sabato 24 novembre 2012

La violenza sulle donne





Morte di Hipazia
Hipazia d’Alessandria ( Alessandria d’Egitto, 355/370-415),
matematica, astronoma e filosofa.

La violenza sulle donne è figlia del pregiudizio.


Le donne sono vittime di una cultura arcaica per la quale in passato, sono state accusate di fatti atroci e sottoposte a violenze inaudite. Basti pensare alla storia di Hipazia d’Alessandria, filosofa e scienziata del IV-V secolo d. C., fatta a pezzi, perché troppo colta, da uomini fanatici, forse monaci detti “paraboloni”, offesi e umiliati dalla sua cultura e dal potere che esercitava sulle folle, sperando di riscattare nell’orrore il proprio onore. Molte donne nell’antichità sono state esposte a violenze per aver coltivato la passione per lo studio. Ancora oggi persiste la violenza contro le donne che fanno della cultura un’arma per l’emancipazione femminile del proprio paese. Ha solo 14 anni, Malala Yousufzai, l’attivista pakistana gravemente ferita alla testa e al collo dai Talebani per il suo impegno nel promuovere l’istruzione femminile nel suo Paese.
La violenza è indice di grettezza mentale, frutto di un pregiudizio endemico.
La donna è stata sempre e in varie forme esclusa e segregata.
Non è facile mutare il volto di una società, maschilista per antonomasia, ma la donna ha lottato e lotta per la parità.
Come definire la violenza contro le donne? Gelosia, vanità, presunzione, intolleranza, timore?. Certo è che il problema è degli uomini arroccati all’idea di possesso.
Nata da una costola di Adamo (come si dice), la donna è considerata subalterna all’uomo. Ha forse un’anima? È forse uno dei pilastri della società?. Con tutti i mezzi è stata demolita la sua immagine, dimenticando che fu il grembo di una giovane donna ad accogliere il Redentore.
La donna è stata definita: tentatrice, demonio, strega e quant’altro di negativo si possa immaginare non considerando che la società è stata matriarcale. La donna è stata ritenuta nelle società antiche ( e non solo) sottomessa all’uomo ed è prevalsa l’ immagine della donna-Penelope, simbolo di fedeltà, di onestà, di moglie, di madre e di angelo del focolare, termine che appagava il gusto maschile di segregazione, di controllo e di comodo. Ma la donna ha lottato con coraggio anche a costo della vita, pur di liberarsi di questo clichè.
L’educazione un tempo si basava sulla netta distinzione tra maschi e femmine e a scuola si insegnavano le attività domestiche separando così ruoli e funzioni. In caso di indigenza era sempre la donna a essere sacrificata. La donna sposata passava dal dominio paterno all’arbitrio del marito ed era esposta senza difesa a ogni sorta di violenza. Erano sempre gli altri a decidere della sua sorte e in caso di trasgressione era punita con la morte; Dante ce ne offre alcuni esempi.
In seguito  l’educazione della donna è mutata; è riuscita ad accedere allo studio, a ottenere il diritto di voto, a raggiungere ruoli sociali ma il pregiudizio permane ed è ancora esposta a ogni sorta di violenza, una condizione che ci induce a riflettere sul concetto di società evoluta per cui una società non può definirsi tale se non tratta tutti i suoi membri in modo paritario e se rende le donne ancora vittime.
Molte sono le iniziative a carattere socio-politico e culturale a tutela delle donne esposte a forme di violenza inaudita che si consuma essenzialmente tra le mura domestiche. Le leggi e i centri di assistenza aiutano e invogliano le donne a denunciare gli aggressori, a superare la paura della ritorsione ma la diffidenza permane ed è ancora limitato il numero delle donne che denunciano. È chiaro tuttavia che il problema è dell’uomo per il quale l’uso della violenza in tutte le sfere sociali è un sistema di difesa e di controllo. La violenza sia fisica che psicologica e verbale tende a intimorire, a sottomettere, ad annientare, a indebolire la mente e la volontà della donna fino a non avere opinioni, emozioni, possibilità di reazione.
Il problema, segno di un degrado che si acuisce chiama in causa l’intera società. Si parla di un aumento di donne violentate e uccise e se si pensa a quelle oscure ci si rende conto di quanto sia grave il problema che richiede un impegno comune. La donna non deve essere lasciata sola in questa battaglia. Gli interventi politici devono essere sempre più mirati, continui e sistematici. Per poter lottare la donna deve recuperare essenzialmente la stima verso sé stessa e l’orgoglio di essere donna.
Una società potrà evolversi, solo quando sarà l’uomo ad emanciparsi fino a riconoscere alle donne diritti paritari ma essenzialmente a rispettarle.


