venerdì 4 settembre 2015

DI FRONTE ALLA MORTE DI AYLAN, BIMBO SIRIANO



Opere di Käthe Kollwitz  (Königsberg, 1867- Moritzburg, 1945)



È sempre l’infanzia a strapparci dal nostro torpore, a dirci che la nostra negligenza unita all’indifferenza  sta massacrando le nostre coscienze e sta spezzando i nostri cuori.

Cosa chiede quel bimbo senza vita, solo,  abbandonato sulla spiaggia al sonno della morte? Forse una ninna nanna ? Forse il sorriso della mamma o il calore di un abbraccio? Forse  una speranza di vita per tanti altri bambini vittime di guerre, di violenze e di odio?.

Troppi sono i corpi finiti in fondo al mare, persone fuggite dalla propria terra  per  una possibilità di vita, per una speranza per i propri figli.

Troppi corpi accusano l’intera umanità di follia e di cecità.

E se fossimo noi costretti a bussare senza che nessun uscio si aprisse a una possibilità di vita?.

Immagini strazianti ci accusano ma  ciò che colpisce parimenti è che non si vede ancora nessuna  seria soluzione al problema.

Non commuoviamoci soltanto di fronte al bambino trovato morto ma  fermiamoci per pensare e riflettere in un profondo -mea culpa- perché si ponga fine a tale scempio.

Il mare si veste a lutto in un mormorio doloroso come un pianto antico di cui ci credevamo immuni.

Il mare perde i suoi magnifici colori e non dona refrigerio, pregno di presenze che ci gridano la nostra disumanità.

Il pianto si infittisce tra le onde a scaglie e appaiono volti di mamme lacere, di bimbi che chiedono solo una scodella di latte. Le mamme stringono a se i figli in un dolore disperato, in una ricerca di aiuto negata.

I tanti  corpi disseminati  mostrano la nostra infamia. Non si ode più  il lento e dolce mormorio del mare mutato in agonia.





Non possiamo dissociarci! Non dobbiamo! Troppi morti invadono la nostra ragione restia e le scaglie dorate del mare si coprono di  livido orrore. Ogni volta che si affonda un piede tra le onde, si ritira istantaneo per timore che un corpo affiori o che un bimbo ci tenti la mano per un soffio di vita.

Il  contatto con le acque  ci riporta  immagini di morte: bimbi strappati alle loro madri,  braccia di madri strette ai propri figli.

Le madri nel mondo che lottano per la vita sono uguali, senza confini e senza colori. Tutti i bambini che bussano a un uscio sono uguali quando tendono un braccio perché una scodella si riempia. Ogni bambino che muore è un crimine contro l’umanità che ci coinvolge tutti e scuote le nostre coscienze. Non possiamo più restare muti di fronte a tale scempio. Ogni bambino reclama la sua scodella e nel mondo ce n’è per tutti e si potrebbero soddisfare le esigenze di tutti se solo si  ripartissero in modo equo le ricchezze, se si riscoprisse quell’umanità che ci contrassegna come uomini.

È solo ignoranza quella che allontana dai propri doveri, è la paura  del dare. Sono i tempi bui che generano rancore, diffidenza, che ci allontanano da quella carità che ci rende uniti e fratelli.

La  disperazione di chi ci chiede aiuto è dietro il nostro uscio e ad ogni nostro boccone un bimbo piange per una scodella che non può stringere.
Quei vagoni riportano ad un passato triste da riguardare così come i numeri segnati con pennarelli. 





Non dimentichiamo la nostra storia. Non dimentichiamo chi siamo. Non siamo diversi, noi siamo fratelli e il grido di dolore che ci sovrasta  deve essere raccolto per togliere dal mondo una vergogna che sta scuotendo fortemente le coscienze si spera (se non vogliono annoverarsi come -bestie-) anche di coloro che considerano  chi chiede aiuto -carne da macello-.

Non rendiamoci ancora più colpevoli!

È  sempre presente nella società il monito di Goya da non dimenticare: Il sonno della ragione genera mostri affinché nulla del passato si ripeta a nostra ignominia.