giovedì 22 ottobre 2020

Studiare con l’arte: Giovanni Pascoli (seconda parte)

                                                                   Il seminatore di Van Gogh

Dalla sofferenza privata al dolore universale: la natura come simbolo

In età ormai matura, il poeta tenta di ricostruire il nido familiare. La campagna intorno al nuovo nido di Castelvecchio di Barga, che diventa la sua nuova patria (Maria, dolce sorella: c’è stato un tempo che noi non eravamo qui?), gli fornisce nuova materia poetica, collegandosi idealmente con la campagna intorno a S. Mauro di Romagna. La scelta del tema campestre o paesistico non avviene indipendentemente dal trauma che condiziona tutta la sua vita, sia perché al paesaggio campestre sono legati i ricordi della sua adolescenza felice sia  perché da quel paesaggio egli ora si sente definitivamente escluso. La frattura definitiva tra passato e presente implica la frantumazione delle rievocazioni in una serie di impressioni apparentemente slegate,  le immagini diventano il segno della felicità perduta e si caricano di un valore simbolico. La natura prende vita nelle forme verbali che la identificano e comunica con vario cromatismo realtà e stati d’animo, per cui il frinire delle cavallette diventa il suono di “finissimi sistri d’argento” e rievoca un’immagine di morte. Un aratro senza buoi in un campo allude alla solitudine: Nel campo mezzo grigio e mezzo nero / resta un aratro senza buoi, che pare / dimenticato, tra il vapor leggiero. / E cadenzato dalla gora viene / lo sciabordare delle lavandaie / con tonfi spessi e lunghe cantilene (Lavandare) e richiama  Il ponte levatoio in Arles con un gruppo di lavandaie di  Van Gogh. La parola poetica alterna le sensazioni di silenzio, solitudine, abbandono della prima strofa ai rumori, canti, voci della seconda, per riflettere specularmente nella terza, attraverso il madrigale (quando partisti, come son rimasta! / come l’aratro in mezzo alla maggese) l’immagine dell’aratro in quella della donna abbandonata. Se il -nido- si associa al tema della casa come culla, protezione, sicurezza, la -siepe- diventa il baluardo del nido, disegna il confine tra il dentro,  percepito come rassicurante, e il fuori, che rappresenta il pericolo, l’insidia, la violenza. Non limite visivo che suscita la meditazione sugli interminati / spazi… e sovrumani / silenzi, e profondissima quïete di leopardiana memoria, ma siepe che al campo sei come l’anello al dito…/ …che il passo chiudi co’ tuoi rami / irsuti al ladro…./ verde muraglia della mia città…/ immobile al confine…. / fuori, dici un divieto acuto come spine / dentro, un assenso bello come fiori (La siepe). Anzi, la siepe / dell’orto disegna una barriera difensiva contro la realtà di sofferenza (Nebbia) e dialoga con la siepe del camposanto dov’è sepolta la madre del pellegrino, da cui egli taglia il bordone che lo accompagna tutta la vita (Il bordone) in relazione a L’orto di A. Sisley.

