mercoledì 4 aprile 2012

Viaggiando con artisti e letterati: capolavori a Venezia. Dedalo e Icaro



Suscitano tenerezza e ammirazione le due figure di quel mito antico che racconta l’amore di un padre verso il proprio figlio. Dedalo aveva costruito il Labirinto, non pensando che sarebbe diventato una prigione per lui e per il piccolo Icaro, il figlioletto avuto in tarda età. Ma troppo è l’amore che egli nutre per Icaro e desidera che il fanciullo goda di quella libertà a cui ogni uomo aspira, specialmente se impedito. Guarda gli uccelli, ne ammira l’abilità, pensa che anche Icaro possa eguagliarli nel volo e costruisce per lui due ali.

Dice Ovidio: “Gli dava le istruzioni per volare, e intanto gli applicava alle braccia quelle ali mai viste. Mentre lavorava e dava consigli, s’inumidirono le sue guance di vecchio, tremarono le sue mani di padre.”

 
 

Antonio Canova (1757-1822), Dedalo e Icaro, 1779.  Venezia, Museo Correr

Canova rappresenta i due personaggi  nel momento in cui l’anziano Dedalo adatta alle piccole spalle del figlio le ali che lo porteranno purtroppo alla morte. Il corpo di Dedalo segnato dalla vecchiaia  contrasta con il corpo da adolescente di Icaro. Sentimenti vi si leggono ed emozioni vi si traggono. Si resta senza parole di fronte al realismo delle figure, l’una poderosa, l’altra gentile per l’acerba età. L’espressione del volto è in ambedue eloquente. Dedalo avvicina a sé Icaro per fissargli le ali e Icaro sorridente si regge a lui come protezione. Ĕ un dialogo fortemente espressivo: la chiara preoccupazione di un padre che vuole librare in volo il figlioletto per dargli la libertà e il giovinetto che vede nell’avventura soltanto un gioco.

La Libertà” diventa  il tema centrale dell’opera; libertà  contro il potere e contro ogni forma di coscrizione. Dedalo spera che Icaro possa volare, libero, nel cielo della propria vita, dimentico però che le ali sono di cera; a nulla servono le sue raccomandazioni di non accostarsi troppo al sole, perché su di esse prevale  la  disubbidienza di Icaro, il desiderio di osare, tipico di ogni adolescente.

Così Ovidio narra nelle Metamorfosi, VIII, 183-235 : " (...) Dedalo, annoiato di Creta, e punto dalla nostalgia del luogo natio, non soffrì a lungo la prigionia impostagli,. "Possono precludermi il mare e la terra - disse - ma il cielo è certamente libero: andremo via per di là. Possieda pure Minosse tutto quanto desidera ma non sarà di sicuro padrone dell'aria" Volse allora la mente ad arti fino all'ora sconosciute, e rinnovellò la natura; dispose infatti secondo un dato ordine delle penne, poi, con del filo, fermò le parti di mezzo, fissò quindi con la cera le estremità inferiori e le piegò incurvandole lievemente così da imitare i veri uccelli. (...) Dopo aver dato l'ultimo ritocco al suo lavoro, l'artefice librò il proprio corpo sulle due ali, e restò sospeso nell'aria agitata. Poi istruì il figlio dicendogli: "tieni la via di mezzo o Icaro, ti raccomando; così se andrai basso l'onda appesantirà le penne, se troppo in alto, il sole le brucerà.. Vola tra l'una e l'altra: prendi la strada che io ti mostrerò". (...) E già avevano lasciato sulla sinistra l'isola di Samo, e sorpassate Delo e Paro; a destra era già Lebinto e Calimno feconda di miele.

Allorchè il giovinetto cominciò a godere dell'audace volo e abbandonò la sua guida; attratto dal desiderio del cielo, tenne un cammino più alto. La vicinanza del cielo ardente rammollì la cera profumata che teneva unite le penne, ed egli, battendo le braccia nude, privo di remeggio, non trovava non trovava appiglio che potesse sostenerlo nell'aria.. La sua bocca mentre invocava il nome del padre, fu chiusa dall'azzurro mare che da lui prese il nome ... il padre infelice ormai non più padre, disse: "Icaro" Icaro, dove sei? in quale luogo ti cercherò, Icaro?" Seguitava a chiamare "Icaro" ma quando vide le penne sparse sulle onde maledisse la sua arte. Poi allestì un sepolcro, dal nome dell'estinto, quella terra fu chiamata Icaria. "

 
 


Sito archeologico di Cuma. Resti del Tempio di Apollo

Dopo aver seppellito il figlio Dedalo riprese a volare fino a quando decise di fermarsi a Cuma, in Italia, nei pressi di Napoli, dove costruì uno splendido tempio in onore del dio Apollo e ai piedi del quale depose le ali.



 

Sito archeologico di Cuma

Sappiamo da Virgilio che quando Enea approdò in Cuma vi trovò un tempio fabbricato da Dedalo, ed era situato sopra una rocca de’ monti Euboici avendo intorno una selva, che per passarla, lasciò Enea i compagni e si allontanò dal lido. per lo culto che la distingueva, la nominò il bosco di Trivia. Tito Livio però la nomina selva dell’Ami.
In questo tempio Dedalo consacrò ad Apollo le sue ali, che gli erano servite per uscire dal labirinto.
AA. VV. - I Campi Flegrei, un itinerario archeologico. A cura del Progetto Eubea. Marsilio
Editore, Napoli 1990.



La meravigliosa Venezia

È iniziata così la mia visita a Venezia,  città di San Marco, con “Dedalo e Icaro”, meraviglia tra le meraviglie e chissà che non ne scopriremo delle altre.

Le foto 2, 3 e 4 sono di Ale

Anna Lanzetta