venerdì 30 dicembre 2011



BUON ANNO

2012




Kandinsky


Per il Nuovo Anno Auguro a tutti Di vivere una Storia meravigliosa


Anna Lanzetta

domenica 25 dicembre 2011





 




È  NATALE


AUGURI



Firenze-Basilica di S. Trinità
D. Ghirlandaio
L’Adorazione dei Pastori











venerdì 23 dicembre 2011




BUON  NATALE



Con i miei più cari auguri di un Natale di pace, dono questo magnifico cesto di gelsomini ricevuto
da Fiorella, Angela, Paola, Ornella, Marina e Cristina, che ringrazio vivamente, a
tutti i lettori e in particolare a Laura, Ambra, Vincenza, Mary, Elena e Silvia,
tutte amiche del cuore.

E alla bellezza dei fiori, uniamo insieme la poesia che rende dolce il Natale…
Un soffio tiepido e soave velava l’alberata…

Basta un verso, e l’atmosfera natalizia ci avvolge:



C’era

di Juan Ramon Jmenez

L’agnello belava dolcemente.
L’asino, tenero, si allietava
in un caldo chiamare.
Il cane latrava
quasi parlando alle stelle.
Mi svegliai…Uscii. Vidi orme
celesti sul terreno
fiorito
come un cielo capovolto.
Un soffio tiepido e soave
velava l’alberata:
la luna andava declinando
in un occaso d’oro e di seta
apersi la stalla per vedere se Egli
era là…
C’era



BUON  NATALE
Anna

mercoledì 21 dicembre 2011





Tutti a teatro in compagnia di Pinocchio per festeggiarlo e divertirci  con la voce del bravissimo attore Giovanni Esposito che presenterà il burattino come
O' scugnizzo


Sul blog annalanzetta1.blogspot.com ( su questo blog è il primo link) c'è la scrittura creativa per bambini e adulti. Visitatelo e divertitevi anche voi con una nuova storia. Noi la inseriremo con i vostri disegni.

mercoledì 14 dicembre 2011

"Quelli che sono morti"




Quelli che sono morti

( da Souffles-1947)

Ascolta più spesso le cose
più che le persone.

La voce del fuoco si intende;
ascolta la voce dell'acqua.
Ascolta nel vento
il cespuglio in singhiozzi:
E' il respiro degli Antenati.

Quelli che sono morti non sono mai andati via
Essi sono qui nell'ombra che si dirada
e nell'ombra che si ispessisce.

I morti non sono sottoterra
essi sono nell'albero che stormisce,
nel bosco che geme
essi sono nell'acqua che scorre,
sono nell'acqua che dorme

essi sono nella capanna essi sono nella folla,
i morti non sono morti.

Quelli che sono morti non sono andati via,
essi sono nel cuore della donna,
essi sono nel bambino che vagisce
e nel tizzone che brucia.

I morti non sono sottoterra:
essi sono nel fuoco che muore,
essi sono nelle rocce che gemono,
essi sono nelle foreste, sono nella casa,
i morti non sono morti.

Birago Diop, poeta senegalese (1906-1989)


Firenze è irritata, offesa e umiliata.

La morte dei due giovani senegalesi e il ferimento degli altri pesa sulla città come un macigno.

Ma che cosa arma la mano di chi uccide? Quale terribile progetto matura dentro fino alle estreme conseguenze?. Forse un’ideologia, forse l’acceso pregiudizio, forse quel “sonno della ragione” che imperterrito ritorna sulla debolezza umana e mette in fuga la fratellanza, la solidarietà, l’ospitalità?.

Firenze è stata terribilmente scossa ma forte è stato l’abbraccio corale dei Fiorentini che si sono stretti intorno alla comunità senegalese.

Il mondo non ha confini e non ha colori ed è bello immaginarlo così: unito e solidale. Ma il gesto che ha macchiato ignobilmente Firenze ci pone l’interrogativo se il sogno di  un intero orizzonte a colori non sia ancora solo utopia!.

La violenza è lesiva della propria e dell’altrui dignità e offende nel profondo chi si sente cittadino del mondo,
chi condanna la violenza senza nessuna riserva, chi crede fermamente nell’uguaglianza di tutti gli esseri umani e nel principio della sacralità della vita, che nessuna differenza può rendere dissimile.



Foto di Ale


In città, solo il silenzio diventa amico mentre le saracinesche abbassate, i banchi del mercato chiusi, le commemorazioni, le voci di chi è stato partecipe diretto di tale crimine, il lutto cittadino, i fiori deposti con commozione e risentimento rendono concreta la partecipazione di una città che ha saputo rispondere con la sua consueta fierezza e sentita partecipazione a  un gesto efferato, che ha macchiato il suo cuore.

Anna Lanzetta

martedì 13 dicembre 2011

Il presepe: un ricordo, una tradizione




Benino, il pastorello dormiente


Abbiamo ripreso le scatole con tutti gli addobbi per l’albero e il presepe.

