sabato 30 novembre 2013

30 novembre. Festa della Toscana.


Giovanni Esposito nelle vesti del Granduca

Il 30 novembre è festa in tutta la Toscana per ricordare un momento storico importantissimo: l’abolizione della pena di morte ad opera del Granduca Pietro Leopoldo. Le celebrazioni si susseguono in tutto il territorio, coinvolgendo un’utenza di ogni età ma essenzialmente le scuole per l’alto valore educativo dell’evento. Anche l’Archivio Storico del Comune di Firenze ha partecipato  alle iniziative,  affidando all’attore Giovanni Esposito il compito di vestire i panni del Granduca e di ricordarne l’operato attraverso il suo pensiero su come governare un popolo posponendosi ad esso negli obiettivi sociali di benessere e di comunanza. Nella Sala dell’Archivio da poco restaurata in stile Barocco e Neoclassico, nei colori lorenesi del bianco e del giallo paglierino, siamo stati ospiti del Granduca, personaggio carismatico, lungimirante e illuminato. Giovanni, perfetto nei panni di Pietro Leopoldo ci ha guidato con un’espressione coinvolgente in atti e parole in una modernità spesso dimenticata  in cui il sovrano deve essere a servizio del popolo e non viceversa. Una storia che deve essere portata nelle scuole per il suo grande valore morale implicante il rispetto e la dignità di ogni individuo, secondo i dettami di Cesare Beccaria, e che il Granduca Leopoldo realizzò nel 1786, promulgando la legge che faceva della Toscana il primo Stato ad aver abolito la tortura e la pena di morte; un impegno educativo in cui si è profuso l’Archivio. Firenze da sempre sensibile a questi momenti ne celebra l’importanza ogni anno con la festa istituita dalla Regione toscana il 30 novembre 2000. Nel cortile della Dogana di Palazzo Vecchio, è stata posta una lapide marmorea commemorativa, la cui epigrafe composta dal georgofilo Giuseppe Pelli Bencivenni, così recita:  
Per memoria della Toscana felicità quando Pietro Leopoldo con legge de’ 30 novembre 1786 la pena di morte, l’infamia, la tortura, ogni delitto di lesa maestà colla confiscazione delle sostanze cancellò per primo in Europa dalla vecchia legislazione.
La legge di Pietro Leopoldo chiudeva un periodo di barbarie e iniziava una nuova storia dell’umanità.

domenica 24 novembre 2013

La violenza non è solo una ferita da coltello.


Edvard Munch. Malinconia

 Storia di Rosa


Rosa aveva sognato tutta la vita l’abito bianco. Aveva trent’anni e non era fidanzata. A quei tempi, a quell’età si era già zitella. Sposarsi voleva dire  uscire di casa e diventare indipendenti (anche se spesso non era così). Voleva dire uscire dalle quattro mura domestiche. Mentre china sull’orlo accarezzava l’abito bianco che stava confezionando per la sorella, sorrideva tra  sé. Lieve la mano scivolava tra le pieghe e gli occhi lucidi,  denunciavano il desiderio mal represso di voler cucire anche  per sé un abito nuziale.
In casa non poteva dedicarsi molto tempo. La famiglia era numerosa e lei doveva badare ai fratelli. A volte diceva che era come se già si fosse sposata perché dopotutto una famiglia l’aveva cresciuta (quattro fratelli era un nucleo numeroso). Man mano poi la casa cominciò a svuotarsi, ognuno cercava altrove la propria strada e si allontanava per lavoro. E passava anche il tempo della sua vita. Un giorno Rosa si recò a far visita a uno dei fratelli. Sul treno  incontrò un uomo che intrecciò subito un discorso. Era timorosa per la poca esperienza di vita ma quell’incontro fu per lei come l’aprirsi di un orizzonte. L’uomo l’affascinò e un giorno si presentò a casa sua con la promessa del matrimonio. Rosa dapprima timida e impacciata, cambiò. Gli occhi le si illuminarono. Sentì dentro di sé una grande gioia. Si sentì donna. Era felice! E già pensava ai preparativi. Avrebbe confezionato anche per sè l’abito da sposa a lungo sognato. L’uomo le fece mille promesse…che l’avrebbe portata lontano. Si fece comprare abiti con questa chimera. Ma alla sera del terzo giorno tutto cambiò. Non più amore ma freddezza e fastidio annullarono ogni speranza. La mattina, l’uomo ripartì in treno portandosi via gli abiti nuovi per una destinazione sconosciuta, segnando la fine di ogni promessa. Rosa lo seguì sulla soglia ma nel commiato ebbe  solo  una stretta di mano e non seppe più nulla di lui.
La violenza era stata troppo forte. Per la prima volta Rosa aveva provato un sentimento ma era stata violentata in modo atroce con l’annientamento di ogni speranza. Fu allora che cominciò a morire. Piano, lentamente, senza un lamento, senza che trasparisse la sua angoscia. Riprese a lavorare ma i lunghi silenzi erano eloquenti. La casa si era svuotata e lei era sola col suo ricordo. Incominciò a non mangiare più sufficientemente. Il male  si stava già impadronendo di lei. Era ormai diventata l’ombra di sé stessa. La spina nel cuore la lacerava più di una lama o di un colpo di arma letale e gli occhi si spegnevano lentamente. Ogni cura fu inutile. La violenza subita l’aveva lacerata dentro e ormai non si accorgeva nemmeno più di avere un cuore. Il male diagnosticato fu inesorabile come l’uomo che l’aveva illusa e abbandonata per sempre. Morì in un giorno caldo di giugno mentre il giardino profumava di rose. Andò via col suo candore, la sua innocenza e una parvenza d’amore, adornata di rose profumate come il suo nome.




sabato 16 novembre 2013


A Pietro
BUON COMPLEANNO

La chioccia turchina

Che schiamazzo nell’aria
è nato, è nato.