 La novità del linguaggio e la percezione del mistero: Pascoli utilizza il linguaggio fonosimbolico dell’onomatopea: chiù dell’assiuolo, gre gre di renelle, don don di campane …, e i linguaggi tecnici, speciali: il critico G. Contini individua in queste scelte il sintomo di «un rapporto critico» fra «l’io e il mondo». Pascoli proclamò il fallimento della scienza positiva, che non era riuscita a squarciare il mistero e a sconfiggere la morte. Sempre Contini afferma: «Quando si usa un linguaggio normale, vuol dire che dell’universo si ha un’idea sicura e precisa, che si crede in un mondo certo…in un mondo gerarchizzato dove i rapporti stessi… tra l’ uomo e il cosmo sono determinati, hanno dei limiti esatti». Ma Pascoli ha rotto la frontiera tra determinato e indeterminato: la precisione del tessuto linguistico rappresenta la rete entro cui imbrigliare una realtà che sfugge, che diventa incomprensibile e che solo il poeta-fanciullo può cogliere nelle sue valenze più nascoste, disvelandone gli aspetti illusori. Così il «pianto di stelle» nella notte di San Lorenzo sancisce la distanza tra il «Cielo, dall’alto dei mondi / sereni, infinito, immortale» e la terra, l’esperienza concreta degli uomini, «quest’atomo opaco del Male»: la sofferenza individuale si rispecchia nella tragedia dell’esistenza umana a cui la natura resta indifferente, immagine che richiama Notte stellata di V.Van Gogh. Il quadro è per l’artista ciò che la poesia è per Pascoli: un pretesto per stabilire il proprio rapporto con la realtà e le cose. L’opera fu composta dopo una profonda crisi esistenziale: il turbinio vorticoso delle pennellate testimonia l’angoscia dell’artista e la profondità con cui egli apprezza la bellezza del mondo «Sarebbe così bello / questo mondo odorato di mistero» (Colloquio)  «Ma bello è questo poco di giorno / che mi traluce come da un velo» (L’ora di Barga). La nostalgia per un’adesione positiva al reale, nonostante la sua sostanziale inconoscibilità (confronta la «fronte / bianca di sfinge» in Paese notturno), simbolo del mistero della vita, rimane una tensione presente nell’animo del poeta e prevale la sensazione di inquietudine e mistero nella rappresentazione della realtà:Venivano soffi di lampi / da un nero di nubi laggiù; / veniva una voce dai campi: / chiù…(L’assiuolo). La prepotente sinestesia (soffi di lampi) e l’oggettivazione della qualità cromatica (nero di nubi) ben sintetizzano il pericolo imminente, a cui fa eco la voce dell’ assiuolo, che si trasforma  prima in un singulto e poi in un pianto di morte.

Ancor più in Scalpitio il risuonare di un galoppo da remote lontananze, induce un moto di sgomento. L’annuncio del temporale (nell’omonima poesia), un bubbolio lontano, fa presentire qualcosa di tragico che sta maturando misteriosamente nel grembo della natura; all’effetto fonosimbolico anche in questo caso si unisce il forte contrasto cromatico, quasi espressionistico: rosseggia, affocato, nero di pece, stracci di nubi chiare, tra il nero, un casolare, un’ala di gabbiano. La situazione drammatica si accentua nella poesia Il lampo, in cui la natura acquista i connotati tragici della sofferenza umana: la terra ansante, livida, in sussulto; / il cielo ingombro, tragico, disfatto. E la tragicità è accentuata dal pauroso silenzio in cui l’azione avviene, il tacito tumulto, contrastato però dalla violenza delle allitterazioni di suono duro che percorrono tutto il testo. L’apparizione della casa, rapida come suggerisce l’asindeto (apparì sparì) viene associata all’occhio che riesce per un attimo a guardare nel mistero che ci circonda, rivelando una realtà tragica (la notte nera). La nebbia costituisce il simbolo della visione velata del mistero profondo che nasconde la realtà: E guardai nella valle: era sparito / tutto! sommerso! Era un gran mare piano, / grigio, senz’onde, senza lidi, unito. / E ancora: …Vidi,  e più non vidi, nello stesso istante. (Nella nebbia). Anzi, la nebbia diventa sinonimo di difesa contro la consapevolezza del dolore del vivere: Nascondi  le cose lontane, / nascondimi quello ch’e morto! / le cose son ebbre di pianto! (Nebbia), nebbia che cela come Nebbia di Cecconi. Per il critico G. Contini, Nebbia è una poesia «che può essere perfettamente citata come  allegoria generale del mondo pascoliano». In realtà, Pascoli giunge a indicare, attraverso la parola poetica, una via d’ uscita: se la vita dell’ uomo è segnata dal dolore, dal mistero, dalla morte e si è smarrito il senso della provvida sventura non resta che il legame di fraternità tra simili: Uomini, pace! Nella prona terra / troppo è il mistero; e solo chi procaccia / d’aver fratelli in suo timor, non erra (I due fanciulli).

