venerdì 31 dicembre 2010

31 dicembre: dalle otto a mezzanotte


Il babà
«Siete proprio un babà…» «Sì, ma di quale tipo? Semplice, alla crema, alla panna? Lungo, tondo, a funtana? Secco, bagnato? Polacco, francese, napoletano?»*


Siamo nel regno di Napoli e con gli auguri di Buon Anno, presentiamo il cenone di Capodanno, aperto a tutte le varianti,   secondo gusto e tradizione:

Vermicielle a vongole ‘mbianche: vermicelli, aglio, vongole, olio, pepe, prezzemolo.

Spaghetti con le noci e peperoncino.

Cannolicchi, maruzzelle, telline e piatt ‘e cozzeche co’ limone.

Variante:
«Cimme ‘e vruoccole de foglie
Fritte dinto a la tiella
Co le ccape e la codella dem l’anguille e baccalà.
Doppo po li scule e magne
vermicielle prellebate”!»**

‘A ‘mpepata ‘e cozzeche (Cozze al pepe)

Cecinielle fritte (Bianchetti fritti): Sciacquate i bianchetti. Infarinateli, facendo attenzione a che la farina non si ammassi, quindi scuotete quella in eccesso e friggeteli in abbondante olio bollente.
Serviteli cosparsi di sale e pepe e adagiati su foglie di lattuga con accanto spicchi di limone.

Frittelle di neonata: bianchetti freschissimi, prezzemolo, pepe nero, sale, olio extra vergine per friggere.

«E po’ lo gran fritto mmisco
De l’anguille e de palaje,
Treglie, alice e grosse raje,
calamare e rarità!...»**
Fritte ‘e pesce: calamari, triglie, merluzzetti, gamberi, anguille e baccalà.

Capitone arrustutu
Per 4 persone: 2Kg. di capitoni, foglie d’alloro, limone,olio, sale, pepe.

Fritte ‘e anguille â scapece (anguille fritte con l’aceto)

Baccalà cu’ ‘a pastetta
Per 4 persone: 600gr. di baccalà, 1 pezzo di  lievito di birra, 250 gr. di farina, sale, olio per friggere.

Baccalà, aulive e chiapparielle (Baccalà con olive e capperi).

Cavolfiore all’insalata

‘A ‘menesta ‘e Natale e‘A ‘menestella con olio e limone

Insalata di rinforzo: 1 cavolfiore bollito, 500 gr. di peperoni all’aceto, 100 gr. di alici salate, 200 gr. di olive bianche, 100 gr. di olive nere, 2 misurini d’olio.

Olive, giardiniera, lupini, ‘o per e ‘u muss.

Zeppolelle
Zeppole di baccalà
Frittelle di cavolfiore

Vino locale rosso o di alta qualità.
Noci, nocelle, mandorle, datteri, pistacchi, castagne do’ monaco.


                                                                        Mostaccioli e rococò

Dolci: mostaccioli, rococò, susamielli, struffoli con vino liquoroso o fatto in casa.
«Già de struffole guarnite
Li vacile stanno chine, co geleppo e cannelline
caramelle nquantetà»


Gli struffoli


A mezzanotte: brindisi con spumante e panettone e, tutti su in terrazzo: lo spettacolo è a 360°, tutti i paesi della fascia vesuviana salutano con una miriade di fuochi pirotecnici il Nuovo Anno mentre la sagoma del Vesuvio, a intermittenza, appare e scompare maestosa e beata.





BUON ANNO


Anna Lanzetta

Testi da “Petrusino ògne menèsta” I veri sapori di Napoli.
** Da una prescrizione per il pranzo di Natale degli inizi dell’Ottocento del Cavalcanti.








lunedì 27 dicembre 2010

Nun è Natale senza ‘o presepe




Un tempo, il Natale si aspettava costruendo il presepe.
Tutte le energie della famiglia si spendevano per la costruzione di casette, ponti, scale e castelli e con  i pochi risparmi si acquistava  un personaggio particolare.