È canonica la data dell’8 dicembre. Natale si avvicina e bisogna preparare la casa come un tempo con tutti gli addobbi. Ma l’atmosfera della casa è cambiata. I ragazzi sono andati via e stanno preparando l’albero nelle loro case con un tocco di modernità. Non c’è il brusio di quando piccoli partecipavano all’allestimento del presepe nella scelta dei personaggi. Il presepe è lontanissimo da loro. Quasi non lo vedono nell’indifferenza di un tempo che ha mutato le attese. Ora ci diamo da fare a prepararlo, noi due. Come ti sembra la scena? Quest’anno abbiamo mutato l’impostazione. Mi piace cambiare il paesaggio ogni anno. Il presepe rinnova  una tradizione e con essa la memoria di un passato popolato da tanti che non ci sono più. Eppure le tradizioni sono fondamentali per tramandare quegli usi che hanno segnato la propria vita.
Noi mettiamo solo le luci. Noi abbiamo comprato un abete vero. Noi non abbiamo ancora deciso. Nessuno parla del presepe. Almeno la capanna, mettetela. Vi piaceva tanto il presepe quando eravate piccoli. Ogni personaggio aveva una storia. Ogni pastore era legato a un momento.
Mi guardano! Forse non capiscono perché do tanta importanza al presepe in cui quest’anno ho voluto rappresentare Gerico; almeno come la immagino. Non riesco a trovare le giuste parole per dire loro che nella mia infanzia il presepe era il regalo più bello, innanzitutto perché aggregava la famiglia in un impegno comune che iniziava già a novembre.
È difficile parlare del proprio vissuto e di come si viveva un tempo la propria infanzia semplice ma felice anche nelle privazioni. Forse è obsoleto parlare del proprio tempo eppure vorrei che ascoltassero il racconto di come eravamo per rapportarlo alla realtà di oggi. Ascoltano! Ma forse solo per compiacermi dato che i loro interessi sono altri.
Conosco tutti i personaggi che popolano il mio presepe e li custodisco con amore. Di  mattina presto, appena mi alzo, accendo le luci e resto per un attimo abbagliata dal loro brillio che mi riporta un passato felice in cui si mescola la realtà del presente. Nel silenzio, che mi racchiude, ripercorro i momenti più belli della mia infanzia e del  mio passato in cui quei personaggi mi hanno accompagnato. Sistemo un po’ d’erba fuori posto, con delicatezza, quasi una carezza come un tempo la mano lieve di mia madre. Mi commuovo! Le luci fanno scudo ai miei occhi lucidi e i ricordi mi assalgono. I ricordi crescono di anno in anno. Controllo che tutto sia a posto, ogni elemento è una parte di me.
Ora lo guardiamo insieme seduti,  in due. La mia mano cerca la sua e il suo tepore mi riscalda. Pensi che lo conserveranno? Non abbiamo una risposta ma in cuor nostro speriamo che un giorno, anche se solo chiusi nelle scatole, i personaggi possano continuare a vivere e a racchiudere la memoria di coloro che lo hanno amato.

L'altra sera, come un soffio, il più grande mi ha sussurrato: inizierò come voi dalla capanna.
Ho stretto forte la sua mano e lo scialle ha racchiuso nel suo tepore la mia felicità.


Anna Lanzetta

Per Il mio angioletto azzurro,  http://www.tellusfolio.it/ Critica della cultura Telluserra -28 Dicembre 2008

 

venerdì 9 dicembre 2011

Viaggiando con artisti e letterati. Il Vesuvio, 1





Visitando l’Italia non poteva mancare una sosta al Vesuvio, simbolo di Napoli.

Nei miei scatti ho trasfuso le mie emozioni

Lo spettacolo che offre il Vesuvio è indescrivibile per le emozioni che regala al visitatore e per i momenti di storia che rievoca.


Un viaggio lungo le sue pendici fino alla bocca del cratere è imperdibile.

Il Vesuvio ha nutrito l’estro e la penna di artisti e letterati e sarà in loro compagnia che ne vivremo le atmosfere.




William Turner (Londra, 1775, Chelsea, 1851), Autoritratto, 1798

Il pittore Turner non fu indifferente alla bellezza dell’Italia, già tanto decantata e per la sua ricerca pittorica sentì che un viaggio era inevitabile. Il 1° agosto del 1819 si imbarcò per l’Italia e vi soggiornò per sei mesi, visitando molte città, tra cui Napoli e  ritrasse il Vesuvio in varie situazioni. 





Turner, Napoli vista da Capodimonte, 1819

Su uno sfondo grigio, il cielo, il mare e la costa  emergono in tutta la loro lucentezza, mentre in lontananza, il Vesuvio emette una leggera nuvola di fumo.




Ritratto di Chateaubriand

Il Viaggio in Italia di Chateaubriand durò sette mesi, durante i quali lo scrittore riuscì a cogliere l’incanto  di molte città ma specialmente di Roma e di Napoli che riportò poi in "Viaggio in Italia".

      5 gennaio 1804


Oggi, 5 gennaio, sono partito da Napoli alle sette del mattino; ora sono a Portici. Il sole è libero dalle nuvole di levante ma la punta del Vesuvio è sempre nella nebbia. Mi accordo con un cicerone per andare al cratere del vulcano. Mi fornisce due muli, uno per me e uno per lui, e partiamo…

Eccomi in cima al Vesuvio, seduto sulla bocca del vulcano scrivo, e sono pronto a scendere in fondo al cratere. Il sole compare di tanto in tanto attraverso il velo di vapori che avvolge tutta la montagna; e nascondendomi uno dei paesaggi più belli della terra, sottolinea l’orrore del luogo. Il Vesuvio, separato dalle nuvole dagli incantevoli paesini che si trovano alle sue pendici, sembra sorgere nel più profondo deserto e quella specie di terrore che ispira non è minimamente attenuato dallo spettacolo d’una città fiorente ai suoi piedi.




William Turner, Il Vesuvio e il convento di San Salvatore, 1794-97

Ritrovo qui quel silenzio assoluto che in altre occasioni ho sentito a mezzogiorno nelle foreste d'America quando, trattenendo il respiro, non sentivo altro che il battito del cuore e delle arterie nelle tempie. Solo a momenti degli sbuffi di vento entrano dalla cima del cono nel cratere e sibilano tra i vestiti o fischiano intorno al mio bastone; sento anche rotolare qualche pietra sotto i passi della guida che calpesta le ceneri. Un'eco confusa, simile al fremito del metallo o del vetro, prolunga il rumore della caduta e poi tutto torna a tacere. Immaginate questo silenzio di morte e poi le detonazioni spaventose che scossero questi stessi luoghi quando il vulcano vomitava il fuoco dalle sue viscere e copriva la terra di tenebre…

Qui non si può fare a meno di considerare la miseria delle cose umane. Cosa sono infatti le grandi rivoluzioni degli imperi di fronte a questi eventi naturali che cambiano la faccia della terra e dei mari? Eppur felici gli uomini, se non impie¬gassero i pochi giorni che devono vivere insieme, a tormentarsi reciprocamente! (Chateaubriand, Saint-Malo, 1768, Parigi,1848 Viaggio in Italia. Il Vesuvio. Passigli Editori).



Anna Lanzetta





lunedì 28 novembre 2011

“Viaggiando con artisti e letterati”: La città dei Sassi 2



L’origine del nome Matera è controversa. C’è chi afferma che derivi dal greco “Meteoron”, chi dal termine greco-jonico Matera, ossia “madre”.