 

 


                                                                           L’orto di A. Sisley

Conclusioni: Con questo lavoro, abbiamo tentato di costruire un percorso sinergico tra linguaggio poetico e linguaggio figurativo, poiché la Storia dell’Arte non è materia curricolare nel nostro Istituto Tecnico ma grazie a questa esperienza, abbiamo avuto l’occasione di arricchire l’orizzonte delle nostre conoscenze con gli elementi pittorici, cogliendone l’immediatezza espressiva attraverso la pittura dei Macchiaioli e quella en plein air degli Impressionisti, per approdare a quella dei Simbolisti che, con l’ uso particolare del colore, caricano la realtà di un proprio significato e comunicano, come fa Pascoli con il linguaggio poetico, la loro visione del mondo.

Questo percorso ci ha consentito di conoscere Pascoli più da vicino e di scoprirne la profonda sensibilità di uomo e di poeta. Scoprire, in fondo, che Pascoli non è solo il poeta “lacrimoso”, come spesso è stato definito, ma un uomo che, attraverso la poesia, denuncia una società che, allora come oggi, disattende le attese, specialmente dei giovani. Noi ci siamo riconosciuti nelle ansie e nel disagio esistenziale dei momenti più bui della sua vita, soprattutto nello scontro tra illusione e realtà, una verità fortemente esplicitata da altri poeti prima e dopo di lui. Ma abbiamo anche colto i bagliori di una vita che deve e può continuare: alla fine di Temporale (Myricae) troviamo l’immagine dell’ala di gabbiano, che analogicamente col casolare si staglia sul nero di pece. Similmente in Temporale (Canti di Castelvecchio) appare una chioccia: …passa sotto / l’acquazzone una chioccia. / Appena tace il tuono,  / …tra il vento e l’ acqua, buono, s’ode quel coccolare / co’ suoi pigolii dietro. Ancora una volta, la natura (in questo caso il gabbiano e la chioccia) allude simbolicamente a una realtà profonda, ma indicando una possibilità positiva. Per questo ci sembra in sintonia chiudere la nostra riflessione con Il seminatore di Van Gogh, in cui i colori esprimono la forza vitale, il seminatore semina speranze per una vita migliore, mentre un enorme sole diventa il simbolo di spiritualità e di vita.

lunedì 5 ottobre 2020

Studiare con l'arte: Giovanni Pascoli


Per chi ama l’arte e la poesia, presentiamo il progetto “Giovanni Pascoli, tra parole e immagini”:

realizzato a scuola nel 2008 con la prof. Fiorella Menna e gli studenti del biennio dell’ITIS “A. Meucci”.

 È bello studiare con l’arte perché rende visibili realtà, sensazioni ed emozioni. Bisogna avvicinare i ragazzi all’arte, patrimonio inestimabile di bellezza, armonia e conoscenze attraverso un gioco di ricerca e curiosità: Quanti dubbi, quante delusioni, quanti sogni sperimentiamo ogni giorno; quante difficoltà e incomprensioni, per qualcuno anche forti traumi, tanto più forti in quanto vissuti in un’età delicata, come l’adolescenza, e ancor più fragile oggi, per mancanza di punti di riferimento sicuri. Per Pascoli l’origine della sua sofferenza ha radici profonde, legate a traumi familiari come i numerosi lutti, le delusioni e le ingiustizie patite. La persona a cui il poeta è più affezionato è la madre, di cui delinea un ritratto molto intenso: Me la miravo accanto / esile sì, ma bella / pallida sì, ma tanto / giovane! Una sorella! / bionda così com’ era / quando da noi partì (La madre), immagine che si lega a  ”La Madre”  di S. Lega. Il ricordo dei suoi baci e del vezzeggiativo con cui lo chiamava -Zvanì-  basta a definire beati anche se fugaci quei giorni (Una voce). La figura materna diventa, quindi, nell’ immaginario poetico di Pascoli, sinonimo di sicurezza e protezione dalle minacce del reale. Tenerissima l’espressione:…Soave allora un canto / s’ udì di madre, e il moto di una culla   (Il tuono). Altrettanto importante è il suo paese natale, che egli ricorda con nostalgia: Sempre un villaggio, sempre una campagna/ mi ride al cuore (o piange), Severino:/il paese ove, andando, ci accompagna/ l’azzurra visïon di San Marino:…oh! fossi io teco; e perderci nel verde,/e di tra gli olmi, nido alle ghiandaie,/ gettarci l’urlo che lungi si perde/ dentro il meridïano ozio dell’aie; / …Era il mio nido: dove, immobilmente,/ io galoppava con Guidon Selvaggio/ e con Astolfo; o mi vedea presente/ l’imperatore nell’eremitaggio./…Ma da quel nido, rondini tardive,/tutti tutti migrammo un giorno nero:/io, la mia patria or è dove si vive:/ gli altri son poco lungi; in cimitero./ …Romagna solatìa, dolce paese,/ cui regnarono Guidi e Malatesta;/ cui tenne pure il Passator cortese,/ re della strada, re della foresta. Bellissimo ai nostri occhi il paesaggio assolato e denso di vita che rievoca Vecchia città II di V. Kandisky. Il calore dell’abbraccio dell’ambiente familiare supera ogni altra esperienza: Già m’accoglieva in quelle ore bruciate / sotto ombrello di trine una mimosa, / che fioria la mia casa ai dì d’estate / co’ suoi pennacchi di color di rosa./…Era il mio nido… (Romagna), e l’arte di  C. Pissarro materializza la natura in Raccolto generoso e in Falciatura ad Eragny: Lungo la strada vedi su la siepe / ridere a mazzi le vermiglie bacche: / nei campi arati tornano al presepe / tarde le vacche. (Sera d’ ottobre.)

