venerdì 30 marzo 2018

Pasqua 2018



Auguro a tutti una Pasqua ricca

di affetti,

di colori
e

di profumi

giovedì 22 marzo 2018

Contro il razzismo, un racconto. Storia di una chiocciola e di un lumacone

Storia di una chiocciola e di un lumacone


I bisbigli sulle cime diventavano striduli.
Il piccolo uccello  dal ramo gioiva nel vedere la mamma intenta a cercare.
Lei avanzava  con grazia  nel fresco del mattino verso i piccoli garofani gialli e ne pregustava la prelibatezza mentre lui ne  seguiva cauto la  scia.
Le corolle si  aprivano  lentamente come per magia e al primo raggio si chiudevano le belle di notte  iridate.
Lei, assiepata sotto una fresca foglia di fico, ne spiava l’arrivo, mentre lui, timoroso, si poneva ai margini.
Doveva o non doveva? Sarà un giorno mia? E il dilemma lo struggeva!.
Bisbigli frenetici, mutati in striduli, annunciavano il nuovo giorno. Furtiva l’ape si insediava e la primavera del giorno iniziava:i tulipani salutavano galanti le pervinche, i dolci anemoni si univano alle giunchiglie, le tenere mammole ricoprivano la terra di fitti strati, le calendule strizzavano l’occhio agli iris, le margheritine bianche  facevano da manto alle laboriose formiche e un gorgheggio rimbalzava da  cima in cima.
La chiocciola avanzava accanto al  lumacone, tra  una schiera di bruchi e millepiedi. 
I fiori occhieggiavano lieti e le pansè intrecciavano i teneri steli. Le rose si piegavano timide ai garofani rossi e i bianchi screziati facevano capolino.
Egli si  avvicinò con fare timido.  
La chiocciola lo guardò a lungo e restò pensierosa.- Non ha il guscio elegante come il mio,  ma i suoi occhi sono buoni. Che importa, pensò, se la nostra forma  è diversa, sento che i nostri cuori non lo sono-.
Tirò fuori completamente la testa dal guscio ed egli trattenne il respiro.
Era bellissima!.
Lo guardò con tenerezza ed entrambi sentirono che un tam tam irrefrenabile  li univa.
Avanzarono felici verso un ciuffo d’erba freschissimo, un’alcova per due.

Che felicità è l’amore!. Quel sentimento che inebria i cuori e dona la vita per la continuità del mondo.
Nessuna differenza li avrebbe più divisi ora che nell’unione avevano sentito di essere un solo elemento nella speranza di  una nuova vita.

Tutto il giardino esultava  felice.
Un’orchestra  di insetti  allietava il giardino  e su tutti si levava la musica del flauto tenuto da piccolissime mani, mentre la viola strimpellava nelle braccine della cicala  e un pianoforte di anemoni spandeva intorno la melodia dei due cuori.

(Tratto da: Armonie di un giardino toscano. Racconti, arte, mito e fantasia, Regione Toscana Consiglio Regionale, Edizioni dell’Assemblea, 2017. Il testo integrale è a disposizione dei lettori nel sito della Regione Toscana - Pubblicazioni)

Illustrazioni di Leonardo Vitiello



giovedì 8 marzo 2018

Una camelia di nome "amore"



Quale dono più bello in questo giorno, di una camelia nel suo rigoglio più fulgido, in cui il rosso, intrecciando il bianco, crea una meraviglia  che si chiama “amore”.


martedì 6 marzo 2018

Per ogni donna, un racconto e un fiore.


Era un tardo pomeriggio. L’estate aveva da tempo reclinato il capo all’avanzare di un autunno impetuoso e il sole filtrava gli ultimi raggi. La natura indossava colori caldi e le foglie caduche creavano in giardino un manto brulicante di vite. Le nuvole, spinte dal vento, coprivano parte del cielo e intrecciandosi coi raggi del sole si tingevano di un rosa striato ma io preferivo quelle di colore grigio-argenteo che all’orizzonte mi creavano un’atmosfera fiabesca. Le adoravo, e identificandole con dame, cavalieri e streghe, le rincorrevo tra meandri e castelli e le rivestivo di vita.
Verso sera, il vento aveva intensificato la sua corsa e io ero rimasta a guardare affascinata le  foglie che si componevano simili a “calligrammi”.
Il sibilo aumentava e il vento, in veste di un  “cavaliere azzurro”, rincorreva le nubi stordite.
Mi sembrava di vedere in quel cavaliere Borea, figlio di Eos e di Astro, fratello di Zefiro, giungere di lena da una caverna della freddissima Tracia e abbattere con furia tutto ciò che incontrava sul suo cammino per  rincorrere Orizia mentre danzava sui prati presso il fiume Glisso. Gli davo le sembianze di un uomo barbuto con i capelli scomposti e alato così come lo vidi in seguito raffigurato e che nel mio racconto si rivestì poi di realtà fantastica. Il vento mi spaventava e quel vecchio mi faceva paura. Erano tante le sevizie che venivano perpetrate e quel vecchio mi riportava a coloro che commettono soprusi e violenze a danno dei più deboli e specialmente dei bambini.
Intanto la mia fantasia già chiedeva aiuto alle parole che, componendosi, tessevano l’ordito di un racconto.

