sabato 25 aprile 2015

25 aprile 2015: Festa della Liberazione



La Resistenza nelle opere di Renato Guttuso

25 aprile 2015: la  festa della Liberazione compie 70 anni.
Un giorno importante per la storia del nostro Paese perché simbolo della lotta sostenuta dalle forze partigiane durante la seconda guerra mondiale a partire dall’8 settembre 1943 contro il governo fascista della Repubblica Sociale Italiana e l’occupazione nazista.

<<Arrendersi o perire!>> fu la parola d’ordine dei partigiani.

“Questi innumerevoli morti, questi torturati, questi massacrati, questi offesi sono affare nostro. Chi parlerebbe di loro se non ne parlassimo noi? I morti dipendono interamente dalla nostra fedeltà”. V. Jankelevich

Il modo migliore per ricordare è leggere, allora riprendiamo i libri di coloro che hanno suggellato con i propri scritti in prosa e in poesia personaggi, momenti e situazioni, sacrifici di un tassello di storia caro ai cuori e indimenticabile nella memoria. Che ogni luogo risuoni di  Uomini e no, di Elio Vittorini (1945), Il partigiano Johnny, di Beppe Fenoglio (1968), La casa in collina, di Cesare Pavese (1949), Ultimo viene il corvo, di Italo Calvino (1949), La ragazza di Bube, di Carlo Cassola (1960), Cristo si è fermato a Eboli, di Carlo Levi (1945), Il giardino dei Finzi-Contini, di Giorgio Bassani (1962), L’Agnese va a morire, di Renata Viganò (1949), La storia (Einaudi, 1974) di Elsa MoranteTre amici (Mondadori, 1988) di Mario Tobino; delle poesie di Franco Fortini, Giorgio Bassani, Giuseppe Ungaretti, Gianni Rodari, Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese, Pier Paolo Pasolini, Davide Lajolo "Ulisse", Primo Levi, Corrado Govoni, Elena Bono e anche alcune delle  epigrafi dettate da Piero Calamandrei. Epigrafi che poi furono riportate sui monumenti e sulle lapidi.
Il cinema, il teatro e ogni forma di comunicazione renda vivi per noi chi non c’è più ma che ha scritto un testamento intriso di sangue, indimenticabile, per la libertà della nostra Italia.





L'Iris simboleggia la fede e la speranza ma anche il desiderio di trasmettere a tutti un  messaggio di pace, di fratellanza e di solidarietà.

Sette fratelli come sette olmi,
alti robusti come una piantata.
I poeti non sanno i loro nomi,
si sono chiusi a doppia mandata :
sul loro cuore si ammucchia la polvere
e ci vanno i pulcini a razzolare.
I libri di scuola si tappano le orecchie.
Quei sette nomi scritti con il fuoco
brucerebbero le paginette
dove dormono imbalsamate
le vecchie favolette
approvate dal ministero.

Ma tu mio popolo, tu che la polvere
ti scuoti di dosso
per camminare leggero,
tu che nel cuore lasci entrare il vento
e non temi che sbattano le imposte,
piantali nel tuo cuore
i loro nomi come sette olmi :
Gelindo,
Antenore,
Aldo,
Ovidio,
Ferdinando,
Agostino,
Ettore ?

Nessuno avrà un più bel libro di storia,
il tuo sangue sarà il loro poeta
dalle vive parole,
con te crescerà
la loro leggenda
come cresce una vigna d'Emilia
aggrappata ai suoi olmi
con i grappoli colmi
di sole.

Gianni Rodari - Compagni fratelli Cervi - 1955

venerdì 24 aprile 2015

L’arte a Firenze. Il Crocifisso di Ognissanti




Giotto, Crocifisso di Ognissanti, attribuito, tempera su tavola.
Firenze, Chiesa di Ognissanti.

<< Dipinse Giotto a’ Frati Umiliati d’Ognissanti di Firenze una cappella e quattro tavole; e tra l’altre, in una la Nostra Donna con molti Angeli intorno e col Figliolo in braccio, ed un Crocifisso grande in legno…>> (G. Vasari).
 
Entrando nella chiesa di Ognissanti, si resta folgorati dalla bellezza del luogo paradisiaco, dalla presenza di opere di grandi artisti che la decorano ma essenzialmente dal Crocifisso ligneo di Giotto. La monumentale “Croce”  realizzata nel 1310 ca., alta 4,67 metri e larga 3,60, posta in alto, nella Cappella dei Caduti all’interno del transetto sinistro dell’altare, rappresenta il “Christus patiens”, iconografia introdotta in Toscana da Giunta Pisano nel corso del XIII secolo, su influsso bizantino, ma diversa nella forte umanizzazione del “Cristo”, carico di forte tensione in un linguaggio prettamente moderno.
 





