giovedì 27 gennaio 2011

Con Primo Levi, perché nulla si dimentichi



Felix Nussbaum, Autoportrait

La tregua
                            
Sognavamo nelle notti feroci
Sogni densi e violenti
Sognati con anima e corpo:
tornare; mangiare; raccontare.
Finchè suonava breve sommesso
Il comando dell’alba:
<>;
E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,
il nostro ventre è sazio,
abbiamo finito di raccontare.
È tempo. Presto udremo ancora
Il comando straniero:
<>;
                    
   11 gennaio 1946


 

Primo Levi

[…] Sono stati proprio i disagi, le percosse, il freddo, la sete, che ci hanno tenuti a galla sul vuoto di una disperazione senza fondo, durante il viaggio e dopo. Non già la volontà di vivere, né una cosciente rassegnazione: perché pochi sono gli uomini capaci di questo, e noi non eravamo che un comune campione di umanità.
Gli sportelli erano stati chiusi subito, ma il treno non si mosse che a sera. Avevamo appreso con sollievo la nostra destinazione, Auschwitz: un nome privo di significato, allora per noi; ma doveva pur corrispondere a un luogo di questa terra.
Il treno viaggiava lentamente, con lunghe soste snervanti. Dalla feritoia, vedemmo sfilare le alte rupi pallide della val d’Adige, gli ultimi nomi di città italiane. Passammo il Brennero alle dodici del secondo giorno, e tutti si alzarono in piedi, ma nessuno disse parola. Mi stava nel cuore il pensiero del ritorno, e crudelmente mi rappresentavo quale avrebbe potuto essere la inumana gioia di quell’altro paesaggio, a portiere aperte, chè nessuno avrebbe desiderato fuggire, e i primi nomi italiani…e mi guardai intorno, e pensai quanti, fra quella povera polvere umana, sarebbero stati toccati dal destino.
Fra le quarantacinque persone del mio vagone, quattro soltanto hanno rivisto le loro case; e fu di gran lunga il vagone più fortunato.
Soffrivamo per la sete e il freddo: a tutte le fermate chiedevamo acqua a gran voce, o almeno un pugno di neve, ma raramente fummo uditi; i soldati della scorta allontanavano chi tentava di avvicinarsi al convoglio. Due giovani madri, coi figli ancora al seno, gemevano notte e giorno implorando acqua. Meno tormentose erano per tutti la fame, la fatica e l’insonnia, rese meno penose dalla tensione dei nervi: ma le notti erano incubi senza fine. […]
Accanto a me, serrata come me fra corpo e corpo, era stata per tutto il viaggio una donna. Ci conoscevamo da molti anni, e la sventura ci aveva colti insieme, ma poco sapevamo l’uno dell’altra.
Ci dicemmo allora, nell’ora della decisione, cose che non si dicono fra i vivi. Ci salutammo, e fu breve, ciascuno salutò nell’altro la vita. Non avevamo più paura.[…]
Sappiamo anche che non sempre questo pur tenue principio di discriminazione in abili e inabili fu seguito, e che successivamente fu adottato spesso il sistema più semplice di aprire entrambe le portiere dei vagoni, senza avvertimenti né istruzioni ai nuovi arrivati. Entravano in campo quelli che il caso faceva scendere da un lato del convoglio; andavano in gas gli altri.
Così morì Emilia, che aveva tre anni; poiché ai tedeschi appariva palese la necessità storica di mettere a morte i bambini degli ebrei. Emilia, figlia dell’ingegner Aldo Levi d Milano, che era una bambina curiosa, ambiziosa, allegra e intelligente; alla quale, durante il viaggio nel vagone gremito, il padre e la madre erano riusciti a fare il bagno in un mastello di zinco, in acqua tiepida che il degenere macchinista tedesco aveva acconsentito a spillare dalla locomotiva che ci trascinava tutti alla morte.
Scomparvero così, in un istante, a tradimento, le nostre donne, i nostri genitori, i nostri figli. […]
(da Primo Levi, Il viaggio)



Per non dimenticare

Se questo è un uomo
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
                                                    Primo Levi

Primo Levi (1919-1987) è nato a Torino da famiglia israelitica. Internato nel lager di Auschwitz, riuscì a sopravvivere e rievocò quell’esperienza e il fortunoso ritorno a casa nei suoi libri: Se questo è un uomo (1947) e La Tregua (1963). È morto suicida nel 1987.

Non si possono leggere questi versi, queste parole, queste pagine, senza sentirsi smarrire, senza sentire il bisogno di coprirsi il viso per l’orrore di ciò che è stato e di ciò che potrebbe ripetersi, perché Auschwitz  è ancora in agguato.
La lettura, depositaria della nostra memoria, è un filtro pausativo per sapere, ricordare, confrontarsi  e operare per impedire che simili mostruosità ritornino, perché “il sonno della ragione può ancora generare mostri”. (A. L.)

Anna Lanzetta