lunedì 29 ottobre 2012

Il lavoro duro e oscuro dell’insegnante





La scuola nell’antica Roma


Non so quando si capirà nè chi avrà la lungimiranza di capire che il lavoro dell’insegnante supera e di gran lunga le 18 ore settimanali. Chi dice che devono essere aumentate non conosce affatto come è strutturato il lavoro di un insegnante, le cui 18 ore sono soltanto l’ultimo atto di un processo che lo vede prima artefice di ricerche, di aggiornamento, di approfondimento e di una lunga preparazione. E questo solo per citare una parte di quel lavoro che nessuno conosce. La vera scuola è quella che si vive prima da soli e poi nella realtà quotidiana dell'aula, dove tutti vogliono mettere mano senza rendersi conto che chi non la vive non la può gestire. Duro e oscuro è il lavoro di chi insegna con il cuore, con quel sentimento che senti nascerti dentro ogni mattina quando varchi la soglia di quella scuola dove sei stato destinato e il loro sorriso e le loro attese ti fanno dimenticare che ti pagano poco, che non hai il necessario per “nutrirli” di cultura, che sei da sempre maltrattato; consapevole però che il tuo è il lavoro più bello, perché è il supporto fondamentale di una società che purtroppo dimostra di non comprenderne il senso né di capire il perché di tanti sacrifici, di tante ore che ogni insegnante, per deontologia, dedica alla ricerca personale per individuare le metodologie idonee a raggiungere gli obiettivi prefissati: un insegnamento differenziato. Grande è il contributo che dà l'insegnante per la crescita culturale ma non si sente ripagato perchè nulla si muove in termini economici e di stabilità, perchè si guarda solo all’esteriorità del suo lavoro e non si pensa al domani di chi da troppi anni attende in un eterno precariato e non vede uno spiraglio di luce, di chi non può gestire il proprio futuro, di chi sopporta stipendi inadeguati, di chi si affanna per recuperarne quanti ne può di quei visi che lo guardano speranzosi; molti saranno selezionati perché sono molti specialmente nelle prime classi delle superiori e l’autoselezione, l’abbandono e il disagio sono già un fallimento irreparabile.

Perché non sanare prima queste problematiche annose che dimostrano il livello di scarsa considerazione in cui è tenuta la scuola? Perché non dare la dovuta dignità all’insegnante? Quando si capirà che il futuro di un paese è nella scuola?


Anna Lanzetta,
responsabile della Sezione Didattica Associazione Culturale MULTIMEDIA 91

venerdì 12 ottobre 2012

Il figlio conteso






“I bambini ci guardano”, è questo il titolo di un film in cui chiara era la condizione di disagio dell’infanzia. Quelle immagini indelebili nei nostri occhi sembravano appartenere a un altro tempo.

Purtroppo nulla è cambiato e nonostante gli sforzi per migliorarne la condizione, permane lo stato di disagio in cui vive l’infanzia vuoi per la società disattenta ai suoi bisogni, vuoi per la scuola impossibilitata a sopperire alle sue necessità, vuoi per la famiglia, che per cause varie e negligenza non dà ciò che i ragazzi chiedono: amore, affetto, rispetto.

Il caso del ragazzo conteso dai genitori in provincia di Padova, ripropone l’annoso problema dell’infanzia violata. L’aspetto più grave è che la violenza, ultimo atto della contesa tra i genitori è avvenuta in maniera plateale, basta vedere il video, senza che nessuno ne considerasse minimamente le conseguenze a livello fisico e psicologico. È raccapricciante vedere il modo in cui il ragazzo viene portato via, e ancora più grave perché il fatto avviene davanti alla scuola, alla presenza di altri bambini e ragazzi. Non vogliamo indagare, né ci compete, ma smuove il nostro sentimento la condizione vissuta dal ragazzo e ci colpisce a livello educativo, la sua età. A dieci anni l’età si evolve, inizia quel cambiamento fisico e psicologico che apre un nuovo percorso di vita, in cui l’adulto diventa il modello fondamentale. Ma quale visione della vita attende questo ragazzo che si sentirà diverso dagli altri coetanei per ciò che da anni vive, una situazione familiare nella quale è coinvolto non per altre colpe se non per esservi nato. Un ragazzo tradito e offeso nella sua dignità da quanti sono stati coinvolti nella vicenda. E l’intelligenza dei genitori? E il rispetto verso il proprio figlio?. Affidiamo quanti hanno partecipato a questa azione al tribunale della propria coscienza.