Vivo nel delicato chiarore del corpo.
Attraverso delicatissime pennellate, l’artista descrive l’uomo e la sua sofferenza, un corpo che si abbandona al dolore in una drammaticità coinvolgente che accomuna il visitatore a quel corpo appesantito, vero nella sua umanità, al suo pallore, al volto devastato della Madonna e a quello di San Giovanni rappresentati nei quadrilobi laterali. 
Un'opera da vedere e da non dimenticare per il messaggio carico di umanità che trasmette al mondo.
 

domenica 19 aprile 2015

L'ecatombe del Mediterraneo



Cimabue, Crocifisso, 1270 ca. 
Tempera su tavola. Arezzo, Chiesa di San Domenico. Part.

Sul suo volto tutto il dolore per l’ecatombe del Mediterraneo.


Domenica, 19 aprile 2015, un giorno da non dimenticare, fatto di commozione, di silenzio  e di rispetto per chi non c’è più. E sono tanti!
 

lunedì 13 aprile 2015

La scuola di Barbiana va a teatro



Quando si parla di “scuola di qualità” bisognerebbe dare un senso alle parole e viene subito in mente la scuola di Barbiana, dove Don Lorenzo Milani spese tutte le sue energie perché la scuola diventasse luogo di accoglienza e di formazione per i più umili secondo il concetto di  una scuola che libera e inserisce nella vita sociale.
Tale è lo spettacolo “Racconti dentro la vita della scuola di Barbiana” ispirato a Il ponte di Luciano a Barbiana di Michele Gesualdi con adattamento e regia di Giovanni Esposito  in collaborazione con Fondazione Don Milani per la Compagnia Teatri d’Imbarco.
Erano gli anni cinquanta quando prendeva forma un progetto educativo innovativo basato sul motto “I care” cioè “mi sta a cuore” e che dovrebbe essere di fondamento alla scuola di oggi: sana, forte, partecipata ma essenzialmente vissuta.
Lo spettacolo rivolto ai  bambini e ai ragazzi ma anche a un pubblico di ogni età, ambientato nella profonda campagna mugellana, concretizza il senso di una  scuola che guardi essenzialmente agli ultimi e di una cultura come base di crescita.



Giovanni veste magnificamente i panni di Don Milani e con un cast di attori eccezionali ci fa vivere la realtà della canonica di Barbiana, lontana dai centri abitati, con l’impianto di  una scuola povera di risorse ma moderna negli obiettivi, aperta  ai ragazzi  più indigenti perché imparino insieme il gioco della vita e un mestiere.
I mille problemi quotidiani e le indigenze non  fermano Don Milani che rivive appieno nelle parole e nella gestualità di Giovanni.
Quei ragazzi sono il  domani della società e  compito  delle istituzioni  è quello di aiutarli. 
La società attraverso la scuola deve inserire e non escludere, rimuovendo gli ostacoli.
Il linguaggio del teatro è universale e tocca profondamente il momento in cui il piccolo Luciano  arriva a scuola con gli abiti inzuppati perché è caduto nel ruscello. “Tutti per uno”, il motto di Barbiana si attiva, i ragazzi vanno in paese con i cartelloni a reclamare i loro diritti e a chiedere al sindaco la costruzione di un ponte per consentire al piccolo Luciano di frequentare la scuola.
Sono passati molti anni, ma quel ponte c’è a testimoniare la volontà e la caparbietà di Don Lorenzo che aveva aperto una giusta strada ai ragazzi.
Il teatro è vita e lo spettacolo fa riflettere, i dialoghi di Giovanni-Don Milani  richiamano una realtà diversa che oggi investe la scuola, che per chiamarsi tale dovrebbe riscoprire il suo significato sociale ma essenzialmente  il rapporto tra docente e allievo fatto di fiducia, di comprensione e di rispetto.
Giovanni, sensibile ai problemi dell’infanzia, della scuola e della società tutta ha fatto del teatro il miglior mezzo di comunicazione perché si guardi al passato come confronto e si riscoprano le radici di una scuola  dove il motto “Tutti per uno” ritorni ad essere  una lezione di vita.
Giovanni, con la sua arte, ci commuove in modo evidente, ci entusiasma, ci stimola e ci offre la possibilità di ripensare e di riflettere, una lezione di teatro da non dimenticare.  
 

mercoledì 8 aprile 2015

Non è Pasqua senza il “Brindellone”.



