bella perché è varia nei suoi modelli, che un’imperfezione può essere il miglior indice di gradevolezza, che il concetto di perfezione esasperato, può portare ad altre forme di degenerazione, come la storia stessa ci insegna.