lunedì 31 dicembre 2018

Buon Anno



Con l’augurio che il 2019 sia per tutti, vicini e lontani, fecondo di luce e di affetto  e che ogni cuore gioisca per il  fratello che sorride speranzoso.

  
Il fiore della speranza  

sabato 22 dicembre 2018

Buon Natale







Auguri per un Natale
che apra i nostri cuori
all’amore e all’accoglienza

 



martedì 18 dicembre 2018

Mucha. Artista della bellezza



Mi piace visitare le mostre sia per curiosità che per passione verso l’arte. Ed è stata la curiosità che mi ha spinta a visitare la mostra dell’artista ceco Alphonse Mucha (1860-1939),  ospitata a Bologna, nelle sale settecentesche di Palazzo Pallavicini,  dal 29/9 al 20/1.
La retrospettiva, composta da 80 opere, traccia l’evoluzione artistica di Mucha e i suoi cambiamenti stilistici, coinvolgendo il visitatore con un acceso gusto di armonie tra forme e colori.
Le didascalie,  chiare ed esaustive,  ne raccontano l’iter di vita e di arte da Ivančice, in Moravia, suo paese natale, in altre città come Parigi, dove era presente  una comunità boema e dove  Mucha frequentò amici  quali   Paul Gauguin,  Camille Claudel e Louis-Joseph-Raphaël Collin da cui trasse influssi per l’arte giapponese, presente nelle sue stesse opere.
La mostra si apre  con Gismonda, il primo manifesto disegnato da Mucha per Sarah Bernhardt, che egli trasforma in una dea bizantina.  Manifesti che rendevano sublime  l’immagine dell’attrice in un equilibrio tra semplicità e dettaglio. Dato l’enorme successo, Mucha produsse altri manifesti per la
-divina- nelle vesti di   Lorenzaccio (1896), La dama delle camelie (1896) e la Samaritana (1897).  L’impatto visivo delle sue opere è notevole per l’originalità del suo stile e la novità nel rappresentare la donna con la sua elegante forma allungata nei delicati toni pastello. Il successo raggiunto gli procurò commissioni per manifesti pubblicitari per marche famose come JOB (carta per sigarette) o Lefèvre-Utile (biscotti).   




Il tratteggio, le forme ondulate e la cura dei particolari evidenziano una simbiosi con la natura, specialmente nell’ampio uso floreale. Arte e natura si intrecciano in elementi suggestivi quali  uccelli e fiori che in una molteplice varietà guidano l’occhio attento sulle forme perfette e sui colori  pastello mai aggressivi che quasi ondeggiano come le vesti leggere, sottili, appena coprenti  o i capelli, le cui acconciature riportano ad altri tempi. Tutto concorre ad evidenziare le curve perfette dove si esemplifica il  concetto di  bellezza: delicata,  incorporea e irreale, fulcro centrale dell’arte di Mucha, ora espressiva, ora simbolica e suggestiva. 
Artista molto apprezzato nella Parigi fin-de-siècle, per le sue  composizioni armoniose e per gli elementi caratterizzanti l’emergente stile decorativo del periodo, Mucha viene  annoverato con Gustav Klimt, tra i più grandi interpreti dell'Art Nouveau (o Liberty). Apparentemente lineare, la mostra offre spunti di approfondimento e di riflessione. Di sala in sala gli elementi si caricano di nuovi significati, da rappresentativi diventano  simbolici come nel rapporto con la natura dove fanciulle deliziose nelle vesti delle stagioni,  indicano nella fisionomia il trascorrere del tempo o la rappresentazione delle Arti. Mucha mutua attraverso la sua esperienza il concetto stesso di arte, giungendo alla conclusione che l’obiettivo ultimo dell’arte è  l’espressione della bellezza, che può a suo parere essere raggiunta solo attraverso l’armonia tra idee, messaggi e la loro rappresentazione. L’arte deve arrivare al popolo e moltissimi furono i manifesti pubblicitari, esempi di arte destinata a un vasto pubblico  che egli così commenta “Sono stato felice di essere coinvolto in una forma d’arte destinata alla gente e non ai soli salotti eleganti. Arte poco costosa, accessibile al grande pubblico e che ha trovato dimora nelle abitazioni più povere così come nei circoli più influenti.”