La mattina  del giorno di Pasqua, a Firenze, piazza del Duomo si riempie di persone, che confluiscono da ogni parte per assistere allo Scoppio del Carro del fuoco pasquale detto “Brindellone”, posto nel centro della piazza tra il Battistero e la Cattedrale, una cerimonia popolare che si ripete da più di 9 secoli. 
Era il 1099 quando il crociato Pazzino de’ Pazzi avendo scalato per primo le mura di Gerusalemme, fu ricompensato da Goffredo di Buglione con tre pietre del Santo Sepolcro, portate a Firenze e usate per accendere il cero del Sabato Santo.
Le sacre reliquie, dopo varie collocazioni, sono conservate nella  Chiesa dei Santi Apostoli,  fin dal 1785. Dopo la cacciata dei Pazzi da Firenze, in seguito alla congiura da loro ordita contro i Medici, nel 1478 fu vietata la festa dello scoppio del carro. Ma poiché i Fiorentini non gradirono tale risoluzione, la Signoria ordinò ai Consoli dell’Arte Maggiore di Calimala, amministratori del Battistero di San Giovanni, di provvedere ai futuri festeggiamenti così come si usava fare prima della congiura con il fuoco santo che veniva acceso proprio con le scintille sprigionate dallo sfregamento delle tre schegge di pietra del Santo Sepolcro.
 



Il Carro di legno, alto 11,6 metri e del peso di 40 quintali, scortato dalle autorità e  dal Corteo Storico della Repubblica Fiorentina, formato da 150 fra armati, musici e sbandieratori, si muove dal deposito del piazzale di Porta al Prato per raggiungere piazza del Duomo, trainato da due paia di candidi bovi infiorati.
Durante la celebrazione della Messa, si interrompe il rito nel momento liturgico del "Gloria in excelsis Deo" (verso le ore 11) per consentire alla “colombina”, un razzo dalle sembianze di un bianco piccione, di partire dall’interno della Cattedrale, raggiungere il Brindellone e accendere i fuochi pirotecnici che tra i tre strati che compongono il carro sfavillano alti e bassi tra uno  sfolgorio di luci e di colori per concludersi con l’apparizione del Giglio, simbolo di Firenze che cattura l’applauso.  
L'attuale liturgia colloca la celebrazione della Resurrezione non più al Sabato Santo, ma alla Domenica di Pasqua.   
L’antica festa  richiama una gran folla di turisti, di cittadini e  di numerosi contadini della campagna fiorentina che traggono gli auspici per il raccolto dal felice esito della corsa della colombina sulla corda, che deve svolgersi senza alcun intoppo.
 



Il  carro era inizialmente molto più semplice di quello attuale, ma a causa delle deflagrazioni e delle vampate che sopportava ogni anno, a cerimonia avvenuta, doveva essere quasi del tutto ripristinato. Parve quindi giusto ai Pazzi, ritornati al potere nel 1494, con la cacciata dei Medici, di  allestirne uno molto più solido ed imponente. Fu dunque, costruito il grande carro del tipo "trionfale" a tre ripiani, ricco di decorazioni, che anche a distanza di tempo, ne regge l’usura.




Aldo Palazzeschi così lo descrive: "Il rito rappresenta la benedizione del fuoco. L'Arcivescovo si reca la mattina nella più antica chiesa della città, quella dei SS. Apostoli dove si conserva il fuoco benedetto, ivi lo prende per portarlo all'altar maggiore del Duomo, da dove la colombina in forma di piccione, la colombina famosa, si parte lungo un filo per andare ad accendere il carro sulla piazza davanti alla porta centrale; e sempre schizzando fuoco dalla coda ritorna all'altar maggiore.
Il vecchio carro... tirato da tre paia di buoi infioccati e adornati di specchi per la solennità, tra una gazzarra urlante di monelli, lentamente e traballando se ne viene fin sulla piazza fra il Battistero e la Cattedrale. Per il suo incedere lento e dinoccolato il popolo lo chiama "brindellone". A mezzogiorno, quando la Messa è al "Gloria in excelsis Deo", un pompiere salta su una scaletta simile a un gatto, e senza dare il tempo di accorgersene appicca il fuoco alla colombina che per due volte striscia infuocata lungo tutta la chiesa sopra la folla rumoreggiante. Dalla riuscita più o meno perfetta del suo volo si traggono i pronostici di fortuna o di disgrazia per l'anno corrente".
   

venerdì 3 aprile 2015

Pace e serenità: Pasqua 2015


Duccio di Boninsegna, L’ultima cena

BUONA PASQUA

Che la Pasqua sia per tutti i popoli un cenacolo di amore,

di pace e di fratellanza con il dialogo e la condivisione del pane

simbolo di vita