Conservo ancora alcuni pezzi di quel lontano presepe, luogo della mia fanciullezza.
L’angioletto azzurro, da me tanto desiderato, fa ancora bella mostra di sé accanto alla capanna.



Col tempo ho capito che il presepe era allora lo specchio reale della vita, il contrasto tra la miseria  e l’opulenza.

Nel presepe si mangiava, si vendeva ciò che nella vita non si poteva avere, lunghe fila di salsicce che scarseggiavano si appendevano al banco del macellaio che faceva sfoggio di tutto ciò che si poteva desiderare e i personaggi portavano doni a  Gesù Bambino fortemente invidiato dai bambini che non avevano nulla.


Il presepe era il quartiere, il rione, il borgo, la quotidianità con la vivacità del mercato e dei personaggi  che animavano i luoghi.

Si faceva a gara a ricreare gli ambienti tipici del tempo. Si immaginavano, si inventavano ed ecco l’osteria con la ricca tavola imbandita, il venditore che gridava a squarciagola dal banco del pesce, il venditore di caldarroste e le ceste che contenevano  ciò che in tavola raramente compariva; l’ambiente dei pastori dove non poteva assolutamente mancare il pastore dormiente detto Benino; l’ambiente  contadino con l’aia e gli animali da cortile e poi, lo specchietto per il lago, il ruscello sotto il ponte, gli abeti innevati e la folla di persone che portavano i doni al Bambino. E lungo la discesa che conduceva a valle i ricchi Magi su cavalli o cammelli (come qualcuno vuole) col ricco seguito a contrastare la modestia del luogo in un incontro col magico e ricco Oriente.



Il presepe era ricchezza per ogni casa e ci si confrontava per scegliere il più bello. Presepi modesti, come si diceva, fatti alla buona anche se l’impegno era tanto ma che riflettevano la storia di ogni famiglia. Tale è rimasto per me, semplice, modesto, con personaggi in terracotta che ancora conservo con cura perché nessuno di essi si rompa, perché ad ognuno è legato un momento, un racconto.

Il presepe raccontava la storia del mondo, il contrasto sociale, l’attesa dell’Evento, del cambiamento, della rinascita di un nuovo mondo.
L’Alleluia accendeva le speranze di chi guardava con una sorta d’invidia gli abiti regali dei Magi che coperti di umiltà non disdegnavano di inginocchiarsi davanti a colui che era nato in una grotta e che portava un messaggio di fratellanza.
Quante speranze si nutrivano davanti alla grotta: di pace, di amore, di tolleranza, di uguaglianza e nei volti dei Magi, diversi, il mondo trovava la sua unità.




Continuo la tradizione del presepe, un filo che lega il mio presente al mio passato ma molte speranze sono svanite e il mondo non è migliorato.
Possiamo forse esaudire il desiderio di un giocattolo ma siamo diventati più poveri in termini di umanità.

Oggi il presepe si guarda con distrazione e non è più un invito a sperare. Forse perché abbiamo perso il senso dell’attesa?. Certo è che il suo significato è cambiato. Un tempo raccoglieva la famiglia, amici e parenti nella preparazione.
Forse perché non c’era altro!. Si aspettava la mezzanotte perché il Bambino nascesse. Una piccola mano nascondeva furtiva un foglietto nella mangiatoia per chiedere al Bambino che quella notte fosse buono anche con lei.
Tutto aveva allora un significato e mentre il Bambino nasceva, iniziava la processione e le scintille illuminavano  il cammino verso il piazzale della speranza.



Il presepe è pronto, venite a vederlo! Quest’anno sembra il monte Ararat. 
Io sono entusiasta! Forse si vedono troppo i fili delle luci! Non importa! Il presepe mi inonda la casa di ricordi, di sogni e di felicità.
Le tradizioni sono le nostre radici e perderle vorrebbe dire perdere una parte essenziale di noi: la memoria del tempo della nostra vita.

