giovedì 26 ottobre 2017

Quando l’arte è magia: Christian Schloe

Christian Schloe è un artista austriaco che combinando pittura, illustrazione e fotografia regala emozioni; in sequela sono felice di condividerne alcune  con tutti voi, amici del mio blog.

Quando la natura è sogno

Bellezza, addii e malinconia

Natura incantata e incontaminata

Dolcezza infinita

Sogno d'amore

Delizia e semplicità

sabato 14 ottobre 2017

Il mio incontro con Plinio Nomellini





                                                                      La ciociara


La mostra  dedicata a Plinio Nomellini, nel palazzo Mediceo di Seravezza, è un’immersione nella luce e nel colore. L’artista rappresenta  nelle  sue opere  il cambiamento della realtà storico-sociale a  artistico-culturale della società  a lui contemporanea.
Lungo il percorso si viene invasi  da forti contrasti cromatici e dall’uso  della luce e del  colore che diventano protagonisti. La varietà dei  paesaggi, la rappresentazione dei personaggi con forti connotazioni fisionomiche e psicologiche, sia di quelli  impegnati  nella fatica quotidiana sia di quelli evanescenti, i ritratti, l’attenzione  ai particolari ci coinvolgono e ci dicono che l’artista non fu immune dall’influenza che ebbero su di lui le nuove correnti pittoriche, che  proponevano una  mutata  visione della realtà  e l’attenzione alle lotte politiche alle quali alcuni  artisti  parteciparono attivamente. Evidente è l’influsso dell’Impressionismo e dei Macchiaioli, di Giovanni Fattori in particolare, al quale Nomellini fu molto vicino anche come allievo, di Silvestro Lega e di Telemaco Signorini da cui il pittore prese l’uso della luce e le rappresentazioni degli ambienti.
In ogni opera si nota qualcosa di diverso, elementi che guardano al Divisionismo  e al Simbolismo nell’ambito  del Decadentismo che in sinergia con la letteratura   rinnovava gusti e correnti e al quale Nomellini non fu estraneo come dimostra  il clima  pascoliano o dannunziano che si coglie in ambienti e personaggi inseriti in atmosfere o carezzevoli quasi religiose o  surreali, fantastiche, sognanti, in ambienti senza tempo.
Cappuccetto rosso

L’intenso  cromatismo dei colori,  l’uso della luce e  le lunghe e corpose pennellate rendono ogni elemento vivo e palpabile come il movimento delle onde, il fuoco vibrante, i riflessi della luna o la luce accecante del sole, il profumo dei fiori e la fragranza di una  campagna o semplice, agreste, amica o sognante quasi a celare un mistero. Sono stati d’animo che si susseguono e che incrociano il nostro pensiero, in una convergenza fra arte e poesia.
Ogni quadro si legge e si decodifica come la pagina di un libro.
La mostra riassume il cambiamento che caratterizzò la società  tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento e di cui l’arte e la letteratura furono testimoni. Essa ci dice che con i  mutamenti sociali, cambia,  in sintonia, il modo di vedere e di rappresentare dell’intellettuale e dell’artista e avanza sempre più la necessità di rappresentare  la storia dell’umanità  così come è stato fin dai tempi remoti, in  un’ evoluzione continua di gusti e di correnti.
 Il fine dell’arte è quello di rappresentare e di educare e di spingere lo  spettatore ad andare oltre il visibile per leggervi il non detto e confrontarsi. Impossibile descrivere con parole il colore che inonda,  la luce che  si espande,  gli elementi  che fermano il passo, ma  basta una visita per capire.
La mostra lascia nel visitatore queste suggestioni, grazie alla scelta delle opere, molte delle quali appartenenti a collezioni private e non facilmente visibili, alla perizia della curatrice e di quanti hanno collaborato alla sua felice riuscita.

Campagna toscana


Visitando una mostra ci si aspetta di riceverne un messaggio, in questo caso è stata per me la scoperta di un artista  che ha avuto la capacità di raccontare la storia attraverso l’arte,  secondo il proprio pensiero e di coglierne le novità, attraverso il  “colore”, uno dei mezzi più semplici, antichi ed efficaci.
A fatica si lasciano le stanze, dove il colore e la luce, in ossequio al gusto, creano bellezza e armonia.