 

Hipazia d'Alessandria

Contro la violenza, l’educazione.


Avevamo lavorato bene con i nostri ragazzi a scuola, perchè mutasse la visione di un mondo in cui la supremazia spettasse al maschio ma la perdita di valori di questi ultimi anni ha vanificato ogni sforzo e l’immagine della donna oggetto ha preso il sopravvento, azzerando la parola rispetto. Spetta alla donna recuperare il ruolo che le compete e per il quale un tempo ha lottato. Ma per farlo ha bisogno del sostegno dell’intera società attraverso un processo di formazione didattico-educativo.
È la scuola la sede in cui bisogna affrontare il problema della violenza contro le donne fin da piccoli con l’ascolto, con la creatività, con il gioco ma essenzialmente attraverso la conoscenza di donne che hanno segnato pagine importanti della nostra storia. Non è facile scardinare i pregiudizi ma si può attraverso un insegnamento che privilegi in tutte le discipline figure femminili e maschili in modo paritario.
Manca nella scuola una cultura al femminile. Sono pochissimi i nomi di donne presenti nei percorsi didattici che hanno operato in vari campi dello scibile e che sono morte per una causa, un’ideologia o per il proprio pensiero. L’istruzione è lo strumento essenziale per conoscere, confrontarsi, educare ed educarsi; solo se si insegna agli studenti fin da piccoli che la violenza contro le donne è un comportamento da condannare, potremo affrontare il problema alla radice e tentarne una soluzione.
È la comunicazione la base dell’educazione, il mezzo più idoneo per conoscere e abbattere il pregiudizio.
La violenza contro le donne mina le fondamenta della nostra società che ama definirsi in progress. Molte sono le iniziative a livello socio-politico per combatterla, tuttavia essa è in aumento. Il problema non è né semplice né immediato nella soluzione e si deve affrontarlo associando alla scuola la famiglia, perché è in famiglia che si consumano le peggiori violenze di cui i figli sono testimoni. I bambini seguono i modelli con i quali convivono e ne ripetono i gesti: i maschi con la violenza iterata, le femmine subendola. La violenza genera violenza ed è questo l’aspetto più raccapricciante del problema. Siamo sempre noi adulti a ledere i canoni dell’educazione offrendo di noi un’immagine negativa. Il problema non riguarda solo le classi meno abbienti che vivono una condizione di precarietà ma tutti i ceti a dimostrazione di quanto la violenza sia insita nel vivere quotidiano. Accanto a forme di tutela di ordine socio-politico è necessario che la cultura svolga il suo compito e che attraverso l’uso di strumenti educativi e l’attivazione di strategie mirate insegni che il ruolo che la donna ha avuto nella società, è stato fondamentale in ogni tempo e ne riscatti la dignità. È necessario pertanto che nomi femminili siano molto presenti in tutti i linguaggi della comunicazione ed essenzialmente nei libri, in modo tale da abituare i ragazzi, fin da piccoli a conoscere, a pensare e a parlare al maschile e al femminile.
Il tempo più proficuo a scuola è quello dedicato all’educazione alla convivenza, che assicuri a tutti i membri della società, dignità e rispetto, componenti essenziali perchè una società si evolva.
La violenza sulle donne è segno di grave inciviltà che deve spingerci a riflettere affinché i nostri figli non subiscano le nostre negligenze e non ripetano i nostri errori; è questa una nostra responsabilità.
Solo l’istruzione può aprire le menti alla riflessione e abbattere l’oscurità. È tra i banchi che si educa e si legittimano principi e regole. I soldi investiti in cultura sono i più fruttuosi perché la formazione pone le basi del vivere civile.
Di fronte alla violenza, sembriamo foglie sparse su un terreno arido portate come automi lontano dalla vita al primo soffio di vento, fragili nella volontà, privi di quel pensiero, di quella volontà che ci consente di compararci e di contrapporci. Ma noi non siamo foglie, siamo realtà pensanti. Noi possiamo, noi dobbiamo agire.
La colpa di quanto sta accadendo sta in tutti noi che abbiamo perso i parametri del vivere civile in un mondo in cui la corsa all’avere è sproporzionata all’essere.
Forse incautamente abbiamo allontanato da noi la fonte di ogni conoscenza, il libro, la parola, il sentimento, deviati nelle nostre scelte da miraggi inconsistenti.
Nella lotta alla violenza sulle donne, dobbiamo riscoprire la nostra identità di persone nutrite di forza e di coraggio, capaci di dialogare e di superare lo stato di ferinità che ci attanaglia. Il cammino della donna per rivendicare il rispetto che le è dovuto di diritto è molto arduo e lo sarà fino a quando l’uomo non si emanciperà e comprenderà che la parità è un diritto di natura dato che gli esseri pur diversi fisiologicamente, hanno gli stessi diritti e meritano lo stesso rispetto.
Perché si superi questa differenza radicata è necessario applicare la pars destruens e la pars costruens dove la demolizione riguarda le differenze e i pregiudizi maturati nel tempo e la ricostruzione la nascita di un mondo in cui tutti hanno diritto di esistere con pari dignità.
Il rispetto reciproco si insegna da piccoli ed è questa semplice parola che ci rende civili perché riscatta la dignità altrui e la propria onestà.

