giovedì 30 settembre 2010

Quella scodella vuota..., nelle mani di un bambino




Quanti sono 40, 70, 100 e più milioni di euro? Come si contano? Dove si conservano?
Viene spontaneo chiedersi tutto ciò, quando a qualcuno è riservato il privilegio di vederli tutti insieme, di stringerli in palmo e di programmare…pochi, pochissimi i privilegiati a fronte della massa di diseredati.
Poi, prendi in mano per caso questa immagine e sei assalita violentemente da commozione e rabbia.
Ormai non è necessario andare molto lontano per vedere scene come questa; ormai la sofferenza, la fame, la miseria, la massa di diseredati sta raggiungendo la nostra casa, dove forse il vivere quotidiano non è ancora per tutti, disperazione.
Quelle scodelle vuole ci richiamano al dovere dell’umiltà, al dovere di guardarci dentro per vedere fino in fondo la realtà e chiederci se sia giusto un mondo diviso in due, dove  la minoranza di chi ha, vince sulla stragrante maggioranza di chi non ha.
E se avessimo meno disuguaglianza? Se i parametri che ci dividono fossero meno accentuati? Se rinunciando a qualche agio, potessimo insieme riempire quelle scodelle in qualsiasi angolo del mondo? Forse il potere ci sovrasta? Forse temiamo anche una benché minima rinuncia? Eppure ogni “credo”, alla sua radice, predica il senso di umanità che dovrebbe appartenere a tutti.
Non sono i 40 o 70 milioni di euro a sconvolgere chi nel quotidiano vive con dignità e umiltà ma la differenza sostanziale che essi rappresentano in un mondo in cui molte, troppe scodelle restano vuote, iniziando dal nostro vicino di casa.


Kathe Kollowitz, Kaliningrad, 1867-Moritzburg, 1945
Deutschlands Kinder Hungern (1924) 

                                                                          Anna Lanzetta
                                                                      annalanzetta@libero.it

mercoledì 29 settembre 2010

Quei meravigliosi occhi, color smeraldo


                                                                         Briciola

Dopo quattordici anni di convivenza mi ha lasciato. Non pensavo che una  gattina potesse provocarmi un vuoto così profondo.
All’improvviso non si era più nutrita, né si staccava  più dal cesto.
Sarà diventata pigra con l’età! Pensavo! Ma poi mi accorsi che qualcosa di brutto stava per succedere. La corsa in clinica, le cure adeguate, ma nessun mutamento.
La seguivo nei brevi percorsi, perché non andasse via, a morire lontano da me.
Stavamo ore in giardino, lei mimetizzata sotto la siepe di alloro e io seduta a spiarne ogni piccola mossa.
Briciola, la chiamavo, spostando le foglie e lei mi guardava con i suoi incredibili occhi color smeraldo.
Quante ore l’ho tenuta in braccio, cullandola e carezzandola, perché sentisse  che la volevo ancora con me, che quattordici anni trascorsi insieme non erano tutta una vita, che non potevo, che non volevo  perderla. Quante cose ci siamo dette in quei lunghi silenzi con le sue zampine strette tra le mie mani, con la testa appoggiata e gli occhi fissi nei miei.
Bisogna avere cura e rispetto per gli animali,  per ciò che ci insegnano, per l’affetto che ci donano, perché non possono difendersi contro la nostra insana violenza, perché ogni nostra crudeltà li ferisce mortalmente. Basta accarezzarli  per sentirne la tenerezza e desistere da tristi propositi.
La mia Briciola è morta; se ne è andata senza un lamento, tranquilla come era vissuta e chiusa in una scatola ora giace sotto un ulivo.
Non posso esprimere a parole ciò che in questi anni mi ha donato, non sempre si può, e ora che non c’è più la sento ancora vicina, mi sembra a tratti di scorgerne l’ombra  saltellante di quando era  piccina, di rivederla sul davanzale accanto al vaso di gerani, quando bellissima, nel suo manto a macchie grigie, faceva innamorare tutti i gatti del vicinato; quello bianco, grande e grosso che si stendeva per raggiungerla, non l’ho più visto. Chissà! Forse la cerca altrove o forse anche lui non c’è più. 
E mentre scrivo, sento il suo peso sulle ginocchia, come un tempo, guardo la sua foto e penso che ho perso un’amica, una cara e indimenticabile amica.

