martedì 26 luglio 2011

Quando l’opera d’arte emoziona e ferma il passo




Mirò, Pittura-poema (Musica, Senna, Michel, Bataille et me), 1927, Volkart Foundation, Svizzera

Con molte curiosità sono entrata in Palazzo Strozzi per visitare la mostra dal titolo: Picasso Mirò Dalì. Giovani e arrabbiati: La nascita della modernità.
Amo il contatto diretto con i quadri e amo vivere l’emozione dell’opera che alla vista, mi ferma il passo.
E Musique ha fermato i miei passi.
La massa rossa che tondeggia su figure dai contorni incerti mi ha incuriosito. Forse è il sole, ho pensato, che segna il mutare delle stagioni dell’uomo nel cammino della vita?.
Mi fermo e leggo: Musique e poi Seine e poi Michel, Bataille et moi.
La pittura di Mirò mi insidia.
Il suo linguaggio simbolico e surreale mi trasporta in un mondo fiabesco dove rapporto ogni elemento a una forma, a una realtà intima, profonda, pura, sussurrata.
Mi catturano i suoi silenzi che proiettano altrove la mia fantasia.

Mi intriga l’opera d’arte che si sottrae a una lettura immediata, l’opera che non mi si rivela al primo impatto e che mi sollecita un’indagine tra significato e significante; tale era per me Musique.

Nel silenzio metafisico di una realtà quasi monocroma, l’associazione di punti, posti ad arte, indica vari personaggi e tra questi, tre, che la parola identifica e che camminano di notte sui Lungosenna parigini. Non solo pittura dunque ma poesia; non solo poesia ma musica come si legge. E resto a lungo affascinata dalla sincronia dei linguaggi e dalla massa rossa da me non del tutto identificata.
Una pittura onirico-fantastica, i cui connotati fermano il mio passo per ciò che sono e per ciò che rappresentano: una realtà mutevole come la nostra vista e il nostro pensiero commisurato.
Ritorno più volte a rimirare l’opera e scopro sempre nuovi elementi che cambiano la mia lettura come nel gioco di Pirandello.

Molti passano davanti al quadro e lo degnano solo di uno sguardo fugace. Mi chiedo perché mi sono fermata e non nuova a queste esperienze, mi convinco che il rapporto con l’opera d’arte è qualcosa di intimo e di suggestivo.
L’arte vive dentro di noi.



Friedrich,  Monaco in riva al mare, 1808-1810, Berlino, Alte Nationalgalerie

Ricordo perfettamente il quadro che scatenò in me un pianto incontrollabile. Accadde a l’“Alte Nationalgalerie” di Berlino quando all’improvviso mi trovai di fronte al quadro di Friedrich Monaco in riva al mare. Mi sentii sgomenta e al contempo felice di perdermi in quell’immensità che mi avvolgeva e in quella figura che, sola, respirava quell’immensità (mio desiderio). Piangevo di gioia, di commozione; un pianto irrefrenabile, ancora oggi per me indecifrabile.
L’arte per me è emozione.

Lascio Mirò con Georges Bataille e Michel Leiris sul Lungosenna e procedo tra le altre opere di Picasso e Dalì, ma nessun’altra opera ferma il mio passo.

Joan Miró (Barcellona, 1893-Palma di Maiorca, 1893)
Caspar David Friedrich (Greifswald, 1774-Dresda,1840)


Anna Lanzetta

mercoledì 20 luglio 2011

Sono stata bocciata a sei anni



Léon Augustin Lhermitte (1844-1925), La leçon de lecture

 Insegnare è come  ridare la vita

La notizia che una bimba di sei anni sia stata bocciata in prima elementare, lascia senza fiato, inorriditi da quanto sta accadendo nella  nostra scuola.
Questa bocciatura è l’ennesimo specchio di un’Italia che va in frantumi.

Sono bastate poche leggi per chiudere la porta in faccia a chi non ce la fa, a chi da solo non sta in piedi; a lavarsi le mani dei più deboli come Ponzio Pilato.

Questa non è scuola e mai potrà chiamarsi tale.
Questa è l’involuzione netta di una Pedagogia che vedeva nel bambino un fiore che si schiudeva in ogni primavera con i suoi tempi. Un piccolo passo avanti era già una grande conquista, quando il sapere non si misurava con lo scarto di un voto ma con la capacità del bambino di guardarsi intorno, di incuriosirsi, di creare, di giocare con la fantasia e di emergere pian piano dalle proprie difficoltà con aiuti adeguati.

Abbiamo lavorato tanto perché si superasse una scuola selettiva e si rispettassero i tempi di apprendimeno.

La scuola che subisce tagli indiscriminati e seleziona è il riflesso di una società che non riconosce più il bisogno e le necessità di chi in silenzio ci chiede aiuto.
Capirà mai questa bambina il senso della scuola? Cosa vuol dire essere respinti? E la famiglia? E noi educatori? Ma essenzialmente se ne rende conto chi opera in modo inconsulto a tutti i livelli e specialmente in quelli altissimi? Questa è una responsabilità gravissima per la quale non può invocarsi nessuna difesa.
È la  triste condizione di una scuola che ha perso i valori della sua identità, che si copre e ci copre tutti di vergogna.
Si assiste in silenzio e senza voler giudicare ma constatare con profonda amarezza ciò che siamo diventati noi un tempo educatori e formatori che agivano essenzialmente col cuore.
In silenzio si spera, una preghiera muta perché si rinsavisca da tali storture.


 


Pinocchio piange, come si legge nel mio scritto precedente ed è terribile l’immagine di burattini che rifiutano la metamorfosi in bambini, perché non si sentono amati; ma ancora più triste  è questa  figura di Pierrot che incrocia le mani, quasi a chiedere perdono per colpe che non ha.