Il dissenso è unanime. L’aspetto più sconcertante della vicenda, al di là di ogni giudizio, è quello di aver considerato il ragazzo come “oggetto” a fronte di ogni sistema educativo. L’adulto è colpevole senza possibilità di appello. In una società che si stenta a rattoppare, noi adulti perseveriamo nell’egoismo. Tanti bambini maltrattati dentro e fuori del nostro territorio non ci insegnano a crescere, a cambiare, a porci di fronte alle nostre responsabilità, a capire che la violenza genera violenza, un sistema di agire molto grave in un mondo già in bilico.


 

Anna Lanzetta




lunedì 8 ottobre 2012

La scodella negata




Kathe Kollwitz (Königsberg, 1867- Moritzburg, 1945)


Già in un mio precedente articolo pubblicato sulla rivista Tellusfolio.it, meravigliata e offesa, esprimevo il mio più profondo disappunto verso una decisione che stentavo a leggere e a comprendere. Si trattava allora del sindaco di Adro che aveva vietato l’accesso alla mensa ai bambini, i cui genitori risultavano insolventi. Suppongo che il seguito sia noto a tutti e per fortuna benefattori ce ne sono a risollevare le sorti degli indigenti anche se poi ricevono atteggiamenti ostili. Allora dissi che il sole di Adro non brillava perché il sole, simbolo di vita, non può illuminare chi è privo di lungimiranza sociale e agisce contro l’infanzia che ha indifferentemente come colore: il bianco puro dell’innocenza.
Pensavo che nulla di così vergognoso si sarebbe più ripetuto ma ecco che si affaccia a turbare i nostri sogni il sindaco di Vigevano che in maniera ancora più eclatante vieta la mensa ai bambini perché i genitori , per mancanza di risorse, non hanno provveduto al pagamento.  
L’azione in questo momento di crisi di valori che investe l’Italia è ancora più grave, perché nega il principio di solidarietà.
In un’Italia, in cui la corruzione dilaga a dismisura e ci copre tutti di vergogna, c’è qualcuno che nega ai bambini di sedersi a mensa, incurante delle famiglie, degli insegnanti, preoccupato di ritagliare uno spazio per chi dovrà, e se potrà, mangiare un panino, col pericolo che se la porta di accesso alla mensa sarà semiaperta guarderà chi mangerà un pasto diverso dal suo e vedrà un paese diviso irrimediabilmente tra chi ha e chi non ha. Certamente sfuggono a chi opera in tal senso i principi dell’istruzione e dell’educazione alla convivenza.

Tutto questo a scuola, tempio della formazione!.

Con tali premesse, quale domani possiamo sperare perché la società sia più equa e più giusta? Quale rinascita per il nostro paese affidato un giorno alle nuove generazioni? Quale coscienza del vivere civile? A quale morale appellarci?.
Spero che forte si levi il grido di disappunto e che forte risuoni il “NO” di tutti noi indistintamente.
Se in un’Italia del più bieco consumismo, gestita da scialacquatori senza scrupoli, qualcuno pensa di salvaguardare i conti  in questo modo, abbiamo toccato veramente il fondo di una società dove a pagare sono sempre i più deboli e specialmente i bambini.
Nessuna giustificazione è accettabile perché ci sono sempre rimedi alternativi,  se c’è la volontà di cercarli e di applicarli.

Queste azioni, indice di negligenza e di irrazionalità, prive di quel senso di umanità e di rispetto, che tanto si declama ma che non tutti applicano non aiutano la risalita di un paese profondamente in crisi. Esse risultano degradanti per chi le mette in atto e per chi le subisce, e invitano tutti noi a dire “NO” per la difesa della dignità di ogni individuo e dell’infanzia in particolare.


Per l'articolo menzionato, vedi: TellusFolio > Scuola > Notizie e commenti
Anna Lanzetta. Il “sole” è vita, ma non il “sole di Adro”
14 Ottobre 2010