La chioccia turchina
gridava felice
nell’aia fiorita:
è nato un bambino
piccino piccino
diceva ai pulcini
dai toni  turchini

Correte, gridate, suonate
e ballate
è nato Pietrino
*************
Un anno è passato
tutto è cambiato
mi sento già grande

Son proprio un omino
vivace e felice

Evviva la vita
coi toni fioriti

13 novembre 2013

sabato 9 novembre 2013

La “Lavandaia”di Paul Guigou a Palazzo Pitti



 Paul Guigou (1834-1871), Lavandaia, 1860

Continuando con la mostra “Gli Impressionisti” a Palazzo Pitti.
Nella prima sala dove sono esposti alcuni quadri degli “Impressionisti” si viene subito colpiti dalla luce che emana la “Lavandaia” di  Paul Guigou. Il pittore ritrae la donna di spalle ma si intuisce dalla posizione la natura del lavoro che sta svolgendo, tuttavia  potrebbe anche essere  un’attenta osservatrice  del paesaggio che si scorge in lontananza, che è quello provenzale. L’occhio del visitatore segue la luce, che  diffusa a macchia anche tra le pieghe dell’abito con un colore compatto e pastoso è la vera protagonista in un’atmosfera di caldo opprimente. 






lunedì 4 novembre 2013

Un giovane si è suicidato

 

Edvard Munch (1863-1944), Disperazione


La morte di un giovane ci lascia sgomenti e ci assale il dubbio se possiamo definirci un paese che ha superato i pregiudizi, restio a emettere giudizi, a condannare e a discriminare. Purtroppo mi assale il dubbio che amiamo troppo le parole e poco i fatti, che la selezione è ancora troppo parte del nostro vissuto, che persi dietro un falso perbenismo non  guardiamo attentamente ciò che accade fuori di noi, intorno a noi, troppo chiusi in una cultura retrograda che lascia ai margini coloro che vengono frettolosamente etichettati come “diversi”. Dimentichi del dramma umano di chi lo vive direttamente e delle famiglie che lo subiscono, solo di fronte alla morte ci mostriamo quali dovremmo essere sempre: aperti, disponibili, rispettosi verso chi etichettiamo. È in famiglia che devono essere posti i valori di una vita comunitaria dove il rispetto indistinto per tutti ne sia il fondamento. È la scuola il luogo dove in continuità e insieme con la famiglia va affrontato il problema di ciò che chiamiamo “diverso”. Il tempo speso con gli studenti di ogni età, per parlare e per confrontarsi su problemi sociali, è il cardine di ogni educazione che miri a una crescita basata sui veri valori della vita quali la comunanza e la comunicazione corretta, per realizzare cambiamenti e per una crescita sociale. Ma punto forte in tale contesto devono essere anche e in eguale misura la politica e i mezzi di informazione che possono e che devono essere di sostegno a un’educazione che altrimenti, troppo spesso rischia di essere fuorviante.
Sono stata insegnante,  ancora mi sento in tale ruolo, e come tale rivolgo a tutti un appello accorato.

 





   

sabato 2 novembre 2013

Visitando gli Impressionisti a Palazzo Pitti


Henri Fantin-Latour (1836-1904), La lettrice, 1861


Quando si visita una mostra ci sono sempre dei quadri che fermano il passo del visitatore. A me è successo con “La lettrice” di Henri Fantin-Latour per la mostra degli Impressionisti a Palazzo Pitti.  Siamo nella Galleria d’Arte Moderna dove nel Salone da Ballo del Quartiere d’Inverno sono esposti 12 capolavori provenienti dal Museo d’Orsay. Il quadro di Latour colpisce per eleganza, sobrietà ed essenzialità. La giovane  appare composta nella posa, completamente assorta nella lettura, incurante di sguardi altrui.  Ci si sente accomunati nella lettura e forte è la curiosità di conoscere il titolo del libro. L’atmosfera è coinvolgente e nel profondo silenzio che regna sovrano sembra quasi che una musica aerea accompagni la scena, forse perché siamo nella sala della musica e gli strumenti fanno da corona. Il volto attento e levigato, lo sguardo assorto e intento, ci rende complici dei suoi pensieri. Il silenzio si coniuga perfettamente con l’immobilità della lettrice nell’essenzialità delle cose, come i due libri  che posti in primo piano formano una natura morta. I colori,  equilibrati nelle varie tonalità,  specialmente nel rosso del divano nel quale sembrano confluire tutti gli altri, creano un’ armonia perfetta tra i vari elementi.  E lo sguardo è restio a staccarsi per procedere.