                                                                           Anna Lanzetta
                                                                      annalanzetta@libero.it

Chi sono? Una monade schiusa



                                                                    Il doppio segreto

A chi mi chiede chi sono, rispondo che non mi è facile descrivermi. Potrei dire: -sono ciò che gli altri vogliono che io sia-, ma il senso sfugge e io dico ciò che sento di essere.
Sono una piccolissima monade che un giorno per amore si schiuse alla vita e col primo vagito si accorse di appartenere al mondo.
Amo il creato nella  totalità della sua bellezza, che giorno dopo giorno arricchisce la mia mente e il mio spirito e che mi dona la felicità di essere nata, di essere donna,  moglie, madre e insegnante.
Tra gli ingorghi  del mio essere, resto estasiata di fronte al ciclico ritorno della vita  nel mutare dei colori, nello sbocciare di un fiore, nel sottile miagolio della mia gatta, nel sorriso di un bimbo, nell’abbraccio col diverso, nel canto di popoli antichi, nelle danze tribali, nella preghiera che si leva al mattino, nel riverbero delle stelle, nel raggio di luna, quando argenteo mi avvolge i capelli come spira.
Sono nata in un tempo né vicino né lontano, il tempo della mia vita che mi scorre lento sul capo, tra i lunghi voli dell’immaginazione che alimentano la fantasia  sul sentiero delle percezioni e delle sensazioni.
Amo il verso libero, la solitudine di Petrarca e il desiderio di vita e di amore di Leopardi che a tratti si riflettono in me, ma sento profondamente tutti gli altri poeti.
Amo la poesia in  stretto connubio con la musica e con tutte le arti che aprono l’animo umano all’infinito dei mondi.
Piango di commozione di  fronte a un’opera d’arte e Friedrich lo dimostra.
Amo chi sa e chi mi dona il suo sapere con umiltà.
Amo gli spiriti nobili, perché trasmettono il senso più profondo delle cose.
Amo ogni civiltà, perché espressione del nostro cammino.
Amo il sapere, perchè rende liberi.
Amo la lealtà, l’onestà e l’amore.
Amo ogni espressione artistica che mi dona emozioni.
Amo vivere con il disincanto di un’età che non sente sulla nuca il fluire del  tempo.
Amo il tempo della mia vita con i lenti rintocchi di un amore che non ha età.
Amo  trasmettere i valori nei quali ho creduto e credo.
Sono una donna che ha dato la vita a tre esseri meravigliosi e che ha donato tutto l’amore a un grande cuore.
Una donna che sente l’insegnamento come una missione e che intende il sapere come luce dell’intelletto.
Insegnando, ho vissuto tra  il fiore più puro della fanciullezza, tra la gioia dell’adolescenza, tra l’enfasi della giovinezza.
Amo vivere la felicità  malinconica di chi non ha più la verde età e  cogliere negli  altri e in me l’ansia di vederla volar via.
Offro ciò che negli anni ho acquisito e realizzato e ciò che gli altri mi hanno donato, mantenendo intatta la curiosità  che  spinge il mio sguardo  oltre le cose.
Sono quella che sono, un giorno fiore, un altro frutto; un giorno cielo, un altro mare, terra, aria; infinite realtà di un mondo che amo e di cui mi sento parte rotante.