Il percorso si snoda attraverso cambiamenti di stile, ed evidenzia i mutamenti dell’esperienza artistica di Mucha che nel 1910 ritornò in patria per impegnarsi per la libertà del suo Paese e ove compose Epopea slava (1912-1926) ed altre opere tese ad ispirare l’unità dei popoli slavi.
Si spegnerà a Praga il 14 luglio 1939.
Lo stile di Mucha è unico,  inimitabile e originale,  definito a ragione -le style Mucha-, artista della bellezza.


giovedì 13 dicembre 2018

Omaggio a Matera 3. Capitale Europea della Cultura per il 2019


Chiesa di Santa Lucia alle Malve
È passeggiando per le strade di Matera tra la parte antica e quella moderna che se ne  respira la vita e se ne vive la storia che si perde nel tempo. Palazzi signorili, chiese, conventi e nuovi insediamenti indicano l’evoluzione e i mutamenti della città nelle varie epoche. Notevolissimi nelle chiese rupestri sono gli affreschi bizantini ma anche altri stili godono di un fascino inconfondibile come il gotico e il barocco. La facciata della Cattedrale di Sant’Eustachio, in stile romanico-pugliese (1230-1270), è dominata dalla statua della Madonna della Bruna. La facciata laterale su piazza Duomo ha due porte, la più interessante, finemente lavorata a ricamo, è detta dei “leoni” per due sculture leonine presenti alla base. L’artigianato, tipico nei colori fiammanti, ruba ad ogni passo l’attenzione. È andando per gradinate e salite scoscese che si visitano le chiese rupestri con i meravigliosi affreschi, le cripte e le straordinarie antiche dimore dei Sassi, come la Casa Grotta di Vico Solitario, il cui interno, arredato col gusto povero di una volta, mobili e utensili artigianali d’epoca, offre l’opportunità per rendersi conto di come si viveva  nelle case dei Sassi: un unico letto dove si dormiva a turno, la culla per il più piccolo, il telaio per tessere, l’indispensabile per sopravvivere.
Le chiese rupestri, veri gioielli incastonati in uno scrigno di pietra millenaria, sono preziose eredità dei monaci bizantini e benedettini insediatisi nell'area nell'alto Medioevo. Nate come luogo di culto,  successivamente sono diventate abitazioni o ricoveri per animali fino al loro restauro. È incredibile la presenza di vere opere d’arte in esse; affreschi che seppur in parte danneggiati, ci riportano ad una cultura longobarda, ma anche bizantina, dipinti che malgrado il passare degli anni, mantengono la loro bellezza per la particolare tecnica utilizzata.
La chiesa di Santa Lucia alle Malve, (dal nome della pianta spontanea che cresce abbondantemente nei dintorni), situata presso il Sasso Caveoso, il cui scavo viene datato intorno al IX secolo d. C. è il primo insediamento monastico femminile dell’Ordine benedettino. Dal 1525 fino al 1960, fu utilizzata come abitazione. L'interno, a tre navate, presenta numerosi affreschi datati a partire dal 1200, che ancora in parte decorano le pareti della navata, e che, dopo i restauri, sono ritornati all’originale splendore; da notare la bellissima Madonna del Latte, datata intorno al 1270. La vergine è raffigurata a seno scoperto, colta nell’atto di allattare il proprio figlio, a dimostrare al mondo anche la natura umana di Cristo. Nel significato cristiano: Gesù è vero Dio e vero Uomo; e la Vergine regina del mondo, madre non solo di Cristo ma dell’intera umanità. L’immagine richiama quella di Iside intenta ad allattare il figlio Horus nell’Antico Egitto. Rappresentazioni di Maria Lactans le ritroviamo nell’Egitto copto, diffuse poi nelle chiese orientali, nell’arte bizantina fino ad arrivare in occidente.
Molti sono i simboli allegorici rappresentati nelle opere come il dipinto: la Madonna della Melagrana della piccola chiesa Madonna delle tre porte (per i tre ingressi). La melagrana è un frutto che compare spesso nelle raffigurazioni pittoriche, sia sacre che profane. Nel Medioevo diventa simbolo di Resurrezione e di vita, di castità e purezza e viene raffigurato nelle immagini sacre.
Il territorio materano è unico e suggestivo dove ogni angolo, ogni pietra, ogni caverna, riporta a un passato molto remoto e non a caso ha richiamato registi come Mel Gibson per The Passion of the Christ (2004) i cui esterni furono girati a Matera e a Craco, oggi città fantasma, e Pier Paolo Pasolini per Il Vangelo secondo Matteo (1964). Visitare Matera è come entrare in un altro mondo, in una realtà che ci riporta indietro tra nostalgia e malinconia. Matera è una città che ha combattuto contro il tempo, che non si è arresa all’abbandono e all’incuria, che consapevole del grande patrimonio che rappresenta si è conservata per testimoniare a tutti la propria storia. Grazie all’impegno di quanti si sono prodigati e specialmente dei giovani, Matera è risorta dal suo passato e oggi mostra al mondo il suo inestimabile patrimonio
Matera è stata scelta come Capitale Europea della Cultura per il 2019. Una scelta che ci rende orgogliosi del nostro territorio che tuttavia ci chiede incessantemente protezione, tutela e rispetto.
Si conclude il nostro viaggio a Matera, una città che lascia nel cuore un desiderio inestinguibile di ritornare che il tempo può soltanto moltiplicare.