Storia del vento e della nuvola rosa

Aveva ululato tutta la notte, perché lei lo sentisse e lo vedesse.
Truce e rabbioso si alzava, si inabissava, correva, ora veloce e sibilante, ora piano, come un soffio di vita, che cerca la propria anima nell’infinito.
Nel cielo appena striato dall’alba, era apparsa ricoperta di trine e di pizzi di un pallido rosa.
Al soffio del vento danzava con i capelli intessuti di fiori e di perle.
Leggiadro il viso, tra i biondi capelli di seta, acerbe le tenere forme.
Una dea, pensava lui! E un brivido lo scuoteva.
E come dea di un mito antico, appariva dolce e leggiadra.
Dolce e leggera, si lasciava cullare la nuvola dal soffio del vento divenuto lieve, ma donava il proprio cuore a un timido raggio di sole.
Li vide rapiti, capì che il loro era amore e di nuovo furente, il vento squarciò il cielo con un grido di dolore.
L’abito di lei divenne lacero e scuro sotto il rimbombo dei lampi e dei tuoni e una coltre nera come la notte calò sul mondo.
Il suo pianto colpì il vento, come un sasso scagliato con forza.
Il timido raggio di sole era sparito, inghiottito dal buio più profondo, mentre egli pentito la cercava in ogni dove.
La vide da lontano, lacera e tremante. La raggiunse e la strinse a sé con ardore.
Ma troppo tardi!.
La tragedia della sua follia ormai si compiva.
Impotente, la strinse con forza e la sentì sciogliersi, stanca e dolente,  contro il suo petto.
Uno scroscio d’acqua gelida lo inondò.
Non morire! Per il mio cuore, non morire! Resisti alla mia insana follia. Diceva singhiozzando ilvento mentre stringeva a sé l’ombra della nuvola morente.
Tra i singhiozzi il vento la implorava, ma invano.
La nuvola non poteva più sentirlo e i suoi occhi, quasi spenti, cercavano disperati il timido raggio di sole.
Lontano riecheggiava negli anfratti

il pianto disperato del vento innamorato.


Avevo negli occhi i colori dell’alba e nelle orecchie l’ululato del vento o il suo pianto d’amore, come poi lo definii. Mi hanno sempre affascinato l’“alba”, il primo biancheggiare del cielo e l’“aurora”, quel chiarore dalla parte d’oriente che precede lo spuntar del sole, avvolte da indistinti colori, fusi in un non colore brillante, luminoso, che rompe le tenebre della notte come una verità che squarcia il velo nell’attesa che si ripeta quel miracolo di continuità del mondo, della vita tutta.
Ci sono quadri in natura che sarebbe difficile per ogni artista eguagliare, come quello che dipinge il sole quando spande i suoi primi bagliori sul mondo e tinge l’orizzonte di un susseguirsi di colori che tagliano il respiro e muta la natura in “un tempio” che qualsiasi parola, se pronunciata, potrebbe infrangere.
Il mito mi trasportava in un’altra dimensione ma il racconto, appena scritto, mi traslava dal sogno alla realtà. Pensavo alla gelosia, come a un’insana follia.
Ĕ folle chi pensa di mutare un sentimento puro come l’amore. La violenza e l’arroganza vengono punite nel racconto dall’onestà e dall’innocenza, ma non sempre è così.
Se solo gli uomini potessero riflettere… Pensavo! Mentre nel mio cuore parteggiavo per la  nuvola che aveva subito una violenza così crudele. Certo è che non ci sarebbero stati “Otello”, “Desdemona” e tanti altri infelici!.
Se gli uomini ascoltassero la propria ragione non ci sarebbero tante donne fatte a pezzi, visi deturpati, miriadi di armi affilate pronte a devastare l’intera umanità femminile e tante scarpe rosse disseminate in attesa che il loro colore venga convertito.
Ancora una volta l’ambiente mi accoglieva in grembo simile a un’antica cattedrale e mi faceva riflettere sulla violenza imperversante e sui comportamenti umani.
Un tempo il mondo viveva in pace e serenità, ma quando Pandora (la prima donna) per curiosità aprì, disubbidendo, il vaso avuto in dono da Zeus, liberò i mali del mondo e tutto mutò. Spiriti maligni si abbatterono sull’umanità: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, la pazzia e il vizio si diffusero senza nessuna possibilità di salvezza dato che Elpis, la speranza, era rimasta sul fondo del vaso. Pandora allora per rimediare, riaprì il vaso e consentì alla speranza di uscire.
Se l’uomo vuole c’è sempre la possibilità di rinsavire e c’è sempre una speranza da rincorrere.
Nel mondo dovrebbe ritornare il rispetto verso se stessi, verso gli altri e verso l’ambiente.