mercoledì 27 febbraio 2013



L’Italia nella tempesta



J. M. W. Turner (1775-1851), Shade and Darkness, 1843


I risultati di queste elezioni non hanno risolto nessun problema e siamo tutti in ansia di sapere cosa succederà. È inspiegabile come sia potuto accadere che un partito senza più vita sia risorto! Che un partito che avrebbe dovuto avere una piena conferma, a stento sia emerso senza clamore. Che un movimento abbia raccolto così tanti consensi. Questa realtà ci induce a meditare e a riconoscere il pieno fallimento delle idee sulle quali e forse illudendoci ci eravamo retti. Si fa strada la consapevolezza di appartenere a un’altra epoca, a un altro tempo ormai sepolto. Cosa succederà? E come “color che son sospesi”, attendiamo il responso della “Sibilla”che annuncerà intese, accordi, programmi che tutti possiamo solo immaginare e auspicare. Gridare alla vittoria? E di chi? Non ci sono vincitori e i vinti sono già spariti.

Il Paese è una barca che va senza rematori e non si sa né dove va, né se si fermerà, mentre gli occhi dell’intera Europa e oltre sono puntati sconcertati su di noi assordati dallo spread, ammutoliti da un’economia che vanifica quel poco che ci potrebbe salvare ma che va alla deriva. Il malessere che ci invadeva prima delle elezioni, si è acuito. Cosa faranno? Si alleeranno? Cambierà il volto dell’Italia? Metteranno da parte ogni diatriba? Ognuno si interroga se risaliremo la china, se andremo ancora alla deriva, se si affronteranno sul piano delle responsabilità i problemi reali del Paese!. Siamo soli in un dialogo muto che non ha risposte. Non c’è nessuna volontà di partecipare, di nutrire fiducia. Non è facile credere a un cambiamento, né nutrire una speranza per il domani. I giovani attendono. Le donne chiedono. Ce ne andremo via da questo paese ho sentito dire da molti. Chi si adopererà per evitarlo? Fino a quando saremo sordi alle reali necessità? Si stringe il cuore, a pensare che un tempo anche noi siamo andati via e lasciare il proprio paese è una ferita che si rimargina solo dopo generazioni.

Silvia mi scrive: Oggi, per la prima volta nella mia vita, provo un'indescrivibile necessità di fuggire...
Puoi salire, di nuovo, in cattedra e spiegarmela, per favore?
Da sola, non riesco... Carissima, non serve salire in cattedra per capire e spiegare il disappunto di tutti voi giovani e non solo. Credo che una nuvola rosa ci sarà sempre a dipanare l’orizzonte. Credo che un fiore si aprirà sempre per un domani diverso. Ma auspico innanzitutto il buon senso di tutti coloro che sconosciuti ai più sederanno in Parlamento con una legge che più balorda e nefanda non si poteva pensare. In questi giorni se ne sentono tante, ma l’orecchio resta sordo. Parole, parole, parole ma il Paese ha bisogno di fatti che pongano fine a tante storture, a troppe. A chi è segregato e vive senza dignità: ho ancora negli occhi l’immagine di un giovane ammanettato e sofferente in volto. Chissà quale reato aveva commesso! Quando penseremo a guardare in faccia la realtà per un mondo più giusto, per un’Italia che chiede solo normalità ?.



sabato 23 febbraio 2013

Per un atto di contrizione






Rembrant (Leida,1606-1669), Il ritorno del figliol prodigo, 1666.
Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

Ci sono opere che fermano il passo e creano nel visitatore un susseguirsi di stati d’animo: vedere, pensare, riflettere, immaginare.
Il quadro di Rembrand “Il ritorno del figliol prodigo” ha prodotto in me profonde emozioni che mi hanno condotto in un’altra dimensione dell’arte: quella che ti rende partecipe dell’opera come osservatore interno.
Ciò che colpisce chi guarda questo capolavoro è il tema che l’artista rappresenta: la parabola dell’evangelista Luca, del figlio che, dopo d’aver sperperato parte dell’eredità paterna ritorna dal padre contrito, lacero, smunto e pentito. Il gioco di luce e ombre pone più o meno in risalto i componenti la scena la cui fisionomia esprime osservazione, incredulità e amore e illumina in particolare il figlio inginocchiato davanti al padre e il padre che con affetto gli dona il perdono. La scena intrisa di profonda umanità sviluppa un dialogo muto ma coinvolgente. Gli occhi chiusi del vecchio padre uniti alle mani, dolcemente appoggiate, esprimono tutto l’affetto per quel figlio che si era perduto e che è ritornato. La scena emoziona e induce a riflettere sul tema fino a leggervi, a livello personale, un altro significato .