venerdì 7 dicembre 2018

Il valore delle tradizioni. Sarno, 8 dicembre Festa dell’Immacolata Concezione




Ritornare al paese è sempre un’emozione che aumenta il fascino delle proprie radici e rafforza a distanza di anni quel rapporto di appartenenza che nel tempo si nutre di ricordi. È forte il richiamo di ogni ricorrenza che diventa tassello irrinunciabile della propria vita. La ricorrenza dell’Immacolata  Concezione a Sarno segna uno dei momenti più emozionanti  per chi vive lontano tra ricordi e presenze che il tempo ha portato via. Prende vita nella memoria quella piccola mano guidata con amore per seguire, vedere e ricordare e nel ricordo sfuma il dagherrotipo di un volto amato in un afflato affettivo che nessun tempo cancella. Tanti anni sono passati ma vivo resta il ricordo di come eravamo nella semplicità dei gesti legati alle tradizioni. Un paese vive se si mantengono e si tramandano usi e costumi che lo caratterizzano.

È bello ritornare e rivivere l’emozione di un tempo lontano ma vivo nel cuore e ravvisare in esso volti che si contornano solo nel ricordo.

È bello ritornare al Paese l’8 dicembre  per rendere omaggio  alla Vergine Immacolata, Vergine pura, termine elegiaco come il volto  che l’artista ha raffigurato. La ricorrenza dà lustro al luogo. La chiesa è aperta fin dalle prime ore del mattino e la piazza si anima e prende vita man mano che ogni angolo  viene occupato da persone che accorrono per rendere onore alla Vergine che con una grande festa viene omaggiata  mentre  nell’attesa, davanti alla chiesa, vengono offerti pezzi di mostaccioli, di rococò e sorsi di anice.

L’attesa è emozionante, piazza M. Capua  è gremita ed ecco che  la statua dell’Immacolata  appare sotto il portale della chiesa omonima simile a una veneranda madre. Scolpita in legno d’ulivo dallo scultore napoletano Gaetano Catalano, nel 1696, appare come una regina portata in trionfo da molte braccia. Ha il  volto bellissimo, con gli occhi rivolti al cielo quasi ad implorare -misericordia- nell’atteggiamento carezzevole e appassionato di chi  ama dialogare col proprio popolo che per l’occasione  accorre anche dai dintorni.  Vestita con un abito in stile ‘600 napoletano, la Vergine appare in tutta la sua bellezza e solennità. Chiaro è il significato dei  simboli che la caratterizzano: le stelle presenti sul Suo capo e sul Suo manto annunciano la presenza dei cieli e quindi di Dio ma indicano anche la resurrezione e l’eternità. Il colore azzurro del manto, simbolo di spiritualità, richiama la profondità del cielo e del mare in una congiunzione infinita. La luna  posta ai suoi piedi  ricorda il divenire dell’uomo e la sua caducità protetto dall’Immacolata, Madre del Cielo.