Anna Lanzetta
Responsabile Sezione Didattica
Associazione Culturale MultiMedia91

domenica 18 novembre 2012

E una colomba volò sul tuo seno





Nel tempo infinito della vita


Improvviso sei arrivato
Profumato di utero
Con dentro il tuo battito
Il ritmo materno
Del suo cuore, del loro amore.

Suggello di unione eterna
Membrana indissolubile
Sigillo alla continuità
Dell’essere che rinnova unito
Il mistero della vita
Intrisa di latente religiosità.

Come colomba bianca vestita di purezza
Ti sei posato sul suo giovane seno
Coperto dalla mano paterna
dolce
in un silenzio immune da parole.


a Pietro il mio primo nipotino,
a Martina, a Giovanni
martedì 13 novembre 2012, h 20.15

Anna Lanzetta







mercoledì 14 novembre 2012

L’incanto dell’arte nella sacralità del Battistero di San Giovanni





Crocifisso di Filippo Brunelleschi

L’arte incornicia il Sacro nel Battistero di San Giovanni a Firenze con l’ostensione di tre crocifissi lignei quattrocenteschi di Donatello, Filippo Brunelleschi e di Michelangelo, provenienti rispettivamente dalle basiliche fiorentine di Santa Croce, Santa Maria Novella e Santo Spirito.



Crocifisso di Michelangelo

Si resta col respiro sospeso di fronte alla bellezza dei tre Crocifissi che sembrano posti come interrogativi e risposte per il visitatore, accostati insieme sotto il mosaico medievale del Battistero, raffigurante Cristo Pantocratore.



Crocifisso di Donatello

Sono i giganti dell’arte, dell’espressione portata agli estremi, della magnificenza di quel genio che tanta gloria diede a Firenze, e che a distanza di secoli appare intatta nel suo messaggio umano e cristiano. Donatello, Michelangelo e Brunelleschi sono l’espressione del momento aureo dell’arte. L’uno complementare all’altro, tre linguaggi che risuonano all’unisono e raccontano il sacrificio della Croce,  posti lì a monito dell’uomo a ricordargli realtà e verità.

L’ostensione è stata allestita dal venerdì 2 a domenica 11 novembre in occasione di Florence 2012, la Biennale Internazionale dei Beni culturali e Ambientali.

Anna Lanzetta

Responsabile della sezione didattica
Associazione Culturale MuliMedia91

sabato 3 novembre 2012


Quando l’infanzia ci chiede “Amore”




Ci eravamo illusi di essere una società in progress ma considerata la condizione che l’infanzia vive nel nostro paese, ne siamo ben lontani.
Avevamo superato un tempo lo stato animalesco, perché pensavamo di agire col cuore verso i più deboli, i più bisognosi, verso l’infanzia ma gli animali ci superano in amore.
Una società senza fondamenta basate sull’ “amore” non può dirsi civile, non è tale chi non rispetta i diritti dell’infanzia al di là delle leggi e del colore.
Non passa giorno senza che l’infanzia venga offesa nella propria dignità, segno di un degrado sociale che ormai non ha argini. I bambini sono vittime della nostra follia. Fino a quando dovranno pagare, prima che ognuno di noi si accorga del rischio che la stessa società sta correndo, inquinando le proprie radici?. Quale mondo possiamo immaginare quando la violenza si abbatte sui minori a dismisura e in qualsiasi forma?. Quale evoluzione possiamo sperare quando si nega ai bimbi di sedersi a mensa, quando vengono pubblicamente contesi, quando si impedisce ai più sfortunati di vivere l’esperienza della vita con i propri coetanei e si condannano alla segregazione?. Quale modello di società stiamo offrendo a questi bambini? E quali ripercussioni avranno sulla loro crescita e sulla società che noi stessi componiamo?.