I mattonai
È in corso una lezione ai bambini di una classe elementare. Una bimba  stesa a terra mi trattiene…<<Le piace>>? Mi chiede contenta, porgendomi un foglio. La guardo commossa. <<Sei bravissima>>, le dico e aggiungo << i fiori che stai disegnando sono lo specchio della tua bellezza. L’artista ne sarebbe contento. L’arte è la nostra più grande ricchezza>>.
<<Chi era Plinio Nomellini?>>, mi chiede. Un pittore nato a Livorno nel 1866 e morto a Firenze nel 1943, che ha saputo riportare nelle sue opere l’Italia di un tempo e in particolare la Toscana.

Plinio Nomellini
Dal Divisionismo al Simbolismo
verso la libertà del colore
a cura di Nadia Marchioni

13 luglio - 5 novembre 2017
PALAZZO MEDICEO
SERAVEZZA (LU)




domenica 1 ottobre 2017

Malinconia, Giovanna Canu


Contro la  violenza, l’ “educazione”

La violenza contro le donne, indice di grettezza mentale, frutto di un pregiudizio endemico, mina le fondamenta della nostra società, che ama definirsi in progress.
Le donne  sono ancora vittime di una cultura arcaica  che le espone a ogni sorta di violenza. Nata da una costola di Adamo, la donna è considerata subalterna all’uomo. Ha forse un’anima? È forse uno dei pilastri della società? Con tutti i mezzi è stata demolita la sua immagine, dimenticando che fu il grembo di una giovane donna ad accogliere il Redentore.
Come definire la violenza contro le donne? Gelosia, vanità, presunzione, intolleranza, timore, idea di possesso? La violenza è un regresso sociale.
L’educazione un tempo si basava sulla netta distinzione tra maschi e femmine e a scuola si insegnavano le attività domestiche separando così ruoli e funzioni. Nel tempo questa forma di educazione è cambiata e la donna è riuscita ad accedere allo studio, a ottenere il diritto di voto, a raggiungere ruoli sociali importanti, ma il pregiudizio permane.  Nel lavoro, è sempre la donna ad essere licenziata per prima ed è sempre lei a percepire compensi più bassi. Se guardiamo indietro, poco è cambiato nella sua considerazione. In passato, la donna è stata definita: tentatrice, demonio, strega e quant’altro di negativo si possa immaginare, senza tener conto del matriarcato. La donna, nelle società antiche, è stata considerata sottomessa all’uomo ed è prevalsa l’immagine della donna-Penelope, simbolo di fedeltà, di onestà, di moglie, di madre e di angelo del focolare, termine che appagava il gusto maschile di segregazione, di controllo e di comodo. La donna ha lottato con coraggio anche a costo della vita, pur di liberarsi di questo clichè, ma è stata sempre e in varie forme esclusa. La donna sposata passava dal dominio paterno all’arbitrio del marito ed era esposta senza difesa a ogni sorta di violenza. Erano sempre gli altri a decidere della sua sorte e in caso di trasgressione era punita con la morte. Dante ce ne offre alcuni esempi e altri se ne traggono dall’antichità come Hipazia d’Alessandria,  filosofa e scienziata del IV-V secolo d. C., fatta a pezzi da uomini fanatici, forse monaci detti “paraboloni”, offesi e umiliati dalla sua cultura e dal potere che esercitava sulle folle, sperando di riscattare nell’orrore il proprio onore o in tempi  recenti il caso della giovanissima Malala Yousufzai, l’attivista pakistana gravemente ferita alla testa e al collo dai Talebani per il suo impegno a promuovere l’istruzione femminile nel  proprio Paese.
Questa condizione ci induce a riflettere sul concetto di società evoluta per cui una società non può definirsi tale se non tratta tutti i suoi membri in modo paritario e se rende le donne ancora vittime.
Le peggiori violenze sono quelle che si consumano tra le mura domestiche. Molte sono le iniziative messe in atto a favore delle donne. Le leggi e i centri di assistenza aiutano e invogliano le donne a denunciare gli aggressori, a superare la paura della ritorsione ma la diffidenza permane; è ancora limitato il numero delle donne che denunciano.
