venerdì 6 aprile 2012

Per il centenario della morte di Giovanni Pascoli. Un ricordo





G. Pascoli nasce a San Mauro di Romagna nel 1855 e muore  a Bologna nel 1912

Giovanni Pascoli è un uomo di media statura e dall’aspetto robusto, ha poca barba rossiccia, occhi mutevoli, a volte quieti e dolci, a volte caldi di ironia un po’ amara. Veste semplicemente, e semplicemente, affettuosamente parla. Con gli estranei è poco espansivo, come uomo amante della solitudine per aver bene conosciuto gli uomini.
Livorno, settembre del ’94
     Ugo Ojetti, Alla scoperta dei letterati, Milano, Fratelli Bocca, 1899.

Il  lavoro, che presenteremo in più sezioni, in occasione del centenario della morte di Giovanni Pascoli, dal titolo "Pascoli: un percorso tra parole e immagini", è stato svolto dagli studenti dell’I.T.I.S “A. Meucci” di Firenze nell’anno scolastico 2004-2005, guidati dalle prof.sse Fiorella Menna e Anna Lanzetta.

Pascoli:

un percorso tra parole e immagini

Introduzione



Quando ci è stato proposto di lavorare sul tema “Pascoli e la misteriosa ansia comune” abbiamo pensato che la cosa ci riguardava: quanti dubbi, quante delusioni, quanti sogni sperimentiamo ogni giorno; quante difficoltà e incomprensioni, per qualcuno anche forti traumi, tanto più forti in quanto vissuti in un’ età delicata, come l’adolescenza, e ancor più fragile oggi, per mancanza di punti di riferimento sicuri. A volte, vengono meno proprio le sicurezze fondamentali, come la famiglia o la società, in cui sembra predominare il male.
Anche per Pascoli l’ origine della sua sofferenza ha radici profonde, legate a traumi familiari (i numerosi lutti) e a delusioni sociali (l’ ingiustizia patita, il carcere…).
Il poeta del resto percepisce il mutamento del ruolo dell’ intellettuale e dell’ artista che la modernità ha operato. Anche nel nostro Paese dopo l’ unificazione nazionale esplodono i conflitti e il tessuto sociale subisce profonde lacerazioni (v. l’ emigrazione).
Vengono meno la fiducia che il progresso possa di per sé garantire sicurezza e felicità e la certezza che la scienza sia in grado di fornire un’ appagante spiegazione del mondo. Questi fermenti, recepiti e incarnati dagli intellettuali, si traducono in un rapporto problematico dell’ individuo con la realtà, rispetto alla quale non più dalla scienza, ma dall’ arte si crede di poter attingere nuove modalità d’ approccio e nuovi strumenti d’ indagine: intuizione, creatività, sogno. Per queste vie si può forse penetrare, seppur in modo frammentario, oltre l’apparenza. La conoscenza diventa un atto prevalentemente soggettivo, che trae alimento nelle profondità della coscienza poetica e trova espressione nella parola con tutta la sua potenza rivelatrice.
L’individualismo traduce lo shock nato dalle nuove esperienze di vita associata e dall’affermazione della metropoli come incarnazione della modernità, centro della produzione e del consumo, dello scontro sociale e dell’ impossibile integrazione, del vivere nella folla e del sentirsi immersi nella più profonda solitudine.
D’ altra parte l’artista, oltre che avvertire il senso di estraneazione come problema di tutti, vive in prima persona la modificazione del proprio ruolo sociale, la trasformazione del frutto della propria intelligenza e creatività in merce. Da qui il rifiuto di accettare di farsi strumento del consenso, da qui le nuove scelte formali dell’ arte e della poesia europea a partire dalla seconda metà dell’ Ottocento: la parola vale nel suo significato simbolico, allusivo, musicale, la dimensione logica viene abbandonata a vantaggio delle potenzialità espressive e magiche del discorso. Niente è più lontano da una fruizione propagandistica, didattica e moralistica della comunicazione e del linguaggio d’uso. Senza forse averne la consapevolezza critica, Pascoli ci dà un’ originale testimonianza di quella profonda crisi del soggetto che è tema di tutta la letteratura europea dell’epoca.
Ma, ci siamo chiesti: la crisi della società sarebbe stata così determinante nell’elaborazione della poetica di Pascoli senza l’esperienza lacerante dei traumi vissuti nell’adolescenza? Noi riteniamo di no e, comunque, abbiamo preferito avventurarci su questo binario, indagando sui due versanti della vita del poeta: la felicità e il dolore, la spensieratezza e il disagio, il bianco e il nero…
Abbiamo tentato poi di costruire un percorso sinergico tra linguaggio poetico e linguaggio figurativo, poiche’ la storia dell’ arte non è materia curricolare nel nostro Istituto, per cui abbiamo avuto l’occasione di arricchire l’ orizzonte delle nostre conoscenze con gli elementi pittorici, cogliendone l’ immediatezza espressiva attraverso la pittura dei macchiaioli toscani e quella en plein air degli impressionisti francesi, per approdare a quella dei simbolisti che, con l’ uso particolare del colore, caricano la realtà di un proprio significato e comunicano così, come fa Pascoli con la parola poetica, il loro senso di disagio, di inquietudine, di lacerazione, ma anche la loro visione di un mondo in continua evoluzione.
Per parlare di Pascoli abbiamo individuato alcuni temi che, secondo noi, sono i più rappresentativi della sua condizione esistenziale, in cui si riflette anche quella collettiva:
• il mondo degli affetti: il "nido";
• l'angoscia del vivere: il tema della morte, del dolore e del mistero,
temi che abbiamo elaborato attraverso la parola e l'immagine.