Elena aveva solo 14 anni, quando in un’ esperienza didattica di scrittura creativa, riscrisse il racconto di Pinocchio:

Storia di un burattino che

non diventa bambino

Pinocchio era un burattino molto particolare.
Agli occhi degli altri era solo un pezzo di legno, ma in realtà era birichino e capriccioso, proprio come un bambino vero. Pinocchio era molto fiero di questo, perché il suo sogno era proprio quello di trasformarsi in un bambino in carne ed ossa a tutti gli effetti.
Fin da quando Geppetto lo aveva costruito, si era ripromesso di fare il buono, perché la Fata Turchina, suo angelo custode; gli aveva detto che se si fosse comportato bene avrebbe realizzato il suo desiderio.
Dobbiamo considerare che per il povero burattino fu molto difficoltoso mantenere la sua promessa, ma pur di riuscirci, s’impegnò moltissimo. Pensate che una volta, piuttosto che andare a divertirsi con gli amici, preferì recarsi a scuola per amor della cultura, o forse, ( ma fa lo stesso) per amore delle caramelle, dato che il giorno prima, la maestra aveva promesso ai suoi cari alunni che avrebbe dato due dolcetti per ogni compito assegnato a casa, svolto correttamente.
Purtroppo, data la sua indole, non sempre Pinocchio riuscì ad essere così giudizioso e una volta, scappò di casa per una settimana, per alloggiare nel paese dei balocchi.
Laggiù si divertì un sacco, ma una mattina gli spuntarono le orecchie d’asino, perché ormai non sapeva più né leggere né scrivere. Sconsolato incominciò a piangere a dirotto e faceva una gran pena a vederlo!
Come sempre corse in suo aiuto la Fata Turchina che lo riportò a casa e, per farlo guarire del tutto, decise di iscriverlo alle scuole serali. Che punizione! Pinocchio però, con grande meraviglia di tutti, si comportò proprio come un bravo bambino, perché voleva realizzare a tutti i costi il suo sogno, ma la sorpresa che ebbe, proprio quando stava per raggiungere la sua meta, fu sbalorditiva.
Difatti le cose non andarono bene e il burattino non divenne mai un bambino a tutti gli effetti.
Eh sì, fu proprio così! E sapete perché? La Fata Turchina non può niente contro le decisioni dell’uomo, in un mondo in cui i sogni dei bambini e i giochi di fantasia stanno sparendo a causa della sete di soldi e di potere dell’uomo; neanche un povero burattino può sorridere soddisfatto ai propri desideri!
La Fatina gli ha regalato la vita, ma la bontà innocente di un pargolo non è sufficiente a realizzare i suoi sogni.
Dalla finestra Pinocchio guarda tutto ciò che lo circonda: palazzi, case, pochissimi spazi verdi, mille e mille costruzioni in atto e per la prima volta capisce la realtà: con tristezza e rassegnazione sospira e con gli occhi rivolti al cielo, sogna mondi impossibili, mentre una piccola lacrima scorre sul suo viso inanimato. ( racconto di Elena Mancuso)

Allora il racconto mi sorprese e mi rattristò molto. Mi convinsi poi che i ragazzi vedono la verità più di noi adulti. Pinocchio sceglie di restare burattino perché vede che i bambini soffrono molto e lui ha paura della violenza e del nostro egoismo. Era implicita nelle parole di Elena la paura verso noi adulti che pensiamo solo a noi stessi. Pinocchio resta solo e piange. Egli rappresenta l’infanzia di tutto il mondo che piange per la nostra stoltezza e che tra le lacrime ci chiede un mondo migliore, ci chiede di ascoltare il nostro cuore.

Anna Lanzetta
responsabile della sezione didattica
Associazione Culturale MultiMedia91