Vi piace? Mi guardano e si affannano a dire di sì. Chissà se ne capiscono il significato, il senso che ha per me. Forse è pretendere troppo e non glielo chiedo anche perché appartiene al mio tempo passato.
Ne apprezzano il lavoro, lo mostrano agli amici e io cerco di spiegare perché lo facciamo ancora e perché “nun è Natale senza ‘o  presepe”.



Ogni personaggio mi rievoca un volto, un momento, una storia e gli occhi mi diventano lucidi ma non voglio piangere oggi con loro devo e voglio vivere un’altra storia, la loro storia.
Le luci multicolori ne illuminano ogni angolo. Adoro le luci e i colori, un tempo scenario della mia fantasia e in quelle luci amo ancora perdermi nel ricordo di una poesia:

Udii tra il sonno le ciaramelle,
ho udito un suono di ninne nanne.
Ci sono in cielo tutte le stelle,
ci sono i lumi nelle capanne…

Nel cielo azzurro tutte le stelle
paion restare come in attesa;
ed ecco alzare le ciaramelle
il loro dolce suono di chiesa;

suono di chiesa, suono di chiostro,
suono di casa, suono di culla,
suono di mamma, suono del nostro
dolce e passato pianger di nulla…

(da Le ciaramelle di Giovanni Pascoli)

Anna Lanzetta






giovedì 23 dicembre 2010

Buon Natale


Giotto, Basilica superiore di Assisi


Il presepe di Greccio esprime il senso di quell’umanità  di cui fu pregna la grande religiosità di San Francesco e la meravigliosa arte di Giotto che la rappresentò.

Ed è  con questo presepe che rivolgo a tutti  il mio augurio per un  mondo felice e sereno senza confini e senza colori stretto in un immenso abbraccio comune.

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio…Cari bambini, chiudete gli occhi e inventate una storia dove regni amore e amicizia…sarà la più bella!.


Buon Natale

Anna Lanzetta

lunedì 20 dicembre 2010

Firenze, una città in tilt



Il centro storico


Il Forte Belvedere 

Sono bastati 10 minuti perché la città, senza difese, si bloccasse in un’atmosfera apocalittica.
Tutto si è imbiancato e nel giro di poche ore, Firenze ha mutato aspetto: treni dei pendolari fermi, mezzi dell’Ataf  abbandonati, alberi dai grossi tronchi sradicati, rami spezzati,  abbattuti sulle macchine abbandonate da chi è stato costretto a raggiungere a piedi la propria abitazione.
Felici i bambini a giocare con le palle di neve, molto meno chi è stato costretto, a rischio di cadute, a una percorrenza di chilometri.
Certo che la neve regala scenografie incantevoli, dove la fantasia si può sbizzarrire a creare storie di gnomi e di folletti, o leggende costruite sotto il suo morbido manto perché la neve immacolata invita al rispetto e provoca una sorta di emozioni e suggestioni.
Un piede in fallo e la gamba ne esce madida fino al polpaccio. Quaranta cm di neve non sono un gioco. Un artista con penna e pennello si potrebbe perdere in tanto candore…ma per chi è rimasto 12 ore e più fermo in macchina, senza possibilità alternative avrà di certo pensato che 40 cm di neve non possono paralizzare una città e che bisogna essere assolutamente pronti all’emergenza perché nessuno imprechi contro la neve che scende ferma compatta e costante quasi a dire: perché non avete previsto in tempo il mio arrivo?
Le foto rendono lo scenario bello ma anche raccapricciante...