René Magritte, Lessines, 1898-Bruxelles, 1967
"Le Double Secret" o "Il doppio segreto, 1927

                                                                     Anna Lanzetta
                                                                annalanzetta@libero.it


martedì 28 settembre 2010

Agenda di classe: quelle quattro mura bianche


                                                                  Platone e Aristotele


E all’improvviso è scomparso il “tempo” che mi separava dai banchi, dai volti in attesa, da quelle quattro mura bianche intrise della mia passione, di un amore non ancora consumato per la scuola e per l’insegnamento. Un tonfo al cuore, quando,  entrando nell’auditorium, mi sono ritrovata tra 180 studenti e poi  200, pronti con penna e foglio ad ascoltare, ad ascoltarmi.
Non pensavo di incontrarne tanti e l’emozione ha avuto il sopravvento. Sono ritornata indietro al mio tempo di  insegnante e lo smarrimento mi ha sorpreso ma il contatto con quella  realtà in me mai sopita  ha trasvolato ogni ansia e ho sorriso del mio imbarazzo.
In attesa aspettavano che cominciassi, ignari di ciò che mi stessi chiedendo: cominciare con il tricolore e tracciarne la storia? Parlare subito dell’ “unità d’Italia” e puntare dritto alla Breccia di Porta Pia? E come avrei parlato del potere temporale della Chiesa? Dei Patti del Laterano? Della Questione romana? Il tema era vasto e complesso! Come avrei manifestato il mio compiacimento per un evento storico così importante e il mio livore per ciò che si sarebbe potuto evitare? Come avrei parlato per evitare la loro noia?. Sembra lungo il pensiero nell’imminenza dell’azione, ma tutto è avvenuto nel modo più semplice, una chiacchierata tra pari per  seguire in immagini la storia  d’Italia e le sue vicende dal 1861.
La storia è il nostro presente che si lega al passato come appartenenza. È un  dovere raccontare, è un diritto sapere, per tramandare. Protagonisti di quella storia siamo ancora tutti noi in una linea di continuità col passato. Avevo iniziato con il “senso” della Storia, a me molto caro e siamo così entrati nel cuore della nostra Italia, un pezzo di terra esposto nei secoli a mille soprusi, a invasioni, a conquiste, a dominazioni e ancora oggi al pericolo di divisioni territoriali, di sostituzione di simboli, di rifiuto del nostro inno.
Speriamo che ciò non accada, anche se il pericolo incombe con tutte le sue lacerazioni e con la poca avvedutezza di chi opera senza ragione e senza cuore.
Eppure Manzoni era stato chiaro, quando aveva detto:                                  
Chi potrà della gemina Dora, / Della Bormida al Tanaro sposa, /Del Ticino e dell’Orba selvosa / Scerner l’onde confuse nel Po; / Chi stornargli del rapido Mella / E dell’Oglio le miste correnti, / Chi ritorgliergli i mille torrenti /Che la foce dell’Adda versò,
Quello ancora una gente risorta / Potrà scindere in volghi spregiati, /E a ritroso degli anni e dei fati, / Risospingerla ai prischi dolor; / Una gente che libera tutta / O fia serva tra l’Alpe ed il mare; / Una d’arme, di lingua, d’altare, / Di memorie, di sangue e di cor. A. Manzoni, da Marzo 1821
Un buio è calato dentro di me e forse è stato avvertito!
Scorrevano le immagini dell’Italia e con esse il suo travaglio e il suo sacrificio. Scorrevano i simboli del nostro tricolore e della sua storia. Era presente l'ombra di Mameli e il suo Inno che ci appartiene e ci rappresenta.
I ragazzi annotavano le date del Concordato e della sua revisione e le tante encicliche, le interferenze della Chiesa nelle problematiche che toccano tutti noi e le nostre scelte e le mie che vivo nel credo di una laicità che mi accompagna da sempre nella scelta dei valori.
Come è tutto cambiato in pochi anni, pensavo mentre dialogavo, e come tutto sta cambiando per altri obiettivi che alterano il puro “senso” della storia, della cultura, della scuola.
I ragazzi annotavano ciò che dicevo,  in un piacevole brusio che a momenti si accentuava ma  che non distoglieva dal dialogo.
La scuola sta cambiando, mi dicevo, ma coglievo nei ragazzi  la freschezza di sempre e speravo che nessun cambiamento in atto ne alterasse gli elementi di volontà e disponibilità .
Un saluto e un ringraziamento reciproco e poi  silenzio nell’auditorium; avevo ancora una volta ricevuto tanto da loro. Mi chiedevo se li avessi altrettanto ripagati e già pensavo alle altre scuole in cui avrei parlato non solo di questo ma anche di letteratura, di arte e di musica, atte a fecondare la conoscenza del nostro Risorgimento.