È possibile oggi un atto di contrizione?
L’opera, collocata nel nostro tempo, si pone come metafora di un ritorno all’etica. Benchè sia del 1666 suona nel nostro contesto in tutta la sua modernità, come monito per coloro (e sono tanti) che, mettendo da parte la propria dignità, prendono liberamente a piene mani e sperperano ciò che non gli appartiene affatto, diventando “prodighi”, incuranti di un’indigenza del paese fin troppo palese e dire loro che si può ritrovare il rispetto di sé stessi se si riconosce l’errore delle proprie azioni, se si sa rinunciare a ciò che non ci appartiene, se si è disposti ad ascoltare la giustizia della propria coscienza, l’unica che può ridare la dignità.
L’arte è uno degli strumenti più efficaci per capire in un traslato tra passato e presente il senso dell’agire dell’uomo perchè come l’artista, per creare le sue opere, si serve di elementi tali che gli consentano di codificare il proprio messaggio così noi possiamo decodificare quegli stessi elementi con il nostro punto di vista come metafora dei nostri tempi.



martedì 19 febbraio 2013


Cara Italia




Mancano pochi giorni alle votazioni e non è facile sciogliere il dilemma: “andare o non andare?”.
È la prima volta che il frastuono annulla in me il desiderio di partecipare. Nessuna forza mi coinvolge. Nessun nome mi convince. Profonda è la lacerazione per dover votare con una legge immutata nel suo paradosso. Perché, mi chiedo? Ha ancora un senso?.

“Cara Italia”, era questa la frase più ricorrente durante la presentazione del mio libro “Addio, mia bella addio”, pronunciata un tempo da artisti, letterati e poeti, dal popolo, quando ci si rivolgeva con rispetto e affetto all’Italia perché confidasse nell’amore dei suoi figli, quando i suoi figli e tanti giovani credevano nella causa della sua “Unità”. Erano gli Italiani che ci hanno lasciato onore e valori. Oggi un chiasso assordante avvolge un Paese che arranca alla ricerca di un’ideologia, di un credo, di una speranza ormai svaniti.

Mancano pochi giorni e il dilemma permane e non solo in me. Ciò che ci circonda genera un disagio che induce al dissenso ma al contempo, messa da parte la “rabbia”, si sente il dovere di andare e di partecipare per contribuire ad evitare ritorni indesiderati e disgustosi, per dare, contro la tracotanza e l’ignoranza, una spinta propulsiva a un cambiamento che ci dia un’Italia più giusta, onesta, capace di rivolgere con responsabilità un’ attenzione al Paese e capirne le storture; in grado di utilizzare proficuamente il nostro voto contro una corruzione che non ha più argini, che ristabilisca la norma del rispetto per i più disagiati, per il lavoro, per le donne, per i giovani, per le future generazioni, che faccia della cultura la fonte per la rinascita; che ponga un argine alla disperazione di chi non ce la fa, che riporti la coscienza dell’agire, il rimorso, la vergogna; che ponga un limite ai guadagni troppo alti e dia vita a riforme quali fonti rigeneratrici per il Paese; che annienti i progetti di divisione, che guardi alla dignità e all’onore come fattori dominanti contro ogni sorta di macchinazioni, di promesse subdole e di facili guadagni. Andrò a votare perché so che devo, voterò secondo i miei principi perché non voglio tradirli, perché non voglio lasciarmi sopraffare; andrò, per dare ancora vita alla speranza di un domani diverso, perché sento in me, nonostante le lacerazioni, il richiamo a partecipare in nome di quei precetti di cui mi sono nutrita e che ho trasmesso con convinzione, fedele a quella frase: “Cara Italia” che ancora sento viva in me, che mi dà coraggio contro ogni frustrazione e che mi dà la forza di rialzarmi dopo ogni cocente delusione. Vorrei che quella frase la sentissero dentro tutti gli Italiani per ritrovare l’orgoglio di appartenenza e agire presso l’urna con intelligenza, perché cambiare si può e nel modo giusto se agiremo tutti consorziati in un comune progetto di rinascita.