Piazzale Michelangelo


Via Senese


Palazzo Pitti


Il fiume Arno


Viale Michelangelo


Ritorno a casa per Via Martellini


sabato 18 dicembre 2010

Alle parole si deve rispetto


George Grosz (1893-1959), Giornata grigia

Le parole meritano rispetto e vanno utilizzate  con rispetto.
Quando ci rivolgiamo a qualcuno usiamo mettere insieme segni che nella loro combinazione formano le parole. Le parole  si caricano di significati, si trasformano in pensieri, in frasi, in detti che possono gratificare, colpire, offendere, condannare, diventare un boumerang quando chi le pronuncia non ne ha valutato, prima di pronunciarle, il peso. Tale è stato l’uso  della parola “vigliacco”,  che ripetuta più volte, con un tono irritato e risentito, ha suscitato in molti risentimento per il senso della parola e per chi l’ha pronunciata in una trasmissione televisiva come Annozero, davanti a un pubblico di giovani, rivolta a un giovane che, condivisibile o no, aveva il solo torto di esprimere democraticamente la propria opinione.
Niente di più triste e  deprecabile in un sistema educativo che trova in tali comportamenti e in tali  esempi il proprio sfaldamento.
La parola richiede tempo per poter essere combinata e una lunga riflessione prima di essere usata.
La parola non si cancella e una volta detta resta come un marchio.
Si educa con l’esempio, la sferza non appartiene al nostro sistema educativo, o almeno non appartiene a chi identifica l’esempio con l’educazione e la formazione dei nostri giovani.
L'educazione è il cardine della nostra società e tali atteggiamenti e parole non aiutano assolutamente nella formazione, nè offrono esempi positivi. 
Gli atteggiamenti violenti e rissosi, espressi in pubblico e nelle sedi istituzionali  hanno il solo merito di svilire i nostri valori, i nostri processi educativi e di disorientare gli stessi giovani.

Anch’io ho usato i segni, per combinare parole che mutate in questa mia espressione esprimono il mio disagio a vivere un simile momento nonchè il mio risentimento e rammarico come madre, come insegnante e come cittadina.

Anna Lanzetta

venerdì 17 dicembre 2010

Come albatri con le ali spezzate


René Magritte (Lessines,1898-Bruxelles,1967) Golconde

Una città occupata, una città sconquassata, una città capitale che registra ire e furori è l’immagine negativa di un paese che plaude a una vittoria che intristisce, che immalinconisce, che è solo il fantasma di sé.
Non è certo l’immagine dell’Italia che ci accingiamo a festeggiare, orgoglio di generazioni che l’hanno costruita e amata.
Una vittoria dal  consenso risicato tra liti e tafferugli, dove la forza della persuasione prende il sopravvento sulla consapevolezza indica che la  crisi è ormai a limite di ogni sopportazione, una crisi che deturpa l’immagine di una sede istituzionale che dovrebbe essere scevra da ogni contaminazione.
Erano anni che non assistevamo più in piazza e per le strade a scene di  tale violenza, frutto di un malessere e di un disagio che non si vuole capire, che non si vuole vedere ma che  ci coinvolge tutti  ed  essenzialmente gli addetti ai settori.
Mentre dentro si plaude, tra risa e abbracci dei vincitori e delusione dei vinti, l’Italia è in disparte e si interroga su ciò che è stata, su ciò che è e guarda malinconica i suoi centocinquant’anni, i suoi giovani che ieri lottavano per gli ideali di Libertà e di coesione e che oggi sono costretti a reclamare i propri diritti.

Immaginiamo un mare in tempesta, dove le onde alte e aggrovigliate  non lasciano vedere nessuno spiraglio di luce, tale è l’Italia in questo momento in cui siamo tutti naufraghi  lontani dalla riva,  tali sono i nostri giovani, albatri nella tempesta.

In un paese dove i valori vanno alla deriva, dove tutto è mercificato, vincitori e vinti  nuotano nello stesso calderone senza soluzione alcuna atta a rompere il silenzio che ci sovrasta tra il rumore di rozze  manovre.
Siamo tutti  manichini omologati, senza volto, senza quell’identità per la quale un giorno i nostri giovani hanno combattuto e vinto perché l’Italia fosse una dalle Alpi alla Sicilia, una la capitale, uno il tricolore, uno il nostro Inno, in nome dell’Unità e del rispetto.
Troppo in fretta si dimentica la Storia e invece di tutelare i nostri giovani li carichiamo di incertezze e delusioni.

