sabato 28 maggio 2011

Il fremito accende l’emozione quando la poesia è rievocazione



Castelvecchio, La casa di Giovanni Pascoli

Fu visitando la sua casa che sentii mia la poesia di Pascoli: Di là si vede Barga, si percepisce la sua “ora”, si colgono il respiro dell’Appennino e il significato della scelta di chi cercava, in un paesaggio come questo, sostegno e ispirazione per coltivare la religione della poesia.

Fu guardando dalla finestra del suo studio il viale, che, attraversando il suo orto, porta al cimitero dove aveva sepolto la sua infanzia, che rividi il -pesco, il melo- lui fanciullo felice.
Fu allora che la sua poesia diventò per me tangibile e quel poeta che un tempo avevo poco amato, mi divenne amico.
Anch’io ora avevo elementi a cui legare la memoria della mia esistenza. La poesia, la pittura e la musica erano diventate da tempo, calco del mio pensiero.

La “casa di Castelvecchio” è avvolta da muri e fronde, al riparo di voci che non siano quelle degli uccelli e delle acque.
E ricordai la casa della mia fanciullezza focolaio felice dei miei ricordi.

Nel tempo, la natura mi è diventata fedele amica. È lontana  la  mia casa dal fiume Ema e non posso ascoltarne il gorgoglio quando è in piena ma di sera il pentagramma delle lucciole  che illumina il buio è meraviglioso e  le voci degli uccelli  nel silenzio del mattino mi inebria sul terrazzo di cucina. Un concerto di voci, di suoni, di voli che predispone il mio animo alla giornata; ma è la tortora, che viene a razzolare nel vaso di pansè, a rapirmi.
Mentre scrivo, il sole mi inonda,  si perde l’eco degli ultimi stridi e si smonta l’incanto.



La persona a cui Pascoli era  più affezionato era la madre, di cui ci delinea un ritratto molto intenso nella poesia Mia madre:


Pablo Picasso, Madre e figlio

Zitti, coi cuori colmi,
ci allontanammo un poco.
Tra il nereggiar degli olmi
brillava il cielo in fuoco.

...Come fa presto sera,
o dolce madre, qui!

Vidi una massa buia
di là del biancospino:
vi ravvisai la thuia,
l'ippocastano, il pino...

...Or or la mattiniera
voce mandò il luì;

Tra i pigolii dei nidi,
io vi sentii la voce
mia di fanciullo... E vidi,
nel crocevia, la croce.

...Sonava messa, ed era
l'alba del nostro dì.

E vidi la Madonna
dell' Acqua, erma e tranquilla.
con un fruscio di gonna,
dentro. e l'odor di lilla.

...pregavo ...E la preghiera
di mente già mi uscì.

Sospirò ella, piena
di non so che sgomento.
Io me le volsi: appena
vidi il tremor del mento!

...Come non è che sera,
madre, d'un solo dì?

Me la miravo accanto
esile sì, ma bella:
pallida sì, ma tanto
giovane! una sorella!

bionda così com'era
quando da noi partì.
( da Canti di Castelvecchio)

Figura materna  che si associa a quella di  altri poeti:




Pablo Picasso, Madre e figlio

"Mater dolcissima, ora scendono le nebbie, il Naviglio urta confusamente sulle dighe, gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve; non sono triste nel Nord: non sono in pace con me, ma non aspetto perdono da nessuno, molti mi devono lacrime da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi come tutte le madri dei poeti, povera e giusta nella misura d'amore per i figli lontani. Oggi sono io che ti scrivo." - Finalmente, dirai, due parole di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore lo uccideranno un giorno in qualche luogo. –
"Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo di treni lenti che portavano mandorle e arance, alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze, di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio, questo voglio, dell'ironia che hai messo sul mio labbro, mite come la tua. Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori. E non importa se ora ho qualche lacrima per te, per tutti quelli che come te aspettano, e non sanno che cosa. Ah, gentile morte, non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro tutta la mia infanzia è passata sullo smalto del suo quadrante, su quei fiori dipinti: non toccare le mani, il cuore dei vecchi. Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà, morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
(Lettera alla madre di Salvatore Quasimodo).




Leggo e all’istante mi si  materializza  il suo volto tra i fiori di quella cartolina che mi spedì il 23-07-'67 con sul retro scritto: Ricevi mille auguri per un ricco av-venire con mille benedizioni e baci, tua madre.

Ero andata  via dal paese con il mio titolo e la mia giovinezza e sulla soglia l’abbracciai e la tenni stretta. Era già in là con gli anni ma solo per le rinunce, e lessi in lei l’orgoglio e la dignità che oggi sento in me.
Ma il suo viso bellissimo e angosciato, è fermo  nella mia mente, alle ore da lei trascorse al mio capezzale a pregare perché guarissi. Avevo diciassette anni e ferocemente aggredita dalla malattia.
La sua  fede  fu premiata ma io la sua fede non l’ho ereditata.




Eduard Munch, La bambina malata

È bellissimo ricordare: la mente pullula e sgomitano visi, vicende, luoghi e persone.
Il fremito accende l’emozione quando  la poesia è rievocazione.

Spero che questo mio scritto sia per gli altri un input a scrivere e a ricordare.
Questo è il senso della comunicazione.

Anna Lanzetta