Conferenza sul tema “La Breccia di Porta Pia e il rapporto Stato-Chiesa” Istituto Russell Newton Scandicci (Firenze)
20 settembre 2010-09-28

Platone e Aristotele o la filosofia, Formella 21 del Campanile di Giotto, Firenze.
Opera di Luca della Robbia, Firenze, 1440 circa-1481
                                                                      
                                                                       Anna Lanzetta
                                                                  annalanzetta@libero.it

domenica 26 settembre 2010

Non uccidere! Non uccidermi!


                                                                Crocifissione 1993

Mamma non posso dimenticare, mi ha detto mio figlio con emozione… non posso dimenticare la frase di quel film …mentre lo accompagnavano verso la sedia elettrica… gridava uno dei carnefici: “uomo morto in marcia”,  nel  film “Dead Man Walking- Condannato a morte,  dal libro di Prejean Helen.
Cosa significa,  mi sono chiesto... avviene proprio così? Dove inizia e dove finisce il cinismo di questi uomini? Cosa provano mentre gli infilano l’ago per l’iniezione letale? Cos’ è la vita di un uomo per un altro uomo? Mai dimenticherò il volto di quel condannato, con i tratti del bravissimo Sean Penn, un volto indefinibile nella sconfitta della vita, nella vittoria della morte. Ancora mi sto chiedendo cosa avrà pensato il condannato in quel tratto di corridoio… al dolore straziante della mamma? Ai suoi cari? Ai suoi amici? Ai suoi amori? Ai suoi progetti di vita ? O all’infinita immensa bellezza del mare, del cielo, di un prato di  girasoli, o al sublime coro  degli uccelli, all’irrefrenabile corsa di un torrente? Si sarà  sentito egli stesso torrente nel vortice della vita? Torrente… che correva a gorghi verso un domani ormai precluso?.
Mamma, mi  ha chiesto angosciato… cosa pensi che si  provi quando ti strappano a forza la vita e la morte diventa  spettacolo? Si può  togliere a un  uomo ciò che gli appartiene di diritto? Quanti delitti accadono ogni giorno per impiccagione, lapidazione, iniezione? C’è una morte meno atroce di un’altra?

La morte è morte e ha un solo volto, un solo spasimo, un solo grido, contro l’umanità inerte a sopperire.
Mi terrorizza la morte, ma ancora di più il pensiero che in ognuno di noi esista  questo stato di violenza  che ci rende “animali” in cerca di una preda. Come si può considerare  morto un uomo che respira, che ha palpiti, che ha un cuore, che pensa, che vive… come si può alzare la scure  e colpire chi nasce  con noi da uno stesso utero sanguigno?.
Secoli e secoli di storia mi passano da un tempo lontano, proiettati in un tempo futuro intriso dello stesso odio, della stessa violenza perpetrata a un volto dai contorni sfumati, dai colori indefiniti, da una fisionomia alterata dal terrore della morte…lì vedo un uomo straziato, in fondo una donna lapidata, accanto  un bimbo abbandonato. Interrogo la  Croce che domina ma senza  esito questa immane follia. Quanti conoscono la lezione di Beccarla? Quanti fingono di non conoscerla? Straordinario messaggio umano ignoto ai più.

Uomo che uccidi: io non ti conosco! E con terrore guardo in me, con angoscia interrogo il mio io e il dubbio di ciò che saremo e di ciò che sarà mi toglie il respiro nell’attesa lacerante di sapere.

Francis Bacon,
Dublino1909,Madrid 1992, Crocifissione1933                                                                                                  

                                                                    
                                                                        Anna Lanzetta
                                                                   annalanzetta@libero.it



giovedì 23 settembre 2010

Se il mondo fosse una danza!