 

 A sette anni Pascoli entra in collegio insieme al fratello Giacomo e alla sorella Margherita. Sono gli anni più spensierati della sua vita, di cui sentiamo l’eco in alcuni versi: È questa una mattina  / che non c’ è scuola. Siamo usciti a schiera / tra le siepi di rovo e d’ albaspina,… Sono le voci della camerata / mia: le conosco tutte all’ improvviso, / una dolce,una acuta, una velata…(L’aquilone), versi che riflettono la freschezza dell’adolescenza in convergenza con il tripudio di colori di  Frutteto in primavera di A. Sisley. Fondamentale per il poeta è la figura del padre con le sue attenzioni, il suo sorriso, la sua tenerezza e il senso di sicurezza che infonde alla famiglia: E Margherita, la sorella grande,/ di sedici anni, disse adagio: “Babbo...„/“Che hai?„ “Ho, che leggemmo nel giornale/ che c’è gente che uccide per le strade...,/ Chinò mio padre tentennando il capo/ con un sorriso verso lei. Mia madre/ la guardò coi suoi cari occhi di mamma, come dicendo: A cosa puoi pensare!/ E le rondini andavano e tornavano, /ai nidi, piene di felicità…Mio padre prese la sua bimba in collo,/col suo gran pianto ch’era di già roco;…e la baciò, la ribaciò negli occhi… zuppi di già per non so che martoro. /“Non vuoi che vada?„ “No!„ “Perchè non vuoi?„/ “No! no!„ “Ti porto tante belle cose!„/ “No! no!„ La pose in terra: essa di nuovo / stese alla canna le sue dita rosa, / gli mise l’altro braccio ad un ginocchio:/ No! no! papà! no! no! papà! no! no! (Un ricordo). Ed aspettò. Aspetta ancora. Il babbo/ non tornò più. Non si rivide a casa.Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini: / ella aveva nel becco un insetto: / la cena dei suoi rondinini. Anche un uomo tornava al suo nido: / l’uccisero: disse: Perdono; /e restò negli aperti occhi un grido / portava due bambole in dono…(X  Agosto). Il quadro di  E. Munch “Al capezzale di un defunto”esemplifica  l’atmosfera di dolore. Il nido è stato violato e il richiamo a L’urlo di E. Munch,  è inevitabile. L’analogia suono-colore struttura la composizione: violente strisce ondulate, rosse, blu e gialle, generano il cielo e il mare. La figura umana è un’apparizione spettrale, delirante, dagli occhi vuoti. Ma da quel nido, rondini tardive, / tutti tutti migrammo un giorno nero; / io, la mia patria or è dove si vive: / gli altri son poco lungi; in cimitero. (Romagna). L’assassinio del padre, la morte della madre e dei fratelli, la dispersione della famiglia, la povertà, la necessità di lottare per vivere costituiscono una frattura rispetto al tempo felice dell’adolescenza e segnano la fine delle illusioni, come ci viene suggerito dalla poesia: “Novembre”: Gemmea l’aria, il sole così chiaro, / che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,/e del prunalbo l’ odorino/ amaro senti nel cuore… La prima strofa della poesia, creata sul piano delle sensazioni e delle emozioni produce una forte impressione che fa sembrare reale ciò che non è ed è semplice il richiamo a  Primavera di  C. Monet. Ma secco è il pruno, e le stecchite piante / di nere trame segnano il sereno, / e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante / sembra il terreno. Non ci sono più illusioni, le trame degli alberi secchi indicano la perdita dei sogni: Silenzio intorno: solo, alle ventate, / odi lontano, da giardini ed orti / di foglie un cader fragile. È l’estate, / fredda, dei morti, immagine che si configura  per noi in Novembre  di T. Signorini. La poesia  è innervata dalle figure dell’opposizione: suoni dolci verso suoni duri, uso dell’avversativa, ossimoro finale, quasi a voler tendere il linguaggio al massimo dell’espressività. Il nido è stato distrutto materialmente, ma resta aggrappato al cuore del poeta che, infatti, cercherà di ricostruirlo, seppur diverso: Dal selvaggio rosaio scheletrito / penzola un nido. Come, a primavera, / ne prorompeva empiendo la riviera / il cinguettìo del garrulo convito! / Or v’è sola una piuma, che all’invito / del vento esita, palpita leggiera; / qual sogno antico in anima severa ,/ fuggente sempre e non ancor fuggito:…(Il nido). L’assonanza tra scheletrito e nido proietta sul simbolo della famiglia la materialità della morte, ma la piuma che palpita leggera al soffio del vento indica la volontà di resistere, di sopravvivere. Il silenzio predomina e indica la solitudine, l’ abbandono, la morte, che pone fine al dolore e alle illusioni, che cadono falciate come in Campo di grano con falciatore di V. Van Gogh.