L’uso della violenza in tutte le sfere sociali è un sistema di difesa, di potere e di controllo. La violenza sia fisica che psicologica e verbale tende a intimorire, a sottomettere, ad annientare, a indebolire la mente e la volontà della donna fino a toglierle la possibilità di avere opinioni, emozioni o reazioni.
Non  è facile mutare il volto della società ma il problema, segno di un degrado che si acuisce, chiama in causa tutta la comunità. Il numero di  donne violentate e uccise è in aumento e se si pensa a quelle che vivono in silenzio il proprio dramma, ci si rende conto della gravità del problema che pertanto  sollecita un impegno comune.
La donna ha bisogno di recuperare, all’interno della società, la stima verso sé stessa e l’orgoglio di essere donna ma in questa battaglia, non deve essere lasciata sola.
Si richiede  un impegno politico vigile e forte che applichi le leggi  in tempi celeri in tutte le circostanze. Ma la violenza è essenzialmente un fatto culturale per cui contro la violenza molto possono la famiglia e l’educazione. È in famiglia che si consumano le peggiori violenze di cui i figli sono testimoni. I bambini seguono i modelli con i quali convivono e ne ripetono i gesti: i maschi con la violenza iterata, le femmine subendola. La violenza genera violenza ed è questo l’aspetto più raccapricciante del problema. Sono sempre gli adulti a ledere i canoni dell’educazione offrendo di sè un’immagine negativa. Il problema riguarda tutti i ceti sociali, a dimostrazione di quanto la violenza sia insita nel vivere quotidiano. Lo strumento più efficace contro ogni forma di violenza è l’ “educazione” affinché il “rispetto” e la  “dignità”  verso  sé stessi e verso  gli altri, diventino cardini del vivere civile.
L’informazione è la base dell’educazione, il mezzo più idoneo per conoscere e abbattere il pregiudizio. Solo l’istruzione, con qualsiasi mezzo si impartisca,  può aprire le menti alla riflessione e abbattere l’oscurità che ci sovrasta. È tra i banchi che si diffonde il  sapere, si educa, ci si educa e si legittimano principi e regole. I soldi investiti in cultura sono i più fruttuosi perché solo una corretta  formazione può porre le basi di una società  civile.
A  scuola  bisogna affrontare il problema della violenza in generale, comunque si manifesti, ma essenzialmente quella contro le donne che è un oltraggio all’umanità, un crimine che ci riporta allo stato ferino. È con gli studenti  che bisogna parlare di questo male sociale fin da piccoli attraverso il dialogo, la comunicazione, l’ascolto, la creatività, il gioco ma essenzialmente attraverso la conoscenza di donne che hanno segnato pagine importanti della nostra storia. Non è facile scardinare i pregiudizi ma si può attraverso un insegnamento che in tutte le discipline curriculari e non, associ alle figure maschili quelle femminili. Manca nella scuola una cultura al femminile, un’adeguata conoscenza della donna e del suo intercalarsi nella storia. Sono pochissimi, nei percorsi didattici, i nomi di donne che hanno operato nei vari campi dello scibile e che sono morte per una causa, un’ideologia o per il proprio pensiero. Solo il processo di formazione, coadiuvato dai mezzi di comunicazione e dalle immagini che ci funestano, può garantire una cultura che  rifiuti la violenza come barbarie sociale.   
La società deve, per dovere e responsabilità, riflettere sullo stato presente  e capire che solo se riprende il controllo delle proprie azioni in ogni ambito e solo se offre in ogni campo della vita associativa esempi di integrità e di rettitudine, potrà sperare in un mondo diverso, dove il “rispetto” e la  “dignità”  verso  sé stessi e gli altri  diventino gli  strumenti più efficaci contro ogni forma di violenza per una società in grado di recuperare i suoi valori.