Anna Lanzetta

giovedì 14 febbraio 2013



Il mio San Valentino con un bellissimo bouquet



I fiori sono la mia passione


Pansè, primule e ancora ciclamini inondano la mia casa e oggi ho aggiunto ad essi il magnifico bouquet di ranuncoli che Silvia mi ha portato in dono.

Adoro i ranuncoli per la varietà dei colori che infondono gioia.

È lontano il tempo in cui Silvia era la mia allieva, prediletta per la sua capacità di scrivere. I suoi componimenti mi lasciavano stupefatta. Oggi siamo amiche e questo mi inorgoglisce.

È proprio vero che la vita non finisce mai di stupirci. E io sono felice per tutte le cose belle che la vita mi dona e Silvia è una di queste.

Abbiamo parlato, sfogliandolo, del mio libro “Firenze nel cuore”, della sua lunga gestazione, del lavoro per la presentazione e mentre parliamo non stacco gli occhi dai suoi ranuncoli. Ha scelto proprio i fiori che preferisco che mi richiamano e da vicino la natura e la sua semplicità. Sono molto grata a Silvia perché vedo due età a confronto ma accomunate dallo stesso amore per la letteratura. Riprendo, mentre parliamo, alcune pagine del mio libro e le mostro “La Pala Nerli” e “ La Madonna della Misericordia” e le raccomando di visitare il Bigallo che considero un gioiello. Sono rammaricata le dico perché il libro mi ha costretta ad essere meno puntuale sul blog ma i lettori capiranno e presto ritornerò tra le sue pagine con cura.

È pomeriggio inoltrato quando Silvia va via con una stretta affettuosa e io resto con una sorta di gioia mista a malinconia proprio come i ranuncoli che nel linguaggio dei fiori significano: bellezza malinconica.




Grazie Silvia

mercoledì 13 febbraio 2013




Marc Chagall

L’amore è "rispetto incondizionato per l’altro"

per dire "no" alla violenza






 

lunedì 11 febbraio 2013


A carnevale pranzate con me


Polpette calde e croccanti

Ragazzi domani tutti a casa a festeggiare il carnevale; siamo in otto.


Ho preparato un’enorme teglia di lasagne con sugo di carne macinata di manzo e di suino. Le lasagne sono quelle ricce che si lessano, si asciugano e poi si condiscono a strati con mozzarella, sugo, parmigiano e un’infinità di polpettine piccolissime.

Ma il piatto forte sono le polpette. Una volta la sera di Carnevale si distribuivano ai passanti per le strade ed era una goduria, tutte diverse ma tutte buonissime.

Ecco, ve le offro appena fritte, calde e croccanti. Poi si ripassano al sugo e vanno anche dopo le Ceneri.




Cenci
A Carnevale non possono mancare i cenci cosparsi di zucchero a velo.

Ma cosa mi succede? Non ero forse io a parlare di evoluzione e di modernità? Ma poi ho scoperto che sono conservatrice e legata ai valori della tradizione.

La cucina è cultura, è il mezzo aggregante per eccellenza e desidero che nulla si perda, perché nelle tradizioni si conservano le radici.

Anche quest’anno ce l’ho fatta. Sono tutti a tavola a gustare lasagne, polpette e cenci e si allontana la dieta e il rigore alimentare perché è Carnevale, è festa, è allegria, è il piacere del ricordo e del cucinare.

È questa la lasagna come la faceva la nonna? Sì e la prossima volta ci metterò pure il salame e l’uovo sodo.

Questa è la tradizione che si perpetua per una memoria che lega le generazioni.

Buon Carnevale a tutti!!!!

venerdì 8 febbraio 2013





Quale immagine avrebbe potuto rendere meglio il clima politico che stiamo vivendo? Prossimi al Carnevale, tra scherzi, allegorie e metafore, la Danza macabra si cala perfettamente nel tema allestendo il più bel carro che si potesse immaginare, identificando in ogni personaggio un protagonista,  scegliendolo tra i papabili della nostra politica. Scheletri, perché a scheletro è ridotta l’Italia spolpata  fino all’osso. Ballano e cantano i protagonisti e nudi di ogni pudore  si posizionano scegliendo il seggio più idoneo alle proprie aspirazioni: il più alto, il più in vista, il più proficuo, il più lucroso, il più vantaggioso.
È la Danza macabra, specchio perfetto della realtà che rappresenta.