Entrata della Grotta dei Pipistrelli

Il territorio che circonda Matera è ricco di resti preistorici. Nella Grotta dei Pipistrelli, che si trova a circa 4 chilometri dal centro abitato,  l’archeologo Domenico Ridola compì la sua prima esplorazione e  ritrovò manufatti paleolitici.

Domenico Ridola, nato a Ferrandina nel 1841 e morto a Matera nel 1932,  condusse scavi importantissimi nel territorio. Membro di diverse Accademie di archeologia, della Società Magna Grecia e della Società di Storia Patria, -animato da un’autentica passione per la conoscenza, ha avuto il merito di aver consentito al Sud di uscire dal suo isolamento e di unirsi alla storia comune della nostra identità nazionale-. Importantissima è stata la sua ricerca per ricostruire le origini di Matera nel periodo Paleolitico e Neolitico.




Reperti ritrovati da Domenico Ridola



Domenico Ridola

"I miei scavatori mi dicevano di non andare alla "grott du mattivagghi", la grotta dei pipistrelli, perché non c'era niente là sotto. Avevano scavato già in tanti, per molti anni: sì, tiravano fuori ancora qualche cosa, qualche coccio, qualche punta di freccia, persino qualche osso, ma niente di più. Dovevo andare nella Grotta, dovevo rendermi conto di cosa si nascondesse dietro i pipistrelli. Sapevo bene che non esisteva il tesoro di Barbarossa".

"Io cercavo, volevo trovare altro. Anzi, forse volevo solo capire, scavare per conoscere". (da La Città dell’uomo.it)

"Un ritrovamento, tra i primi, che effettuai e che mi commosse fu quello di un focolare, il più grande, collocato in direzione dei primi raggi del sole nascente. Dunque la grotta non era stata sempre regno dei vampiri volanti: dunque la grotta era un luogo sacro per gli uomini antichissimi del Paleolitico. Sì, questo era un sito molto più antico di quanto nessuno avesse mai pensato".

Una targa commemorativa presente nel Museo Nazionale "D. Ridola" di Matera così lo ricorda:





"Dite, se vi piace, che io sia un allucinato che si consola di poter affermare che non fu solo effetto del caso o della cieca fortuna, se potei dimostrare che nel Materano fu largamente rappresentata l'epoca della pietra scheggiata e, più largamente ancora, quella della pietra levigata; se riuscii a scoprire la necropoli ad incinerazione a Timmari e là stesso, più tardi ancora, un'assai ricca stirpe votiva; se seppi interpretare l'uso delle trincee e con queste scopersi le capanne di Sette Ponti e di Serra d'Alto; se infine riuscii a fondare a Matera un vasto Museo, tutto di roba locale e che, per questo, fu giudicato unico nel suo genere e se il misero trovatello nutrito e vestito della mia carità ebbe l'onore di essere adottato dal Governo Nazionale...  (Dall'intervento di Domenico Ridola alla Società Romana di Archeologia, 3 marzo 1924.  Vinicio Camerini - Gianfranco Lionetti. Villaggi trincerati neolitici negli agri di Matera - Santeramo - Laterza. Matera, Grafiche Paternoster, 1995).


Il viaggio è conoscenza ed è un privilegio per il visitatore entrare nel cuore di un territorio  guidato dalla voce di artisti, di letterati e di quanti vi operarono con la propria specifica attività. È questo il caso di Domenico Ridola. Chi visita Matera non può non restare affascinato dai suoi paesaggi e dalla sua storia, non può non respirare il suo silenzio: "Mi pareva di essere staccato da ogni cosa, da ogni luogo, remotissimo da ogni determinazione, perduto fuori del tempo... Mi sentivo celato, ignoto agli uomini, nascosto come un germoglio sotto la scorza di un albero" (Carlo Levi, confinato ad Aliano-Matera). Secondo Calvino: "Carlo Levi i è il testimone della presenza di un altro tempo all'interno del nostro tempo, è l'ambasciatore d'un altro mondo all'interno del nostro mondo". E visitare Matera è come entrare in un altro mondo, in una realtà che ci riporta indietro nel tempo.

Le chiese rupestri caratterizzano il territorio e richiamano la Locride e la Cappadocia. Se ne contano più di 120 e conservano affreschi bizantini straordinari che ci consentono una lettura del tempo proprio come gli affreschi delle chiese medievali, la cosiddetta "Bibbia dei poveri".
Il territorio Materano è unico e suggestivo e non a caso ha richiamato registi come Mel Gibson per The Passion of the Christ (2004) i cui esterni furono girati a Matera e a Craco, oggi città fantasma e Pier Paolo Pasolini per Il Vangelo secondo Matteo (1964).
La struttura architettonica e le decorazioni pittoriche sono tra gli aspetti più interessanti della civiltà delle grotte.



Santa Maria de Idris

La chiesa rupestre di Santa Maria di Idris, si trova nella parte alta del Monterrone, una rupe calcarea che si erge nel mezzo del Sasso Caveoso. La chiesa è collegata alla cripta rupestre di San Giovanni in Monterrone attraverso un cunicolo, e in questa cripta si trovano numerosi e pregevoli affreschi che sono databili in un arco di tempo che va dal XII al XVII secolo.

Oltre l’aspetto decorativo colpisce l’aspetto  devozionale radicato in una lunga  tradizione. Molto presente è il culto dei Santi protettori delle attività artigianali o delle corporazioni legato a un’economia rurale. Forte è la credenza religiosa, espressa con la costruzione di molte chiese.



La Cattedrale di Sant’Eustachio, (patrono della città), in stile romanico pugliese, risalente al 1230-1270, ha la facciata dominata dalla statua della Madonna della Bruna.  La facciata laterale su piazza Duomo ha due porte; la più interessante, finemente lavorata a ricamo, è detta dei "leoni" per due sculture leonine presenti alla base. 

