mercoledì 25 settembre 2019

Il tesoro di Pazzano: Santa Maria delle Grazie

Eremo di Monte Stella

Tra gli speroni rocciosi dei monti “Stella” e “Consolino” è incastonato Pazzano,  un paese con case accatastate, stretti vicoli detti “magnani” e ripide scale esterne. Con i suoi 529  abitanti  è il paese più piccolo della Vallata dello Stilaro, « ... questo è Pazzano: paese di pietra e paese di ferro. Sta nell'aria e si respira il ferro: sgorga e si rovescia dalla bocca delle miniere, rossastro, sottilissimo, dilagante in flutti di polvere. » (Matilde Serao, agosto 1883). Giuseppe Coniglio nella poesia Pazzanu dice:« Pazzanu è ncassaratu nta ddu timpi / a menza costa tra a muntagna e u mari / duva na vota nc'eranu i minieri i carcaruoti e l'armacatari...>>. Nel periodo borbonico, Pazzano fu importante per essere il principale centro minerario di estrazione del ferro di tutto il Mezzogiorno. Le vallate dello Stilaro e dell’Allaro, avvolte da ripide montagne, coperte da boschi impenetrabili, ricche di sorgenti e di grotte, costituirono il rifugio più adeguato per gli asceti. A partire dal settimo secolo, si popolarono di eremi, laure e cenobi, divenendo la culla della cultura bizantina in Calabria. Nel territorio di Pazzano, a  650 m di altezza, sul versante orientale del monte Cocumella, oggi monte Stella,  un luogo  aspro e selvaggio, le cui rocce sono costituite da calcari del Giurassico, si apre  una grotta naturale al cui interno si trova  la Madonna della Stella, una statua di marmo bianco del 1562 di probabile fattura gaginesca. È questo il tesoro di Pazzano: il Monastero di Monte Stella. La discesa, per accedervi, lungo i 62 scalini scavati nella pietra, è una descensio ad inferos, un’immersione  nelle viscere della terra, attraverso  u rimitiedu”, un anfratto lungo e stretto, privo di luce, dove regna una persistente penombra. Sin dall'inizio alla statua furono attribuiti poteri taumaturgici. All’interno della grotta, oltre alla statua di Santa Maria della Stella, si possono osservare sulle pareti frammenti di antichi affreschi bizantini: la Trinità, l’arcangelo Michele, l’adorazione dei pastori, la Pietà; di particolare interesse è il frammento di un affresco di arte bizantina (IX-XI sec.) raffigurante Santa Maria Egiziaca che riceve l'eucarestia dal monaco Zosimo. Si ritiene  che  sia  il più antico affresco bizantino dell’Italia meridionale e può essere considerato come indizio di una possibile esperienza di eremitismo femminile. Un poeta  anonimo dell'Ottocento, citato in Mario Squillace,  L'Eremo di S. Maria della Stella, così dice: «Saldo t'innanzi e come sempre care / mi sono le tue falde e le tue cime / non ti posso mirare senza sognare / non ti posso mirar senza far rime». E un  canto popolare, citato in Giovanni Musolino, Santi eremiti italogreci: grotte e chiese rupestri in Calabria così recita: <<Accui nci cerca grazzia nci nda duna / cu avi u cori offisu nci lu sana / E io, Madonna mia nda ciercu una / nchianati ‘n paradisu st’arma sana>>. Da eremo della Chiesa bizantina diventò col passare degli anni santuario della Chiesa cattolica; le vecchie icone bizantine furono abbandonate, e non sono state mai più ritrovate. Vari miti e leggende sono sorti intorno alla statua della Madonna come quello che racconta che un tempo il monte fosse un vulcano, che in esso vivesse il diavolo, successivamente scacciato dalla Madonna. 



Santa Maria Egiziaca


Giuseppe Coniglio, conosciuto come “U poeta” ( Pazzano,1922- Catanzaro, 2006), autore di diverse opere in dialetto pazzanito ha scritto di Pazzano. Nel 1973  ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Calabria contadina”, nel 1984 la seconda “Quattru chjacchjari e dui arrisi”, e l’ultima nel 1996 “A terra mia” in cui  è compresa la poesia “A stida” : <<Lu forestieru ca Pazzanu pungia / e guarda all'intrasattu supa u munti / vida na Cruci chi nci vena nfrunti, / para co cielu cu da terra jungia. / E sempa dà i vrazza spalancati / cuomu c'abbrazza ntuornu nzo chi vida / de virdi munti a di tierri bruscjati: /  chida esta a Santa Cruci della Stida… E dà, nta fundità della caverna / regna la paci santa e l'armonia: / a du luci tremanti e na lanterna / vigila e prega a Vergini Maria!>>. E ancora Luigi Consolo: <<sopra il monte scese rilucente / l'astro di fiamma nella notte chiara / di un immortale tremito di stelle. / Quando tra i cerri e i frassini del monte / la solitaria porpora del sole / tinse le rocce pendule dell'antro, / s'effuse un inno di commosso amore / che lungo i freschi rivolti correnti / discese a valle, dilagò da monte / a monte, diventò battito insonne / da mare amre: sul dolore umano / ora la dolce Vergine Maria / nella quiete del profondo speco / le bianchi mani alla preghiera giunge / soavemente: e l'odono i mortali, / curvi nell'ombra della fosca sera>>. Il 15 agosto di ogni anno si effettua un pellegrinaggio alla grotta santuario della Madonna della stella. La festa celebra l'Assunzione della Madonna che ricorda la Dormitio Virginis bizantina. Scoprire la Locride, terra antichissima di suoni, di profumi e di miti è un’esperienza che non si dimentica  tra mille emozioni. Passo dopo passo, tra suggestioni e scoperte se ne apprezza l’origine millenaria che si perde in un tempo infinito ma viva e presente con il suo carico di bellezza ancestrale. Viaggiando, si ritorna sulle orme della storia dove ognuno può leggere in ogni roccia un passato che commuove, che pone interrogativi e che diventa a ogni passo una meravigliosa scoperta.