Studenti della classe 2C che hanno realizzato il lavoro: De Luca Martina, Mascalchi Lorenzo, Mori Ilaria, Rotiroti Davide, Tinti Debora.
La prof.ssa Menna ha curato il coordinamento del lavoro.
La pro.ssa Lanzetta ha curato la parte del percorso relativa al linguaggio figurativo.

Fine della prima parte




Casa di Giovanni Pascoli


Anna Lanzetta

mercoledì 4 aprile 2012

Viaggiando con artisti e letterati: capolavori a Venezia. Dedalo e Icaro



Suscitano tenerezza e ammirazione le due figure di quel mito antico che racconta l’amore di un padre verso il proprio figlio. Dedalo aveva costruito il Labirinto, non pensando che sarebbe diventato una prigione per lui e per il piccolo Icaro, il figlioletto avuto in tarda età. Ma troppo è l’amore che egli nutre per Icaro e desidera che il fanciullo goda di quella libertà a cui ogni uomo aspira, specialmente se impedito. Guarda gli uccelli, ne ammira l’abilità, pensa che anche Icaro possa eguagliarli nel volo e costruisce per lui due ali.

Dice Ovidio: “Gli dava le istruzioni per volare, e intanto gli applicava alle braccia quelle ali mai viste. Mentre lavorava e dava consigli, s’inumidirono le sue guance di vecchio, tremarono le sue mani di padre.”

 
 

Antonio Canova (1757-1822), Dedalo e Icaro, 1779.  Venezia, Museo Correr

Canova rappresenta i due personaggi  nel momento in cui l’anziano Dedalo adatta alle piccole spalle del figlio le ali che lo porteranno purtroppo alla morte. Il corpo di Dedalo segnato dalla vecchiaia  contrasta con il corpo da adolescente di Icaro. Sentimenti vi si leggono ed emozioni vi si traggono. Si resta senza parole di fronte al realismo delle figure, l’una poderosa, l’altra gentile per l’acerba età. L’espressione del volto è in ambedue eloquente. Dedalo avvicina a sé Icaro per fissargli le ali e Icaro sorridente si regge a lui come protezione. Ĕ un dialogo fortemente espressivo: la chiara preoccupazione di un padre che vuole librare in volo il figlioletto per dargli la libertà e il giovinetto che vede nell’avventura soltanto un gioco.