Matera è una città da visitare più che da descrivere, perché è camminando per le sue strade che si scopre l’artigianato tipico nei colori fiammanti; è andando per gradinate e salite scoscese che si visitano le chiese rupestri con i meravigliosi affreschi, le cripte e le straordinarie dimore dei Sassi, di cui alcune arredate col gusto povero di una volta: un unico letto dove si dormiva a turno, la culla per il più piccolo, il telaio per tessere, l’indispensabile per sopravvivere.

Si conclude il nostro viaggio a Matera, una città che lascia nel cuore una profonda nostalgia e un desiderio di ritornare che il tempo accresce senza pausa.

Per un confronto con la Locride e la Cappadocia si rimanda anche a: Tellusfolio.it, Foto album-Narrative photo e Album Italia

Anna Lanzetta










venerdì 18 novembre 2011

“Viaggiando con artisti e letterati”: La città dei Sassi 1



Entriamo  a Matera, uno dei luoghi  più suggestivi e incantevoli d'Italia,
dichiarata dal 1993 Patrimonio Mondiale dell’Unesco.



Matera, la città dei Sassi

I “Sassi” (gli antichi rioni), dal punto di vista artistico, unici nel loro genere, sono case scavate nel tufo, sovrapposte irregolarmente lungo i due avvallamenti del Sasso Barisano e del Sasso Caveoso, a ridosso della Gravina. Essi ci riportano ai primi insediamenti dei villaggi sparsi, dove ogni gruppo viveva in modo autonomo, separato dagli altri.

"Nelle grotte dei Sassi si cela la capitale dei contadini, il cuore nascosto della loro antica civiltà. Chiunque veda Matera non può non restarne colpito, tanto è espressiva e toccante la sua dolente bellezza" (Carlo Levi)

Del suo soggiorno in terra lucana Carlo Levi dice:"…fu dapprima esperienza, e pittura e poesia…e poi teoria e gioia di verità per diventare infine apertamente racconto…" Nasce così “Cristo si è fermato a Eboli”

« La città è di aspetto curiosissimo, viene situata in tre valli profonde nelle quali, con artificio, e sulla pietra nativa e asciutta, seggono le chiese sopra le case e quelle pendono sotto a queste, confondendo i vivi e morti la stanza. I lumi notturni la fan parere un cielo stellato. » (Giovan Battista Pacichelli, Roma, 1634-1695, Il Regno di Napoli in Prospettiva).

Matera affonda la sua storia in un tempo remoto e segna le tappe dell’uomo dall’età paleolitica ad oggi, dai villaggi neolitici fino alla costruzione della Civita e dei Sassi. Dal periodo dei romani fino al 1638, quando ottenne la libertà demaniale, Matera è stata luogo di dominazioni, di conquiste e di saccheggi. Ridotta a feudo e ceduta a vari domini, ha subito nel tempo la dominazione di famiglie potenti come gli Orsini.



La Gravina

La Gravina è un profondo burrone lungo quasi venti chilometri che si snoda da Matera fino alle alture argillose di Montescaglioso.

Città della Basilicata, capoluogo della provincia omonima, Matera è situata a 401 m sul versante occidentale delle Murge. Il nucleo più antico è disposto in parte sul fianco scosceso della Gravina, in parte sul margine dirupato del pianoro e entro brevi gole.Il torrente Gravina affluente di sinistra del Bradano, scorre nella profonda fossa naturale che delimita i due antichi rioni della città: Sasso Barisano e Sasso Caveoso. Il Sasso Caveoso è disposto come un anfiteatro romano, con le case-grotte che scendono a gradoni.
Con l’età dei metalli nacque il primo nucleo urbano, quello dell’attuale Civita, sulla sponda destra della Gravina.

 

Le grotte

A partire dall'VIII secolo, monaci benedettini e bizantini si stabilirono lungo le grotte della Gravina trasformandole in Chiese rupestri.


Giovanni Pascoli (1855-1912), giunse a Matera il 7 ottobre del 1882 per insegnare latino e greco nel locale Liceo Ginnasio. Nelle lettere che inviava alle sorelle Ida e Maria, scriveva: “Sono a Matera sin dalle ore prime antimeridiane del 7. Arrivai all’una dopo mezzanotte, dopo molto trabalzar di vettura, per vie selvagge, attraverso luoghi che io ho intravisto notturnamente, sinistramente belli.(…) Una città abbastanza bella, sebbene un poco lercia.”

“I contadini vanno vestiti nel loro simpatico ed antiquato costume e stanno tutto il giorno, specialmente oggi che è domenica, girelloni per la piazza. Hanno corti i brachieri e scarponi grossi senza tacco, una giacca corta e in testa un berrettino di cotone bianco e sopravi un cappello tondo. Sembrano che si siano buttati giù dal letto in fretta e furia, e si sian messi per distrazione il cappello sopra il berretto da notte.” (Lettera del 7 ottobre 1882)

“...ma in generale sto bene a Matera… sai di una cosa mi lagno: qui è troppo caro il vivere e l’alloggio e tira quasi sempre scirocco (…) (Lettera del 19 ottobre 1882)

"Non c’è un libro qua, da vent’anni che c’e’ un Liceo a Matera, nessuno v’è uscito con tanta cultura da sentire il bisogno d’un qualche libro; i professori pare che abbiano avuto tutti la scienza infusa; e perciò di libri non s’è n’è comprati. Ci vorrebbe forse un sussidio del governo, ma il Governo probabilmente non ne vorrà saper nulla". ( Lettera del 1902 al Preside del Liceo di Matera Vincenzo Di Paolo)

“Come mi giova, dopo una vita così torba tornare a cotesta serenità di pensiero e di parole, che avrei dovuto prendere da lei in quella povera città di trogloditi, in cui vissi così felice, sebbene così pensoso! Sì: delle città in cui sono stato, Matera è quella che mi sorride di più, quella che vedo meglio ancora, attraverso un velo di poesia e di malinconia”. ( Lettera del 5 ottobre 1883 a Giosuè Carducci)



Lapide posta il 16 dicembre 1962, a ricordo del soggiorno (1882-1884) di Giovanni  Pascoli a Matera.