Quale vittoria e  quale sconfitta?
Dobbiamo dunque credere che noi italiani non abbiamo più armi per difenderci e per recuperare un’identità perduta? Sono dunque così cambiati i tempi che  nulla più ci attrae di quel corpo dell’Italia che erano i suoi valori? Siamo dunque  naufraghi ciechi, assuefatti, sepolti da un cumulo di immondizia e da muri che si sgretolano, metafora della realtà che ci circonda? Lasciamo dunque che la cultura resti senza difesa nelle mani di chi non riesce a capirne l’importanza vitale quale spirito di una Nazione?.
È tempo di riaprire gli occhi! Per troppo tempo li abbiamo  chiusi!.

L’Italia deve essere tutelata, la cultura salvata, i nostri giovani non traditi. E che il tutto non suoni solo retorica. Ognuno nel suo piccolo può agire. Coesi si diventa una forza, scevra da ogni violenza ma operativa.
La storia ce lo impone, i centocinquant’anni ci richiamano ai nostri doveri di tutela dei valori, del territorio, del patrimonio, delle nuove generazioni.

Gli “albatri” hanno le ali spezzate e vengono derisi da una ciurma  che con tracotanza e prepotenza  ne schiaccia goffamente le ali, privandoli del volo.

L'albatro
Per dilettarsi, sovente, le ciurme
catturano degli àlbatri, marini
grandi uccelli, che seguono, indolenti
compagni di viaggio, il bastimento
che scivolando va su amari abissi.
E li hanno appena sulla tolda posti
che questi re dell'azzurro abbandonano,
inetti e vergognosi, ai loro fianchi
miseramente, come remi, inerti
le candide e grandi ali. Com'è goffo
e imbelle questo alato viaggiatore!
Lui, poco fa sì bello, com'è brutto
 e comico! Qualcuno con la pipa
il becco qui gli stuzzica; là un altro
 l'infermo che volava, zoppicando
scimmieggia.
Come il principe dei nembi
è il Poeta che, avvezzo alla tempesta,
si ride dell'arciere: ma esiliato
sulla terra, fra scherni, camminare
non può per le sue ali di gigante.


C. P. Baudelaire, (da I fiori del male)


 
Charles Pierre Baudelaire (Parigi, 1821-1867)

Anna Lanzetta

martedì 14 dicembre 2010

La scrittura, fedele compagna




Più il tempo passa più te la senti amica…
È la scrittura la fedele compagna delle notti insonni, quando senti il bruciore degli occhi stanchi e la mano che tremante sulla tastiera fa a spintoni con la stanchezza che ti assale dopo la lunga fatica. Quando senti che i battiti si accelerano forse per un’insidia ancora celata, forse per l’ansia o per un lungo affanno nella corsa a finire, a dire, a completare un pensiero interrotto per il capriccio della memoria che mostra a tratti i segni dell’età. La scrittura diventa in questa fase della vita amica e confidente e fiumi di parole scorrono a narrare anni e anni di un vissuto che si nutre di pensieri e nutre il foglio un tempo cartaceo oggi mediatico.