La pittura del Beato Angelico innamora qualsiasi cuore, per levigatezza, luminosità e l’incanto dell’umiltà.
Se il mondo fosse una danza,  sarebbe un’armonia universale: senza lacrime, senza dolore, senza lamenti;
sarebbe un grande, immenso sorriso di pace, di  amore, di gaudio eterno; sarebbe una danza infinita.
La pace non è un progetto irrealizzabile, -non occorre lottare-, basta amare.
Con l’impegno di tutti si può costruire un mondo più felice  di fratellanza e di armonia, “un mondo d’amore”.

NON OCCORRE LOTTARE

Abbi fiducia, non occorre lottare:
siamo tutti parte della totalità
Sorgiamo come onde sull’oceano della totalità
e di nuovo ci dissolviamo in quell’oceano.
Per un istante godiamo la luce del sole e il vento
e poi scompariamo.
Ci ergiamo nella bellezza, nella gioia, nella danza
e danzando ci dissolviamo nella bellezza e nella gioia.
Vivi con gioia infinita
e con gioia infinita muori.
A questo ti invito a gran voce,
ma tu devi uscire alla luce del sole,
devi farti coraggio
e uscire dall’oscura caverna del tempo, delle vecchie
abitudini, uscire dal tuo lungo, lungo, lungo sonno.
E quando ti sei svegliato la vita è una danza, un canto, beatitudine, benedizione.
Osho

Osho è stato un  mistico e maestro spirituale indiano.
Nato a Kuchwada nel Madhya Pradesh, in India Centrale, l’11 dicembre 1931, è morto il 19 gennaio 1990 a  Pune, famosa, perché dal 1974 Bhagwan Shree Rajneesh che,  alla fine degli anni ottanta cambierà il suo nome in Osho, vi fondò il suo Ashram (luogo di meditazione).

Beato Angelico - Giudizio Universale (dett.: Danza dei Santi) 1431 circa Museo di San Marco – Firenze
Giovanni da Fiesole, detto il Beato Angelico (Vicchio, 1395 circa- Roma, 1455).
 Anna Lanzetta

martedì 21 settembre 2010

Il "sole" è vita ma non il "sole di Adro"




Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature,
spetialmente messer lo frate Sole,
lo qual è iorno, et allumeni noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significatione.
Francesco d’Assisi  Cantico delleCreature o Cantico di Frate sole

Il  “Sole”, da sempre simbolo di vita, non può essere confuso con il  termine improprio di “ sole delle Alpi”, che  esposto come simbolo,  in numero esorbitante, nella scuola di Adro, non risplende ma oscura la mente e il cuore.
Il simbolo suscita vergogna verso chi ha avuto questa idea malsana, compassione verso chi è costretto, suo malgrado, a subirlo, costernazione in chi vede in tale simbolo un elemento di divisione che lede profondamente la nostra unità nazionale;  simbolo raccapricciante,  perché esposto in una scuola, luogo deputato alla formazione e all’educazione dei nostri giovani.

Sconvolge questa teatralità e l’utilizzo di simboli , miranti a un distinguo, ma che evidenziano  soltanto la tracotanza,  l’ignoranza  e la  presunzione di chi pensa di utilizzarli  per tracciare una propria identità differenziata, senza considerarne il danno a livello educativo,  provocando un disorientamento nei propri  figli nel senso più puro  della  storia, come “appartenenza”.

Che ben vada via dal territorio italiano ( e spero, in nome del buon senso, che siano in pochi) chi non ne conosce e condivide la “Storia” ma che non si arroghi il diritto di dire che sta educando, perché simboli, barriere, pregiudizi e discriminazioni nulla hanno da  condividere con un sistema educativo se non quello di evidenziare limiti, negligenze e creare distorsioni.