Anna Lanzetta
continua

mercoledì 2 novembre 2011

“Viaggiando con artisti e letterati”. Un dono all’Italia per i suoi 150 anni




Jean-Michel Folon (Uccle, 1934-Principato di Monaco, 2005)

Le Voyageur

La presentazione dei luoghi più suggestivi e interessanti della Locride proposti (come quelli che seguiranno) attraverso paesaggi, monumenti, reperti, artisti e letterati, ha aperto il nostro viaggio in Italia, un dono per i suoi 150 anni, iniziato con la pubblicazione del libro: Addio mia bella, addio.. La storia del Risorgimento tra parole, immagini e musica.

Il desiderio di ripercorrere insieme la nostra Italia (e in seguito paesi più lontani) è nato dalla mia esperienza di viaggiatrice e di educatrice, in cui il viaggio, metafora del nostro cammino, attraverso la rievocazione di nomi, date, stili, arte e reperti, diventa uno strumento di conoscenza della storia d’Italia la cui ricchezza risiede nella sua diversità, che ci accomuna dalle Alpi alla Sicilia e che ci rende unici nella sua “unità”.
Quale altro popolo può vantare un’eterogeneità culturale pari alla nostra?

“Viaggiando con artisti e letterati”, descrive i luoghi, utilizzando in sinergia con la parola, l’immagine e lo scatto fotografico (filtro e trasmissione di un momento emotivo), affinché prevalga il sentimento di appartenenza e di tutela e si comprenda che in ogni luogo e in ogni elemento vive un passato depositario del nostro presente e che di quel passato noi siamo il prosieguo.

“Viaggiare” è un modo per conoscere il nostro territorio in un rapporto di responsabilità e per abbattere barriere e pregiudizi. È un sussidio didattico sperimentale e innovativo dato che, avendo coordinate interdisciplinari, sollecita interessi plurimi come ricerche e approfondimenti di tipo geografico-antropologico, storico-archeologico e artistico-letterario.

Educare alla conoscenza del territorio e alla conservazione del nostro patrimonio contro ogni incuria, implica il loro rispetto e il nostro senso civico, valori fondanti di una società civile.

Un palazzo vuoto è squallido, un sito abbandonato è macabro, un muro antico che crolla è un dolore immenso, perché seppellisce un frammento della nostra memoria.


Anna Lanzetta
responsabile della Sezione Didattica dell’Associazione Multimedia 91
annalanzetta@libero.it



domenica 23 ottobre 2011

Viaggiando con artisti e letterati 3, La Locride VI


Viaggiando sulle montagne della Locride, è come entrare in un tempo lontano.

Ogni angolo ha una storia antichissima.
Incisiva è stata la presenza dei monaci basiliani e dei profughi che si insediarono nel territorio per sfuggire alle incursioni turche e che diedero vita ad alcuni centri come Ciminà (dal greco Kyminà, luogo del cumino selvatico), fondata da Greci e Albanesi di religione cristiana, scacciati da Costantinopoli dai Turchi. Così Mammola (il cui nome deriverebbe da “Mamoula” dal centro greco nell’isola di Eubea), costruita da profughi che si rifugiarono nel monastero basiliano dove dimorò San Nicodemo (Cirò ?, X secolo-Mammola, 990):



Gross St Martin Grablegungs gruppe


Nikodemus (membro del Sinedrio), unbekannte Person, Maria Magdalena, Maria, Mutter Jesu, Apostel Johannes, Josef von Arimathäa raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella Sindone e lo deposero nel sepolcro.

La Locride è un incrocio e un sovrapporsi di culture, di epoche, di stili, di materiali e di dominazioni con ricche e varie testimonianze come la struttura medievale a Bivongi e a Ciminà con viuzze strette e intricate, reperti archeologici risalenti al neolitico, resti di un castello normanno a Gioiosa Jonica, di un teatro romano a Marina di Gioiosa Jonica, di un tempio Dorico a Monasterace, ruderi del castello di Roccella Jonica (costruito dagli Angioini su di una rupe abitata fin dall'epoca protostorica, come dimostra, in epoca recente, il ritrovamento di una necropoli del X-VIII sec. a. C), l’utilizzo della pietra tufacea dai riflessi violacei di Ciminà e gli stupendi panorami come quello di Canolo posto tra cave di pietra rossastra.

Nel 1962, quando oramai il castello era diventato uno sfasciume, scrive Leonida Rapaci, scrittore e pittore (Palmi,1898-Marina di Pietrasanta,1985): Roccella .. col suo castello alto sulla rupe, prossimo a disintegrarsi, a polverizzarsi sotto la stretta del sole, il morso del vento, il lupus del salino, la marea degli uragani .. Questo castello, che mostra nella sua struttura di fortezza e di sede principesca i segni dell'antica nobiltà, resistette ai pirati di Dragut ma nulla potè, e può, contro le ore che scorrono nel quadrante del tempo.

Ora il palazzo dei Carafa è un cadavere calcinato dagli elementi, qualche cosa che, a ogni minuto, crepa si apre, sta a crollare. Diventato stazzo di pecore i pastori vi portan le greggi che, salendo l'erta, cercano qualche filo d'erba tra i sassi, e non trovano che la pietra nuda, liscia, consumata come un'antica medaglia. (da La piana di Locri: il silenzio della storia)



Vivant Denon in un autoritratto del 1823

Così scrive Dominique-Vivant Denon, scrittore, incisore, storico dell’arte, egittologo (Givry,1747-Parigi,1825), durante il suo viaggio in Calabria del 1778: "... Roccella, posta su una roccia arida che da lontano assume un effetto imponente, ma che da vicino è una rovina orribile, senza una casa abitabile.
Si dice che fu forte ed opulenta ma di tutto il suo splendore passato non resta che un cannone di bronzo, dimenticato dal re cattolico. L'esplosione d'un solo colpo, se lo facessero sparare, farebbe crollare tutte le costruzioni che restano nella città.