Scortata dalle autorità e preceduta dalla banda musicale, adagiata su un letto di fiori attraversa  le strade del paese quasi a voler  parlare a tutti e dire che c’è tanto bisogno di amore e di compassione; un invito silenzioso perché ognuno colga la purezza delle parole non dette ma sentite nel cuore e  diffonda il messaggio di pace, di amore e di solidarietà di cui il mondo ha  tanto bisogno.

Ritornare alla semplicità e alla  bellezza  dei sentimenti è emozionante e questi momenti ci accomunano e ci rendono tutti più buoni, più disponibili, pronti ad aprire le nostre porte in uno slancio fraterno dove anche chi è lontano dalla fede si sente sollecitato ad abbracciare il vicino e a provare quel sentimento francescano di grande fratellanza  che diventa il più bel messaggio da donare per il  Natale alle porte.

Sorretta da molte braccia, si ferma sul sagrato, un lungo applauso l’accoglie e tra la commozione di tutti inizia  la processione  che attraverserà il paese tra strade e piazze, aperta dalla banda musicale fino alla chiesa di San Francesco. La musica emoziona. Il corteo che la segue è infinito e ad ogni passo aumenta a dismisura tra la calca,  dove ognuno cerca una posizione per toccare le sue vesti, per una preghiera diretta, recitata in silenzio, per formulare in segreto una speranza.

La festa dell’Immacolata è antichissima  ed è attesa con grande fervore da persone di ogni età. È la rigenerazione spirituale e ogni tappa lungo il cammino segna l’iter mistico verso la casa di Dio. Si offre anche vino e cibo ai portantini, in segno di ospitalità che ci ha da sempre distinti verso i più bisognosi, un uso bellissimo  che oggi  viene spesso dimenticato

Tutto il paese si mobilita e gareggia per creare il tosello più bello. I rioni preparano un’accoglienza da regina a colei che ha il potere di riunire intorno a sé l’intero popolo di Sarno che non lesina perché ovunque ci siano canti, suoni, fuochi, colombe che segnano di bianco candore il cielo, mentre dai balconi parati a festa con le più belle coperte, preziose per i ricami, è un tripudio di coriandoli.

Il ogni piazza, in ogni spazio si allestisce il tosello o meglio “dosello”, un baldacchino riccamente addobbato a festa, con drappi e stoffe pregiate simile a un trono reale. Un termine che richiama i secoli del vice-regno spagnolo  e gli stessi rituali spagnoli  ma anche l’uso pagano di allestire l’are.

Ritornare e seguire il lungo corteo che accompagna l’Immacolata è ritornare indietro nel tempo e rivedere volti amici di coloro che hanno accompagnato parte della nostra vita e scoprire il vuoto di chi non è più presente.

