Edvard Munch. Malinconia
Storia di Rosa
Rosa aveva sognato tutta la vita
l’abito bianco. Aveva trent’anni e non era fidanzata. A quei tempi, a quell’età
si era già zitella. Sposarsi voleva dire
uscire di casa e diventare indipendenti (anche se spesso non era così).
Voleva dire uscire dalle quattro mura domestiche. Mentre china sull’orlo
accarezzava l’abito bianco che stava confezionando per la sorella, sorrideva tra
sé. Lieve la mano scivolava tra le
pieghe e gli occhi lucidi, denunciavano
il desiderio mal represso di voler cucire anche per sé un abito nuziale.
In casa non poteva dedicarsi molto
tempo. La famiglia era numerosa e lei doveva badare ai fratelli. A volte diceva
che era come se già si fosse sposata perché dopotutto una famiglia l’aveva
cresciuta (quattro fratelli era un nucleo numeroso). Man mano poi la casa
cominciò a svuotarsi, ognuno cercava altrove la propria strada e si allontanava
per lavoro. E passava anche il tempo della sua vita. Un giorno Rosa si recò a
far visita a uno dei fratelli. Sul treno
incontrò un uomo che intrecciò subito un discorso. Era timorosa per la
poca esperienza di vita ma quell’incontro fu per lei come l’aprirsi di un
orizzonte. L’uomo l’affascinò e un giorno si presentò a casa sua con la
promessa del matrimonio. Rosa dapprima timida e impacciata, cambiò. Gli occhi
le si illuminarono. Sentì dentro di sé una grande gioia. Si sentì donna. Era
felice! E già pensava ai preparativi. Avrebbe confezionato anche per sè l’abito
da sposa a lungo sognato. L’uomo le fece mille promesse…che l’avrebbe portata
lontano. Si fece comprare abiti con questa chimera. Ma alla sera del terzo
giorno tutto cambiò. Non più amore ma freddezza e fastidio annullarono ogni
speranza. La mattina, l’uomo ripartì in treno portandosi via gli abiti nuovi
per una destinazione sconosciuta, segnando la fine di ogni promessa. Rosa lo
seguì sulla soglia ma nel commiato ebbe
solo una stretta di mano e non
seppe più nulla di lui.
La violenza era stata troppo forte.
Per la prima volta Rosa aveva provato un sentimento ma era stata violentata in
modo atroce con l’annientamento di ogni speranza. Fu allora che cominciò a
morire. Piano, lentamente, senza un lamento, senza che trasparisse la sua
angoscia. Riprese a lavorare ma i lunghi silenzi erano eloquenti. La casa si
era svuotata e lei era sola col suo ricordo. Incominciò a non mangiare più
sufficientemente. Il male si stava già impadronendo
di lei. Era ormai diventata l’ombra di sé stessa. La spina nel cuore la lacerava
più di una lama o di un colpo di arma letale e gli occhi si spegnevano
lentamente. Ogni cura fu inutile. La violenza subita l’aveva lacerata dentro e
ormai non si accorgeva nemmeno più di avere un cuore. Il male diagnosticato fu
inesorabile come l’uomo che l’aveva illusa e abbandonata per sempre. Morì in un
giorno caldo di giugno mentre il giardino profumava di rose. Andò via col suo
candore, la sua innocenza e una parvenza d’amore, adornata di rose profumate
come il suo nome.
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