Gli abitanti si stabiliscono adesso fuori dalle mura col rischio d'essere attaccati dai Turchi che non hanno ancora cessato di fare scorrerie da queste parti e che, qualche giorno fa, s'erano impadroniti dei battelli davanti agli stessi abitanti e nonostante la torre di guardia in cui tengono per guarnigione il reliquario d'un cappuccino e un vecchio eremita.(da Calabria felix)
E tra gli speroni rocciosi dei monti “Stella” e “Consolino” è incastonato Pazzano, con case accatastate, stretti vicoli detti magnani e ripide scale esterne.
« ...Qui e la spunta la roccia, nuda, nera, ciclopica. Non è dunque questo Ferdinandea? No, questo è Pazzano: paese di pietra e paese di ferro. Sta nell'aria e si respira il ferro: sgorga e si rovescia dalla bocca delle miniere, rossastro, sottilissimo, dilagante in flutti di polvere. » (Matilde Serao, agosto 1883)
Matilde Serao, scrittrice e giornalista, (Patrasso,1856– Napoli,1927), sul Corriere di Roma del 19 settembre 1886, scriveva: Fresca profonda verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima, il cielo pare infinitamente lontano; è deliziosa la freschezza dell'aria; in fondo al burrone canta il torrente; sotto le felci canta il ruscello ... Si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un'ampia via ... Tacciono le voci umane ... Non v'è che questa foresta, immensa, sconfinata: solo quest'alta vegetazione esiste. Siamo lontani per centinaia di miglia dall'abitato: forse il mondo è morto dietro di noi. Ma ad un tratto, tra la taciturnà serena di questa boscaglia, un che di bianco traspare tra le altezze dei faggi. Questa è Ferdinandea. Un territorio di 3600 ettari delle Serre calabresi, ricoperto quasi interamente da boschi di faggio e abete.

I poeti di Pazzano:

Ada Saffo Sapere nacque a Catanzaro il 17-03-1893
I nomi di Ada e di Saffo, le furono dati dal padre in onore alle poetesse Ada Negri e Saffo, poetessa Greca dell’isola di Lesbo.
Così scriveva quando era a San Paolo….“Non ci fu giorno della mia vita, nel mio peregrinare per il mondo in cui non ho rivolto il mio pensiero a questa Chiesa, a Pazzano, a questi luoghi, a questa buona gente. Da questa struggente malinconia, nel forzato esilio, scaturì come limpido ruscello di montagna, la mia poesia Calabria”.
“Calabria” fu pubblicata per la prima volta sul bollettino mensile “La stella sulla vetta”, fondato e diretto da Don Mario Squillace.
« Ada Saffo Sapere, colei che più si avvicina alla fatica del mio spirito. », così si esprimeva in “Acque e terre”, Salvatore Quasimodo, legato alla poetessa da profonda amicizia e stima.

Giuseppe Coniglio, U poeta, ( Pazzano,1922- Catanzaro, 2006), autore di diverse opere in dialetto pazzanito.
« Giuseppe Coniglio rientra senza dubbio nel novero dei poeti calabresi più importanti dell'ultimo ventennio. Personaggio autentico, semplice e spontaneo, ha un comportamento originale e fantastico », così scrive di lui, Claudio Stillitano in "Calabria Letteraria".
Coniglio ha pubblicato nel 1973 la sua prima raccolta di poesie “Calabria contadina”, nel 1984 la seconda “Quattru chjacchjari e dui arrisi”, e l’ultima nel 1996 “A terra mia”.

« Pazzanu è ncassaratu nta ddu timpi
a menza costa tra a muntagna e u mari
duva na vota nc'eranu i minieri i carcaruoti e l'armacatari...

Poesia: Pazzanu, Giuseppe Coniglio »




L’attrazione maggiore di Pazzano è il Santuario di S. Maria della Stella, posto a 650 m di altezza sul monte Stella, le cui rocce sono costituite da calcari del Giurassico.


« Saldo t'innanzi e come sempre care
mi sono le tue falde e le tue cime
non ti posso mirare senza sognare
non ti posso mirar senza far rime. »

(poeta dell'ottocento; citato in Mario Squillace,
L'Eremo di S. Maria della Stella, edizione Grottaferrata, 1965)

È un eremo bizantino posto in una grotta a cui si accede da una strada che s’inerpica in un territorio molto impervio e che custodisce la statua della Vergine.

-Si racconta che la statua, trasportata su una barca presso punta Stilo, abbia fatto intuire ai marinai, tramite una grande luce che splendeva sul monte Stella, la volontà di voler prendere dimora in quel luogo e che, trasportata su da due buoi, attraverso la vallata, arrivata in grotta, abbia lottato contro satana prendendo possesso del luogo-.




La bianca statua marmorea, della bottega del Bonanno è del 1562 e fu posta sull’altare in sostituzione dell’icona della Madonna di culto ortodosso.

« Accui nci cerca grazzia nci nda duna
cu avi u cori offisu nci lu sana
E io, Madonna mia nda ciercu una
nchianati 'n paradisu st'arma sana>>

tratto da un canto popolare

All’eremo si accede scendendo una lunga scalinata di 62 scalini) scavata nella pietra.



 


Di particolare interesse all’interno della grotta è il frammento di un affresco di arte bizantina, raffigurante Santa Maria Egiziaca che riceve l'eucarestia dal monaco Zosimo. L'affresco che si ritiene sia del secolo XIV ca., è il più antico affresco bizantino dell’Italia meridionale. (da: Viaggio nella riviera dei gelsomini).

-Qui salirono or sono mille e trecento anni (sec. VIII) i primi monaci greci per vivere nelle grotte eremitiche la più macerante e severa ascesi anacoretica. Il pellegrino che sale all'Eremo di Montestella, percorrendo la strada da Pazzano o da Stilo, resta sensibilmente colpito dal luogo, un abisso nelle viscere della terra ove per due secoli circa gli Eremiti vissero in contemplazione, in preghiera, in mortificazione. La Grotta non è altro che una escavazione naturale nelle pendici della montagna, un rifugio per proteggersi dalle intemperie: in essa si trovava una cuccetta, uno stipetto al muro, dove si depositava il Salterio, qualche icona e qualche manoscritto biblico o di contenuto ascetico.

Il cibo era costituito da quello che le pendici del monte producevano, mentre le mortificazioni corporali erano addirittura inaudite. Le incursioni saracene costrinsero l'Egumeno dell'Eremo a fuggire salvando dei codici preziosi che i monaci avevano trascritto. Cessate le invasioni saracene il successore dell'Egumeno tornò riportando molti dei manoscritti che costituirono il primo fondo di biblioteca nel cenobio di Santa Maria. Da Eremo, di vita intensamente anacoretica e rigorosa, Santa Maria della Stella diviene Monastero (minore) coi Normanni…-




Uno dei luoghi della Locride di grande intensità spirituale è la Certosa di Serra San Bruno.