lunedì 3 dicembre 2018

Omaggio a Matera /2 Capitale Europea della Cultura per il 2019

Cripta del Peccato Originale
Ogni Sasso di Matera affascina e rende interessante il territorio.
Poco distante dalla via Appia, in una delle gravine che solcano l’altopiano della Murgia Materana, fra vigne, ulivi e campi di grano, si trova uno dei luoghi più suggestivi del Sud Italia: la Cripta del Peccato Originale, una cavità naturale a strapiombo sulla Gravina di Picciano, tra le  più antiche testimonianze dell’arte rupestre del Mezzogiorno d’Italia, dove il Pittore  dei fiori di Matera, anonimo artista vissuto intorno al IX secolo, affrescò scene dell’Antico e del Nuovo Testamento in un ciclo risalente al IX sec. d.C. Per il valore teologico e artistico del compendio pittorico la chiesa-grotta è stata definita la Cappella Sistina della pittura parietale rupestre. Nella Grotta dei Pipistrelli, che si trova a circa 4 chilometri dal centro abitato, l’archeologo Domenico Ridola compì la sua prima esplorazione e ritrovò manufatti paleolitici. Nato a Ferrandina nel 1841 e morto a Matera nel 1932, Ridola condusse scavi importantissimi nel territorio, consentendo al Sud di uscire dal suo isolamento. Notevole è stata la sua ricerca per ricostruire le origini di Matera nel periodo Paleolitico e Neolitico. Così scrive << I miei scavatori mi dicevano di non andare alla "grott du mattivagghi", la grotta dei pipistrelli, perché non c'era niente là sotto. Avevano scavato già in tanti, per molti anni: sì, tiravano fuori ancora qualche cosa, qualche coccio, qualche punta di freccia, persino qualche osso, ma niente di più. Dovevo andare nella Grotta, dovevo rendermi conto di cosa si nascondesse dietro i pipistrelli. Sapevo bene che non esisteva il tesoro di Barbarossa". "Io cercavo, volevo trovare altro. Anzi, forse volevo solo capire, scavare per conoscere” (da La Città dell’uomo). "Un ritrovamento, tra i primi, che effettuai e che mi commosse fu quello di un focolare, il più grande, collocato in direzione dei primi raggi del sole nascente. Dunque la grotta non era stata sempre regno dei vampiri volanti: dunque la grotta era un luogo sacro per gli uomini antichissimi del Paleolitico. Sì, questo era un sito molto più antico di quanto nessuno avesse mai pensato".


La venerazione della Vergine, particolare di affresco, cripta del Peccato Originale

Il viaggio è conoscenza ed è un privilegio per il visitatore entrare nel cuore di un territorio guidato dalla voce di artisti, letterati e di quanti vi operarono. Giovanni Pascoli (1855-1912), giunse a Matera il 7 ottobre del 1882 per insegnare latino e greco nel locale Liceo Ginnasio. Nelle lettere che inviava alle sorelle Ida e Maria, scriveva: “Sono a Matera sin dalle ore prime antimeridiane del 7. Arrivai all’una dopo mezzanotte, dopo molto trabalzar di vettura, per vie selvagge, attraverso luoghi che io ho intravisto notturnamente, sinistramente belli.… Una città abbastanza bella, sebbene un poco lercia.” .“I contadini vanno vestiti nel loro simpatico ed antiquato costume e stanno tutto il giorno, specialmente oggi che è domenica, girelloni per la piazza. Hanno corti i brachieri e scarponi grossi senza tacco, una giacca corta e in testa un berrettino di cotone bianco e sopravi un cappello tondo. Sembrano che si siano buttati giù dal letto in fretta e furia, e si sian messi per distrazione il cappello sopra il berretto da notte”(7 ottobre 1882). “...ma in generale sto bene a Matera…sai di una cosa mi lagno:qui è troppo caro il vivere e l’alloggio e tira quasi sempre scirocco…(19 ottobre 1882). "Non c’è un libro qua, da vent’anni che c’e’ un Liceo a Matera, nessuno v’è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno d’un qualche libro; i professori pare che abbiano avuto tutti la scienza infusa; e perciò di libri non s’è n’è comprati. Ci vorrebbe forse un sussidio del governo, ma il Governo probabilmente non ne vorrà saper nulla".(1902, al Preside del Liceo di Matera Vincenzo Di Paolo). “Come mi giova, dopo una vita così torba tornare a cotesta serenità di pensiero e di parole, che avrei dovuto prendere da lei in quella povera città di trogloditi, in cui vissi così felice, sebbene così pensoso! Sì: delle città in cui sono stato, Matera è quella che mi sorride di più, quella che vedo meglio ancora, attraverso un velo di poesia e di malinconia” (5 ottobre 1883, a Giosuè Carducci).
Matera è una città da visitare più che da descrivere, perché è camminando per le sue strade che si  vive la suggestione di un’atmosfera che  occupa ogni pensiero e che pagina dopo pagina, sasso dopo sasso si sfoglia e racconta una storia antica che ogni visitatore cattura come un raggio. Bellissima è Matera al tramonto, quando si riveste di riflessi d’oro e di infinite luci che la mutano in un meraviglioso presepe e la  incoronano regina della storia.

Il nostro omaggio continua