Anna Lanzetta

Foto di Anna Lanzetta



lunedì 13 dicembre 2010

Cantar d’amore


Gaetano Previati, La danza delle ore

Palomma ‘e notte
Tiene mente 'sta palomma,
comme gira, comm'avota,
comme torna n'ata vota
sta ceròggena a tentá!
Palummè' chist'è nu lume,
nun è rosa o giesummino...
e tu, a forza, ccá vicino
te vuó' mettere a vulá!...
Vatténn''a lloco!
Vatténne, pazzarella!
va', palummella e torna,
e torna a st'aria
accussí fresca e bella!...
'O bbi' ca i' pure
mm'abbaglio chianu chiano,
e che mm'abbrucio 'a mano
pe' te ne vulé cacciá?...
Carulí', pe' nu capriccio,
tu vuó' fá scuntento a n'ato...
e po' quanno ll'hê lassato,
tu, addu n'ato vuó' vulá...
Troppi core staje strignenno
cu sti mmane piccerelle;
ma fernisce ca sti scelle
pure tu te puó' abbruciá!
Vatténn''a lloco!
Torna, va', palomma 'e notte,
dint'a ll'ombra addó' si' nata... torna a st'aria 'mbarzamata
ca te sape cunzulá...
Dint''o scuro e pe' me sulo
'sta cannela arde e se struje...
ma ch'ardesse a tutt'e duje,
nun 'o ppòzzo suppurtá!
Vatténn''a lloco!
Di Giacomo – Buongiovanni
Napoli è musica, colori e profumi o tale è rimasta  solo nell’immaginario di chi nutre con la città un legame profondo.
Napoli è storia, è cultura, è Arte in ogni strada, in ogni vicolo.
Ricordo la Napoli di un tempo, felice e armoniosa, custode di tesori e di misteri. Mi appariva allora come una donna da mille volti che, sfogliati a poco a poco,  rivelavano l’identità di una città un tempo capitale, rigoglio di cultura, detentrice di una lingua che suona come musica. Napoli è musica con i suoi suoni,  i suoi rumori, i suoi schiamazzi, è orgoglio della nostra entità. Napoli è grecità palpabile nei riti, nelle credenze e nei costumi. Napoli è il silenzio che si ascolta nelle poesie in musica dove il suono sposa l’arte nella creazione di quadri in cui è presente  l’aria fresca e bella che un tempo si respirava; il dolore di un cuore che oggi attende che maggio  riporti il profumo delle rose, fragranza di un tempo che fu.


Gaetano Previati, La danza delle rose

Era de maggio
Era de maggio e te cadéano 'nzino,
a schiocche a schiocche, li ccerase rosse.
Fresca era ll'aria...e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciento passe...

Era de maggio, io no, nun mme ne scordo,
na canzone cantávamo a doje voce...
Cchiù tiempo passa e cchiù mme n'allicordo,
fresca era ll'aria e la canzona doce...

E diceva: "Core, core!
core mio, luntano vaje,
tu mme lasse, io conto ll'ore...
chisà quanno turnarraje!"

Rispunnev'io: "Turnarraggio
quanno tornano li rrose...
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá...

Si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io stóngo ccá."

E só' turnato e mo, comm'a na vota,
cantammo 'nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota,
ma 'ammore vero no, nun vota vico..

De te, bellezza mia, mme
'nnammuraje,
si t'allicuorde, 'nnanz'a la funtana:
Ll'acqua, llá dinto, nun se sécca maje,
e ferita d'ammore nun se sana...
Nun se sana: ca sanata,
si se fosse, gioja mia,
'mmiez'a st'aria 'mbarzamata,
a guardarte io nun starría !

E te dico: "Core, core!
core mio, turnato io só'...
Torna maggio e torna 'ammore:
fa' de me chello che vuó'!

Torna maggio e torna 'ammore:
fa' de me chello che vuó'!"
Salvatore Di Giacomo- Mario Costa
La pittura di Previati (1852-1920), con un sottile contrasto di luci e ombre, appena palpabile, espresso da un colore lieve e quasi evanescente, dove la danza e la musica sono simboli di vita antica, si identifica con  il desiderio di solarità di una città che rifugge madida le tenebre e cerca  il sole per  dipanare il buio,  perché la vetta del Vesuvio svetti  di nuovo in tutto il suo splendore; un desiderio forte di rinascita come forte è l’ “Inno alla gioia” di Beethoven.
Anna Lanzetta