San Bruno, fondatore dei Certosini, nacque a Colonia, in Germania, nel 1030.


Dalla Francia dove aveva dimorato, scese in Calabria dove fondò la Certosa di Serra san Bruno e dove morì nel 1101.
Il Santo descrisse la natura del luogo ricevuto in dono in una lettera indirizzata a Rodolfo il Verde, uno dei due compagni che fecero insieme a lui, nel giardino di Adamo, il voto di consacrarsi alla vita monastica:

«In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».(San Bruno, Lettera a Rodolfo il Verde, 1097)

Cari lettori, termina con Serra San Bruno il nostro viaggio nella Locride. Spero che le sue perle che vi ho descritto suscitino in voi e in ogni visitatore   l'amore e l'emozione che io ho sentito e che sento per questo territorio dopo d'averlo visitato.
Il mio è un invito a conoscere  La Locride per  poter apprezzare e amare questo territorio per ciò che possiede come eredità storica, per ciò che può mostrare, per tutto ciò  che sa donare con lo spirito dell'ospitalità.

Anna Lanzetta




 

mercoledì 19 ottobre 2011

Per Andrea Zanzotto



Andrea Zanzotto (Pieve di Soligo, 1921- Conegliano, 2011)

Non si può non aprire una pagina sulla poesia per ricordare un grande poeta della parola, del verso, del sentimento, dell’impegno a dire, a comunicare il pensiero e a intesserlo col nostro. 

Quando muore un poeta senti nel profondo che qualcosa muore dentro di te. Muore il dialogo con una voce che sentivi anche tua, perché la poesia ha la prerogativa di saper essere individuale e collettiva.

È morto un poeta, riflesso di un’Italia che muore nel disimpegno verso la cultura.

Non ho avuto modo di conoscere Zanzotto, ma alla notizia della sua morte ho avvertito un vuoto profondo e un silenzio incombente.

A Zanzotto, poeta, espressione di vita e di pensiero, regalo la mia emozione e  il ricordo della sua poesia:




         Prima persona

-Io- in tremiti continui, -io – disperso
e presente: mai giunge
l’ora tua,
mai suona il cielo del tuo vero nascere.
Ma tu scaturisci per lenti
boschi, per lucidi abissi,
per soli aperti come vive ventose,
tu sempre umiliato lambisci
indomito incrini
l’essere macilento
o erompente in ustioni.
Sul vetro
eternamente oscuro
sfugge pasqua dagli scossi capelli
primavera dimora e svanisce.
Tu ansito costretto e interrotto
ora, ora e sempre,
insaziabile e smorto raggiungermi.
Ora e sempre? Ma se da un bene
l’ombra, se di un’idea
solo mi tocchi, o vortice a cui corrono
i conati malcerti, il fioco
sospingermi del cuore. E là nel vetro
pasqua e maggio e il rissoso lume affondano
e l’infinito verde delle piogge.
Col motore sobbalza
la strada e il fango, cresce
l’orgasmo, io cresco io cado.
Di te vivrò fin che distratto ecceda
il tuo nume sul mio
già estinto significato,
fin che in altri terrori tu rigermini
in altre vanificazioni.

Andrea Zanzotto- Da Vocativo

L’io del poeta si interroga per tutto il testo, in un' indagine dialetticamente sospesa tra affanno, paura, sentimento di perdita  e spiragli di una possibile autoidentificazione.

Se fossi ancora in aula, oggi come una volta: “Silenzio”.

L’invito agli studenti sarebbe quello di meditare sui versi 12-15 e in particolare sull’ossimoro “ primavera dimora e svanisce”, indicativo ieri come oggi della precarietà e fuggevolezza di tempo e stagioni, all’interno di una generale e angosciosa instabilità di tutto ciò che ci circonda.



Anna Lanzetta




mercoledì 12 ottobre 2011

Viaggiando con artisti e letterati 3, La Locride V




Corrado Alvaro

(San Luca,1895- Roma,1956)

 La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere onestamente sia inutile  (Corrado Alvaro)

Ogni luogo della Locride è richiamo a un passato non sepolto ma vivo e serpeggiante essenzialmente nella ritualità.
San Luca è un luogo che si ammanta di fascino e di mistero. Le sue origini risalgono a tempi lontani quando le avverse condizioni spinsero gli abitanti di Potamia a cercare una nuova terra. Erano pastori d’Aspromonte che dopo un lungo cammino  si fermarono in un luogo, dove i pastori portavano le greggi durante i rigidi inverni. Era il 18 ottobre 1592 e data la ricorrenza del santo, chiamarono il paese che costruirono San Luca e a Polsi di San Luca sorse uno dei monasteri diventato luogo "mariano" di forte  richiamo, essenzialmente per i calabresi e i siciliani. 



Il Santuario "Madonna della Montagna" a Polsi di San Luca



Il bel campanile in stile bizantino.


Il campanile col suo cappello a cono come se stesse a guardia di se stesso (Corrado Alvaro)

A 13 Km da San Luca, ai piedi di Montalto, la più alta cima dell’Aspromonte, sorge in una profonda vallata il Santuario dedicato alla “Madonna della Montagna di Polsi”. Fu un tempo romitorio dei monaci bizantini che vi si rifugiarono per sfuggire alle persecuzioni o di monaci fuggiti dalla Sicilia verso il IX secolo, a causa delle incursioni. Nel secolo XI il luogo, ormai abbandonato, si rivestì di leggenda. Si racconta che nel posto dove ora sorge la chiesa, sia stata rinvenuta da un pastore, una strana Croce di ferro, dissotterrata miracolosamente da un torello. La Croce è tutt’oggi conservata nel Santuario di “Santa Maria di Polsi”e a diffondere il culto della devozione alla Croce e alla Madonna furono i monaci basiliani, praticanti il rito greco.