La Libertà” diventa  il tema centrale dell’opera; libertà  contro il potere e contro ogni forma di coscrizione. Dedalo spera che Icaro possa volare, libero, nel cielo della propria vita, dimentico però che le ali sono di cera; a nulla servono le sue raccomandazioni di non accostarsi troppo al sole, perché su di esse prevale  la  disubbidienza di Icaro, il desiderio di osare, tipico di ogni adolescente.

Così Ovidio narra nelle Metamorfosi, VIII, 183-235 : " (...) Dedalo, annoiato di Creta, e punto dalla nostalgia del luogo natio, non soffrì a lungo la prigionia impostagli,. "Possono precludermi il mare e la terra - disse - ma il cielo è certamente libero: andremo via per di là. Possieda pure Minosse tutto quanto desidera ma non sarà di sicuro padrone dell'aria" Volse allora la mente ad arti fino all'ora sconosciute, e rinnovellò la natura; dispose infatti secondo un dato ordine delle penne, poi, con del filo, fermò le parti di mezzo, fissò quindi con la cera le estremità inferiori e le piegò incurvandole lievemente così da imitare i veri uccelli. (...) Dopo aver dato l'ultimo ritocco al suo lavoro, l'artefice librò il proprio corpo sulle due ali, e restò sospeso nell'aria agitata. Poi istruì il figlio dicendogli: "tieni la via di mezzo o Icaro, ti raccomando; così se andrai basso l'onda appesantirà le penne, se troppo in alto, il sole le brucerà.. Vola tra l'una e l'altra: prendi la strada che io ti mostrerò". (...) E già avevano lasciato sulla sinistra l'isola di Samo, e sorpassate Delo e Paro; a destra era già Lebinto e Calimno feconda di miele.

Allorchè il giovinetto cominciò a godere dell'audace volo e abbandonò la sua guida; attratto dal desiderio del cielo, tenne un cammino più alto. La vicinanza del cielo ardente rammollì la cera profumata che teneva unite le penne, ed egli, battendo le braccia nude, privo di remeggio, non trovava non trovava appiglio che potesse sostenerlo nell'aria.. La sua bocca mentre invocava il nome del padre, fu chiusa dall'azzurro mare che da lui prese il nome ... il padre infelice ormai non più padre, disse: "Icaro" Icaro, dove sei? in quale luogo ti cercherò, Icaro?" Seguitava a chiamare "Icaro" ma quando vide le penne sparse sulle onde maledisse la sua arte. Poi allestì un sepolcro, dal nome dell'estinto, quella terra fu chiamata Icaria. "

 
 


Sito archeologico di Cuma. Resti del Tempio di Apollo

Dopo aver seppellito il figlio Dedalo riprese a volare fino a quando decise di fermarsi a Cuma, in Italia, nei pressi di Napoli, dove costruì uno splendido tempio in onore del dio Apollo e ai piedi del quale depose le ali.



 

Sito archeologico di Cuma

Sappiamo da Virgilio che quando Enea approdò in Cuma vi trovò un tempio fabbricato da Dedalo, ed era situato sopra una rocca de’ monti Euboici avendo intorno una selva, che per passarla, lasciò Enea i compagni e si allontanò dal lido. per lo culto che la distingueva, la nominò il bosco di Trivia. Tito Livio però la nomina selva dell’Ami.
In questo tempio Dedalo consacrò ad Apollo le sue ali, che gli erano servite per uscire dal labirinto.
AA. VV. - I Campi Flegrei, un itinerario archeologico. A cura del Progetto Eubea. Marsilio
Editore, Napoli 1990.



La meravigliosa Venezia

È iniziata così la mia visita a Venezia,  città di San Marco, con “Dedalo e Icaro”, meraviglia tra le meraviglie e chissà che non ne scopriremo delle altre.

Le foto 2, 3 e 4 sono di Ale

Anna Lanzetta