Anna Lanzetta 

venerdì 15 luglio 2011

Pinocchio, un bambino senza sorriso




Quando Elena, rivisitando il racconto di Collodi, disse che Pinocchio si rifiutava di diventare bambino perché aveva paura degli adulti, rimasi molto perplessa a una rilettura fatta da un’adolescente che suonava come un atto di accusa agli adulti.

Ma la visione di Elena del burattino, espansa nei vari segmenti storici, racchiudeva la verità.

La condizione dell’infanzia nel mondo è dai suoi albori esposta senza difesa a ogni sorta di violenza e i fatti, che ogni giorno si susseguono, ne danno conferma.




Sono  frequenti le  notizie e le immagini di bambini violentati, uccisi e seviziati e quando il carnefice è la propria madre il racconto diventa horror.

Quale crudele verità si cela dietro un tale atto? Dove cercare la risposta se non dentro di noi, componenti dell’intera società che troppo spessa viola i diritti di chi andrebbe tutelato?.
Pinocchio ha rappresentato, per generazioni di bambini, un percorso educativo. Ce l’ha messa tutta per diventare il modello che gli adulti volevano che fosse, ma la realtà ne ha deluso le aspettative.

Pinocchio nasconde dietro il suo lungo naso una tristezza infinita e ha sul volto l’interrogativo di mille perché.
Egli si sforza di soddisfare i desideri degli adulti e di seguirne i consigli. Assume pian piano consapevolezza del suo ruolo sociale, aiuta Geppetto nel ventre del Pescecane fino alla libertà, ed è felice, ma poi scopre che nel ventre della balena il piccolo Jona vivrà il triste gioco della vita così come tanti bambini in famiglia, a scuola, nella società.

Pinocchio-bambino non è felice, perché si sente tradito dalla stessa società che lo ha spinto al cambiamento. Ci guarda da anni con commiserazione, guarda al passato di tanti bimbi, guarda al presente e la sua, è una condanna senza appello.

Pinocchio è per tutti noi il “Grillo parlante” che ci invita a riflettere senza inquisire, per rispondere ai suoi quesiti e alle nostre colpe.

Pinocchio-bambino ci chiede di vivere la sua età con l’emozione dei sogni e la fantasia del gioco.

L'infanzia  aspetta nel mondo il tempo della nostra ragione, e già adulta, guarda con compassione noi bambini  non ancora cresciuti  e ci chiede il diritto di  vivere, senza insidie, il gioco della propria vita.


 

Käthe Schmidt Kollwitz (Königsberg, 1867-Moritzburg, 1945), scultrice e pittrice tedesca.
Autoritratto

Anna Lanzetta

Il racconto di Elena dal titolo “Storia di un burattino che non diventa bambino” è inserito nel libro “Sapere per creare” a cura di Anna Lanzetta   Morgana Edizioni
Costo 15 euro
Inf. annalanzetta@libero.it

venerdì 8 luglio 2011

Quando il cinema racconta la realtà: “Umberto D”



Carlo Battisti: Umberto Domenico Ferrari
Protagonista del film

Delicato, lirico, poetico, “Umberto D” (1952), film di Vittorio de Sica e Cesare Zavattini è una pagina per riflettere ieri come oggi, sul nostro stato sociale.

Due grandi, per creare un film denso di significati, generoso per penetrare il dramma dell’uomo all’interno di una società dominata dall’indifferenza.

Un film, non subito capito e accettato perché scomodo, dato che in ogni tempo attualizza la realtà.

Il protagonista è l'espressione di un’umanità divisa in chi ha e in chi non ha, messo  in disparte e abbandonato anche se ha dato tanto.




Umberto D è l’esemplificazione dell’indigenza in cui è costretto a vivere un ceto sociale con la magra pensione che gli regala solo stenti, umiliazioni e privazioni e al contempo di quell'amore e rispetto  con cui cura  anche nell'estrema povertà, il suo cagnolino Flaik, amico e coprotagonista.

Un film a tratti lirico, poetico ma amaro, che graffia nel profondo e che ci obbliga al confronto col presente e a ripensare alla sorte degli anziani, dei pensionati e di chi non può permettersi nemmeno un cane, una sorte che nel tempo cambia ma solo in peggio.

"Umberto D", visto a distanza di anni, è per tutti una grande verità  e fa molto pensare, perchè fotografa la stasi di una società che non si evolve e che nulla impara dalla storia dei nostri costumi e comportamenti passati.


Il cinema è storia, è espressione del sociale, è una macchina che mette a nudo l’uomo e la sua psicologia, ieri come oggi.




Vittorio De Sica e Cesare Zavattini

“Umberto D” esprime la passione di due grandi artisti nel rappresentare le vicissitudini del vivere quotidiano e le strategie per affrontarle, i sentimenti, le emozioni che a iosa il personaggio ci regala in ogni sequenza ed è un invito a tutti noi, troppo distratti, a coglierne l’essenza.





Il film inizia con un corteo non autorizzato di pensionati che reggono cartelli con su scritto "Aumentate le pensioni. Abbiamo lavorato tutta una vita". Una frase che ci fa pensare al nostro domani dove forse nemmeno questo cartello avrà più un senso.




Umberto Domenico Ferrari, era stato per trent’anni funzionario al Ministero dei Lavori Pubblici, e si ritrova pensionato con 18.000 lire al mese…ed è così che inizia la storia di questo personaggio che sembra uscito dalla penna  di Pirandello come tutti noi dopotutto.

Anna Lanzetta