venerdì 10 dicembre 2010

Il Risorgimento tra parole, musica e pittura


La partenza

Mancano solo pochi giorni alla pubblicazione di Addio mia bella addio…La storia del Risorgimento tra parole, immagini e musica. Un libro per i centocinquant’anni dell’ “Unità d'Italia”.
Il libro, scritto da Anna Lanzetta con la prefazione di Francesco Verzillo, presidente dell’ANSAS Toscana (Agenzia Nazionale Sviluppo Autonomia Scolastica), propone una lettura del Risorgimento attraverso artisti e poeti che ispirarono il popolo con le loro parole e lo incitarono a combattere per la Libertà e l’Indipendenza dell’Italia.
Filo conduttore è il sentimento di “Amor patrio”, rivisitato con la lettura di momenti di Storia medioevale, ripresi dal Risorgimento e attuali nel nostro contesto, attraverso il linguaggio storico-musicale e artistico-letterario.
I temi individuati offrono una conoscenza inusuale della Storia, più rispondente alla sensibilità dell'uomo di oggi che si sente sempre più attratto da forme espressive diverse ma interattive. Una lettura stimolante ed efficace perché ognuno possa riattivare un rapporto nuovo e affettivo con il Risorgimento per ciò che ha rappresentato e per ciò che dovrebbe rappresentare oggi.
Il libro, corredato da immagini e da una ricca bibliografia sarà per tutti uno strumento per riscoprire nel passato il nostro presente e l’iter della nostra “Unità nazionale”; per gli studenti, un modulo, per approfondire le proprie conoscenze o concludere un ciclo di studi; una lettura, per chi ancora non sa e per chi già sa e ama ricordare; per i giovani, perché ne colgano i valori educativi.

Il libro, edito da Morgana Edizioni, sarà in distribuzione nelle migliori librerie da gennaio 2011.
Si può ordinare, scrivendo un fax allo 055 244739 o una mail a morgana.ed@tin.it
Il costo del libro è di 10 euro.


Il ritorno

Carlo Ademollo (Firenze, 1824-1911)  La partenza e Il ritorno

Anna Lanzetta


lunedì 6 dicembre 2010

Una luce che rischiara: La scuola di San Marcello Pistoiese


Il contatto con gli studenti è sempre una ricchezza e tale è stato il mio incontro  con i   ragazzi della Scuola Media “Alcide De Gasperi” di Cutigliano,  della Scuola Media “Renato Fucini” di San Marcello e con gli studenti della Scuola Superiore di San Marcello, comprendente: Igea, Liceo e Tecnico.
L’incontro si è svolto nei giorni 29 e 30 novembre, in occasione della festa che la Regione Toscana ha istituito nell’anno 2000, per ricordare il giorno in cui ricorre l'anniversario della Riforma Penale promulgata, nel 1786, da Pietro Leopoldo di Lorena, Granduca di Toscana. Con tale legge, la Toscana diventava il primo Stato al mondo ad abolire la pena di morte, uno degli atti più incivili perpetrati fino ad allora da tutti i governi "conveniente -secondo Pietro Leopoldo- solo ai popoli barbari"


Pietro Leopoldo


L’epigrafe, posta nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, da noi letta, così recita:



Per la ricorrenza dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia e con un percorso in immagini, abbiamo ricordato  una tra le pagine di Storia più importanti del nostro paese “La Breccia di Porta Pia e il rapporto Stato-Chiesa”.
Curiosità, domande e annotazioni hanno arricchito la nostra conversazione sull’ “Unità”, su Roma capitale, sul Tricolore e la sua storia, sul sacrificio di tanti giovani; sul diritto di sapere, sul dovere di diffondere, perché nulla sia dimenticato, perché integra si mantenga la nostra memoria.
L’importanza della cultura e delle Arti nel nostro contesto storico-sociale mi ha dato l’opportunità di introdurre il libro da me scritto sul Risorgimento Addio mia bella addio…La storia del Risorgimento tra parole, immagini e musica, per il quale ritonerò tra i ragazzi di  San Marcello.


 
Domenico Morelli (1826-1901), I vespri siciliani

È stato molto interessante parlare con gli studenti, di Storia, del senso della Storia come appartenenza, della Storia  con la quale conviviamo: Storia  del proprio territorio, Storia  che si legge sui muri della città, nelle iscrizioni, nei monumenti, nelle tracce urbanistiche che segnano evoluzioni e cambiamenti,  Storia come vita, come ricordo, come memoria,  come emozione.

Parlare con i ragazzi è sempre una ricchezza. Abituati all’ascolto, a chiedere, ad annotare per poi ricostruire, stimolano a dire e a continuare. Merito degli insegnanti che nonostante il tempo inclemente in cui viviamo, mantengono inalterato il proprio impegno e il nome della scuola pubblica che reggono tra mille disagi.