L’utilizzo di questi simboli, come di tanti altri gesti, nati per un distinguo, si commenta  dunque da solo e alto per fortuna  sta diventando il coro dei dissenzienti.
Queste azioni  offendono nel profondo la sensibilità di chi ha a cuore la scuola e che  vede in pericolo il processo di formazione, il cui obiettivo primario dovrebbe essere l’educazione ai nostri valori, che ci hanno distinto, e che solo se  difesi,  ci possono ancora distinguere in termini di “unità, tolleranza, apertura alla diversità, al dialogo, alla comunicazione”.

Mai come in questo momento la “storia” deve diventare uno strumento contro ogni sistema di divisione. Auspichiamo una presa di coscienza collettiva  in un momento in cui ci accingiamo a celebrare i centoquarant’anni della Breccia di Porta Pia con Roma capitale d’Italia e i centocinquant’anni della nostra “unità nazionale” che tanto ci costò.
 
Spero che il “risveglio” tocchi la mente e il cuore di chi siede negli alti ranghi, che  ci sia in loro  un risveglio immediato  verso tutto ciò che di negativo si  sta  verificando nel mondo della scuola e verso tutte le componenti che vi operano, perché le divisioni  non fanno crescere né il paese né la scuola. Spero che risorga di  nuovo e per tutti  il vero sole  della vita, portatore di un ampio respiro.

Anna Lanzetta

lunedì 20 settembre 2010

Pagine di storia: 20 settembre 1870 La Breccia di Porta Pia





« Roma è la capitale del mondo! In questo luogo si riallaccia l'intera storia del mondo, e io conto di essere nato una seconda volta, d'essere davvero risorto, il giorno in cui ho messo piede a Roma. Le sue bellezze mi hanno sollevato poco a poco fino alla loro altezza »
(Johann Wolfang von Goethe, Italienische Reise, Viaggio in Italia, 1813-1817)

« Roma è la sola città d'Italia che non abbia memorie esclusivamente municipali; tutta la storia di Roma, dal tempo de' Cesari al giorno d'oggi, è la storia di una città la cui importanza si estende infinitamente al di là del suo territorio; di una città cioè destinata ad essere la capitale di un grande Stato. »
(Cavour, Discorso al Parlamento di Torino, 25 marzo 1861)

Il 20 settembre 1870, Roma, la città eterna, diventa capitale d’Italia.
La presa di Roma non fu né facile né indolore.
Non riuscì l’azione di Garibaldi e dei garibaldini, sconfitti a Mentana (3 novembre 1867) da un corpo di spedizione giunto dalla Francia.
Vani furono gli  appelli che il re Vittorio Emanuele II rivolse al papa Pio IX perché cedesse Roma.
Inevitabile fu quindi il ricorso alla forza.
All’alba del 20 settembre 1870,   l'artiglieria italiana cominciò a colpire Porta San Giovanni, Porta San Lorenzo, Porta Pia e Porta Salaria, concentrandosi in particolare sul tratto di mura tra le ultime due porte.
Alle 9.00, un tratto delle mura a destra della michelangiolesca Porta Pia crollò, e si aprì una breccia.
Alle 9.45 l’artiglieria dell’esercito italiano, bersaglieri  e fanti, guidata dal generale Raffaele Cadorna, al grido di "Savoia!", aprì una breccia di circa trenta metri nelle mura della città ed entrò in Roma.
Roma era italiana!.
 
Sventolava il tricolore con lo scudo sabaudo, tolto poi perché il tricolore diventasse “ La bandiera nazionale italiana”, quella indicata dall’art. 12 della Costituzione:- La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

Dice De Sanctis: "Abituati a vedere la nostra bandiera, oggi la guardiamo con indifferenza, senza ricordare che è stata bagnata da tanto sangue ed ha ispirato tanto entusiasmo. Con che palpiti, quei tre versi del verde, rosso e bianco erano mormorati sottovoce, quando pareva un sogno vedere sventolare la bandiera tricolore!".
E la bandiera di tre colori / sempre è stata la più bella: / noi vogliamo sempre quella, / noi vogliam la libertà!…
(Anonimo del 1848)
Anna Lanzetta