sabato 14 maggio 2011

Uso e abuso della “ parola ”



Jacques-Louis David (Parigi, 1748-Bruxelles, 1825),
La morte di Socrate, 1787

Nel corso del processo, Socrate disse: «Sono stato come un tafano, un insetto che punge un animale sonnacchioso», e aggiunse: «Io sono stato l’insetto che vi ha tenuto svegli, se me ne vado, voi vi addormenterete e finirete nell’ottusità».

Una riflessione sull’uso, anzi sull’abuso che da tempo si fa della parola.

…la parola è un potente signore che, pur dotato di corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine . Essa può far cessare il timore, togliere il dolore, dare una gioia, accrescere la compassione…(Gorgia, da Elogio di Elena)

In questi giorni si è visto, letto e sentito di tutto. Si mercifica e si svilisce la parola senza ritegno; si usa senza pudore, per calunniare, offendere, denigrare, dimentichi tutti che la parola  è lo strumento che ci definisce.
Mai la parola aveva suscitato tanta vergogna come in questi giorni  perché usata impunemente come mezzo per raggiungere  il proprio scopo.
La parola è ciò che ci identifica perchè certifica un nostro pensiero o una nostra idea. È  ciò che ci consente di insegnare i valori della vita: la parola è poesia dello spirito.

La parola non è solo un segno grafico che ci permette di comunicare ma la proiezione del senso che noi  le infondiamo.
Un suo uso improprio rischia di  snaturarla: la parola esige rispetto.




Johann Friedrich Greuter (Strasburgo, 1590-Roma,1662),
Socrate e i suoi studenti, XVII secolo


La parola è il riflesso del nostro pensiero. Chi la usa come elemento di facile persuasione denigra se stesso e rivela la propria mediocrità.
Non è la quantità di parole a vincere ma la qualità: la parola esige  essenzialità.
Bisogna ridare dignità alla parola. Ogni  suo abuso è una violazione.

Chi fa uso della  violenza verbale e usa la parola per l’accusa, il turpiloquio, la lite, l’offesa, l’aggressione e lo scontro dimostra la propria debolezza.

Lo spettacolo di questi giorni, ci induce a ritrovare il senso comune del dialogo e a ridare dignità alla parola. Ce lo richiede l’educazione che un tempo abbiamo ricevuto ma essenzialmente quella che dobbiamo impartire. 

Abbiamo perso il senso della parola equivalente a un pensiero concreto, a un’idea, a un’ideologia nutrita di un credo e di un sentimento. A memoria nulla di simile sconcio si ricorda. Lo squallido  spettacolo di questi giorni deve essere per tutti una spinta a riflettere e a rifiutare.  

La parola ci chiede aiuto perché le venga restituita la sua funzione di un utilizzo  nel rispetto individuale e collettivo, perché si ricominci a parlare di valori, di ideali, del nostro Paese, delle nostre necessità.
Alcuni dicono che
quando è detta,
la parola muore.
Io dico invece che
proprio quel giorno
comincia a vivere


Emily Dickinson (Amherst, 1830-1886)  

Diamo un significato a queste parole, risvegliamoci da questo sonno che ci intorpidisce, retituiamo alla parola un senso e una funzione per una rinascita individuale e collettiva.

Anna Lanzetta