 


 

L’ossessione della morte e le figure del padre e della madre  popolano l’immaginario poetico di Pascoli. Alla rievocazione della morte del padre si associano immagini che sottolineano il tema della violenza: Ma uno squarcio aveva egli nel capo,/ ma piena del suo sangue era una mano (Un ricordo) Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise” (La cavallina storna) Ora è là, come in croce, che tende/ quel verme a quel cielo lontano (X agosto). Sofferenza e dolcezza connotano, invece, la rievocazione della figura della madre e della sua scomparsa. Le parole che le dedica nei Canti di Castelvecchio sottolineano la particolare densità affettiva di quel rapporto: «Io sento che a lei debbo la mia attitudine poetica. Non posso dimenticare certe sue silenziose meditazioni in qualche serata…,avanti i prati della torre. Ella stava seduta sul greppo: io appoggiavo la testa alle sue ginocchia. E così stavamo a sentir cantare i grilli e a veder scoppiare i lampi di caldo all’orizzonte…». Gioia e dolore, dolcezza e angoscia si accompagnano al tema della presenza-assenza: Sentivo una gran gioia, una gran pena, / una dolcezza ed un’angoscia muta. / - Mamma?- È là che ti scalda un po’ di cena.-  / Povera mamma! E lei, non l’ho veduta” (Sogno). Ancora, il tema di una comunicazione mai interrotta: O madre seppellita, / che gli altri lasci, oggi, per me; parliamo (Colloquio), ma di tante tante parole / non sento che un soffio…Zuanì… (La voce). Il nido rimasto vuoto indica prospetticamente la casa dei morti: il cimitero. Inquietudine e disagio segnano ormai l’esistenza del poeta che nei suoi versi esprime lo sconvolgimento del suo essere come  Mare in tempesta di G. Courbet.  

 continua