Questo Santuario, ha scritto l'illustre latinista e poeta Francesco Sofìa Alessio (Radicena,1873-Reggio Calabria,1943) nella prefazione del suo poemetto Feriae montanae, fu fondato al tempo di Ruggiero il Normanno, dopo che un pastore vide un torello genuflesso dinanzi ad una Croce greca, che si conserva ancora, e dopo l'apparizione della Vergine, che volle un tempio nella Valle di Polsi per richiamare intorno a sé i fedeli di Calabria e di Sicilia. Innumerevoli sono i miracoli operati dalla Vergine della Montagna e le grazie concesse.
Nell'anno 1771, i Principi di Caraffa, ottenuta per intercessione di Maria prole maschile, si recarono al Santuario per ringraziare la Vergine, ma giunti presso Bovalino il bambino morì. I Principi, composto il corpicino in una bara, ripresero il viaggio con la ferma fede che la Madonna lo avrebbe restituito in vita. Entrati nel Santuario esposero sull'altare il cadaverino e cominciarono a recitare le litanie, e quando si venne all'invocazione Sancta Maria De Polsis il bambino aperse gli occhi e tornò in vita. La bara si conserva ancora nel Santuario.
L'episodio è riportato in un noto canto popolare pubblicato nel volume "Storia e Folklore Calabrese".




Nella chiesa di Polsi si venera un bellissimo simulacro della Madonna, in pietra tufacea, scolpito a tutto tondo da maestranze siciliane o napoletane. Nulla si sa dell’arrivo di questa statua nella valle, a parte le leggende. Alcuni autori, tra i quali Corrado Alvaro, ritengono che il trasferimento sia avvenuto verso la metà del secolo XVI.




Del secolo XVIII è, invece, la statua lignea della Madonna, donata da Fulcone Antonio Ruffo, principe di Scilla e portata a Polsi nel 1751.

Corrado Alvaro nella sua monografia “Calabria”, scrive: Dirò di una festa che è forse la più animata delle Calabrie. Le feste fanno conoscere la natura degli uomini. Nell’Aspromonte abbiamo un Santuario che si chiama di Polsi, ma comunemente della Madonna della Montagna. È un convento basiliano del millecento, uno dei pochi che rimangono in piedi nelle Calabrie. La Madonna è opera siciliana del secolo XVI, scolpita nel tufo e colorata, con due occhi bianchi e neri, fissi, che guardano da tutte le parti.
Ognuno fa quello che può per fare onore alla Regina della festa: la gente ricca può portare, essendo scampata da un male, un cero grande quanto la persona di chi ha avuto la grazia, o una coppia di buoi, o pecore, o un carico di formaggio, di vino, di olio, di grano; ci sono tanti modi per disobbligarsi con la Vergine delicata, come la chiamano le donne. Uno, denudato il petto e le gambe, si porta addosso una campana di spine che lo copre dalla testa ai piedi, spine lunghe e dure come crescono nel nostro spinoso paese, e che ad ogni passo pungono chi ci sta in mezzo. Una femminella fa un tratto di strada sulle ginocchia; e così le ragazze fanno la strada ballando, e balleranno giorno e notte per le ore che hanno fatto il voto, fino a che si ritrovano buttate in terra o appoggiate al muro, che muovono ancora i piedi. E i cacciatori, poi, che fanno voto di sparare alcuni chili di polvere; in quei giorni non si parla di porto d’armi, e i Carabinieri lo sanno. Gli armati si dispongono nei boschi intorno al Santuario e sparano notte e giorno […].


Si vedono le mille facce delle Calabrie. Le donne intorno dicono le parole più lusinghiere alla Madonna, perché si commuova. […] Sul banco coperto di un lino, le donne buttano gli orecchini e i braccialetti; gli uomini tornati da una fortunata migrazione le carte da cento e da più: è una montagna d’oro e di denaro che per la prima volta nessuno guarda con occhi cupidi.

La Vergine guarda sopra tutti, e i gioielli degli anni passati la coprono come un fulgido ricamo […].

Al terzo giorno di Settembre si fa la processione e si tira fuori il simulacro portatile […] tra lo sparo dei fucili che formano non si sa che silenzio fragoroso, non si sente altro che il battito di migliaia di pugni su migliaia di petti, un rombo di umanità viva tra cui l’uomo più sgannato trema come davanti a un’armonia più alta della mente umana. Le semplici donne che non si sanno spiegare nulla, si stracciano il viso e non riescono neppure a piangere […].





Stefano De Fiores nato a San Luca nel 1933, missionario monfortano, dice: Dinanzi a questa statua si sprigiona il canto o la preghiera spontanea dei fedeli: parlano a lei, o lasciano che un pianto dirotto ricordi gli avvenimenti drammatici della vita, o lavi con lacrime purificatrici i più tristi trascorsi. A Polsi si evidenziano le note della pietà mariana popolare: il senso di una presenza viva dotata di potenza e bontà, l'attrattiva della bellezza, l'esigenza di contatto immediato, il bisogno di far festa…. (Da: "Storia e folklore calabrese" dell'autore).


Il fedele che si reca per la prima volta a Polsi ci ritorna volentieri, come traspare dal canto di cammino:

Vergini bella, japrìtindi li porti,

ca stanno arrivando li devoti Vostri.

E nui venimu sonando e cantandu,
Maria di la Montagna cu’ Vui m’arriccumandu.

Vergini bella, dàtindi la manu,
ca simu forestieri e venimu di luntanu.

M’arriccumandu la notti e lu jornu,
‘na bona andata e ‘nu bonu ritornu!.

La statua in pietra, domina quel santuario umano che le eleva canti e preghiere ed invoca grazie incessantemente, con fede caparbia: “…eu non mi movu di cca si la grazia Maria non mi fa…” ( io non mi muovo di qua se Maria non mi fa la grazia).
Finalmente la processione. Le mani dei suonatori si animano, le dita volano abilmente sulle canne della zampogna e sui tamburelli, e le note si frangono sulle vetuste costruzioni che circondano il santuario e l’eco le propaga sempre più lontano. (da "Maria A Cristo dentro la Fede aspromontana")

La Locride è un viaggio nella storia che lascia nel cuore un segno indelebile di stupore, di ammirazione e di sgomento.

Anna Lanzetta
continua