Ringrazio per l’invito e l’ospitalità: gli studenti, l’assessore alla cultura, Lucia Geri per l’impegno e l’attenzione che rivolge alla scuola, gli insegnanti, guida ed educatori di cultura, tutto il personale che opera nella scuola e il Dirigente scolastico, Maria Lucia Querques per la sua dedizione, la sua umanità, il suo spiccato senso del dovere, per aver fatto della scuola un impegno di vita.

Anna Lanzetta

venerdì 3 dicembre 2010

La povertà dell'artista


Domenico Induno, L’artista nomade o La questua  

Tra pochi giorni uscirà il mio libro Addio mia bella addio…Il Risorgimento tra parole, immagini e musica in cui la pittura dei Macchiaioli e di altri artisti completa il contributo che le arti diedero al Risorgimento. Se la pittura romantica e quella di Francesco Hayez in particolare fu educativa alla causa risorgimentale, quella dei Macchiaioli fu uno strumento fotografico delle vicende belliche, della quotidianità vissuta dai giovani che parteciparono alle lotte del Risorgimento e tra questi gli stessi artisti che ne furono  spesso i diretti protagonisti. Anche Domenico Induno rappresentò con la sua pittura la realtà del tempo con risvolti patriottici e con elementi domestici.
Colpisce il tema della –questua-, dell’artista nomade, perchè  riflette l' indigenza a cui spesso sono costretti gli artisti, quando le Arti non sono adeguatamente apprezzate.
Ogni quadro si decodifica, si legge come la pagina di un libro e ogni elemento induce una riflessione in rapporto alla propria realtà: il volto dell'artista, il violino, la mano tesa e la bimba, non certo ricca  che fa l'elemosina ci inducono  a pensare: tra poveri ci si aiuta e chi dovrebbe invece farlo? Ognuno cela una risposta che fa altrettanto pensare...ognuno si chiude in una tristezza infinita!.
"L’artista nomade" figura  la situazione in cui vive oggi la nostra cultura, uno stato di precarietà che riflette  appieno la realtà del nostro paese per poca lungimiranza  di chi dovrebbe curarla come ricchezza prima ed essenziale, sconforto e delusione invece di un’intera generazione che oggi ne vive il travaglio.

Domenico Induno (Milano, 1815-1878)

Anna Lanzetta

mercoledì 1 dicembre 2010

Professoressa cara


Simonetta Vespucci

Professoressa cara,

ho appena terminato, con commozione, la lettura del suo post "Il dolore è come un uragano"...
Sabato scorso, è ricorso il 20° anniversario della morte di mia madre, anche lei vinta da un male incurabile.
Conosco e condivido con lei le sensazioni che descrive.
Mi piace questo suo parlare di se... me la fa sentire ancora più vicina... per questo, da oggi, vorrei chiamarla semplicemente ed affettuosamente Anna... spero non le dispiaccia!

Un abbraccio immenso e forte.
Silvia 

Carissima Silvia, l’amicizia è una cosa preziosa e noi abbiamo la fortuna di viverla. Dispiacermi? Ne sono felicissima. Sono passati alcuni anni da quando al primo banco dell’aula sedeva una ragazza dolcissima dagli occhi azzurri e dai capelli biondi che aveva il dono della scrittura. Da allora il nostro dialogo non si è mai interrotto  e  stima e affetto lo hanno consolidato.
I ricordi uniscono e i legami si rafforzano.
Da oggi, Anna, semplicemente Anna…casa potrei chiedere di più? È un regalo bellissimo in prossimità del Natale, da me inteso come momento di riflessione e di apertura perché nessuno si senta solo.
Ho scelto per immagine la pittura di Botticelli perchè levigata, eterea e impalpabile nella danza della vita.

Anna

m. 203X314
Le tre Grazie

Sandro Botticelli (Firenze, 1445-1510), Simonetta Vespucci
Sandro Botticelli, Le tre Grazie, part. de La Primavera