venerdì 13 settembre 2019

A passi di danza. Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e Avanguardia

Isadora Duncan e l’arte della danza

Eleganza, raffinatezza, armonia di forme e di colori si intrecciano nella mostra  “A passi di danza. Isadora Duncan e le arti figurative in Italia tra Ottocento e Avanguardia”.
Isadora Duncan viene celebrata  in tutta la sua magnificenza come donna e come artista, unitamente agli artisti che la conobbero e la celebrarono.  Plauso ai curatori: Maria Flora  Giubilei e Carlo Sisi. 


Isadora Duncan
Accurata e mirata la ricerca delle opere, bellissima la  loro collocazione che denota uno studio accurato e crea un effetto  scenografico dove pittura e scultura si sposano mirabilmente. L’arte segue un preciso iter di forme e di stili,  presentati da didascalie che ne tracciano la nascita e lo sviluppo ove il Liberty gioca un ruolo fondamentale.

Plinio Nomellini La donna dei fiori 1910 ca acquar su carta coll. priv. Firenze

Non solo mostra ma una panoramica sull’arte ad ampio respiro dove l’occhio vive l’imbarazzo della scelta e il cuore si inebria palpitante di bellezza.
Firenze, Villa Bardini e Museo Bardini
13 aprile 22 settembre 2019

martedì 3 settembre 2019

Uno straordinario reperto: La Sfinge di Vulci

La Sfinge di Vulci


Il Museo Archeologico Giovannangelo Camporeale di Massa Marittima (Gr) offre in visione al pubblico un reperto archeologico fantastico, degno, per raffinatezza, di ammirazione. Un unico reperto, una sfinge etrusca risalente al VI secolo a. C, ritrovata nel 2012, durante  una campagna di scavo, proveniente dalla necropoli dell’Osteria a Vulci (Vt), uno dei più importanti centri dell’Etruria. La Sfinge era collocata nella  tomba 14, detta “Tomba della Sfinge”. Il dromos, un  lungo corridoio di 28 metri, che conduceva all’ingresso del monumentale ipogeo funerario, da cui si accedeva al vestibolo e alle camere funerarie, databili in un arco di tempo compreso tra la metà del VI e l'inizio del V sec. a. C,  testimoniava  con la sua grandezza, l’appartenenza  della tomba a una nobile famiglia che l’aveva destinata alla sepoltura dei suoi membri. A vederla, la Sfinge, animale mitologico, si ammanta di mistero e di curiosità,  che affascinano il visitatore ed è bellissima nella perfetta fattura dove l’umano e il fantastico si incrociano in una perfezione  che si acuisce nell’acconciatura. Si solleva la tenda che la cela e si viene introdotti in un  mondo antico e leggendario. La Sfinge di Vulci, statua funeraria,  scolpita nel nenfro, roccia tufacea di origine vulcanica, ha  testa di donna, corpo di leone, coda di serpente e ali d’aquila. Un tempo teneva lontani dai morti gli spiriti maligni ma poi ha assunto il ruolo  di “guardiana” per proteggere i defunti e accompagnarli nell’Aldilà. L’esposizione è accompagnata da pannelli grafici e informativi  in cui è raccontato il contesto del ritrovamento, il rituale funebre e approfondimenti sull’origine e il significato della Sfinge."In seguito ad un'attenta opera di pulitura delle superfici, sono state evidenziate tracce di pigmento di colore ocra rossa, ad occhio nudo non sempre percettibili ed in contrasto con il colore grigio della ruvida pietra vulcanica in cui è stata scolpita l'immagine  -  racconta l'archeologo della società Mastarna Carlo Casi  - Le tracce di pigmento sono riconoscibili in corrispondenza del collo, sotto il mento e accanto all'occhio destro. La prosecuzione dello studio consentirà di stabilire la relazione con la pratica, assai frequente nel mondo antico, di ricoprire le superfici delle sculture e degli apparati decorativi architettonici con colori a forti tinte, oggi in gran parte scomparsi". «Questa è una raffinata testimonianza – spiega ancora il direttore scientifico di Fondazione Vulci, Carlo Casi - di quella che fu una tradizione propria della produzione artistica vulcente del VI secolo a.C. In questo periodo botteghe vulcenti scolpirono sfingi, leoni, pantere, arieti, centauri e mostri marini, vigili guardiani della quiete eterna dei morti. Ma già intorno al 520 a.C. la produzione di queste statue venne a cessare, forse nel tentativo di porre un limite alle ostentazioni di lusso ormai ritenute inopportune».Tutto il Museo è degno di una visita,  perché ogni reperto parla di un passato che reca le orme della storia che un accurato lavoro rende tangibili.
La mostra sarà aperta al pubblico fino al 31 agosto tutti i giorni dalle ore 11 alle ore 13 e dalle 15 alle 18. Dal 1 settembre al 3 novembre con gli stessi orari ma chiusa il lunedì. L’accesso è compreso nel prezzo del biglietto del Museo Archeologico Etrusco Giovannangelo Camporeale. Info: 0566906366,
email: museimassam@coopzoe.it.