giovedì 7 ottobre 2010

Insegnare con l’arte: la condizione femminile


Kathe Kollwitz,The Widow (c. 1922)

Una volta un mio studente mi disse che a lui piaceva la pittura perché riusciva a fotografare con immediatezza la realtà.
Gli avevo fatto appena vedere questa immagine ed eravamo lì a guardarla, a scrutare, a interrogare, a interrogarci.
Mi resi conto del potere che ha l’arte sull’animo umano. Obbliga a capire, a scoprire, a indagare e ognuno di noi indagò sui tratti espressivi, sulla forma, sul colore, su quelle grandi mani avvolgenti, protettive, su quel volto emaciato, sofferente, dormiente, distaccato.
Il colore nero dominava e lasciava poco spazio al bianco che non riusciva in nessun elemento a emergere chiaro e distinto, quasi il nero volesse sopraffarlo.
Il linguaggio dell’arte ha la prerogativa di indurre a un’indagine per penetrare oltre il visibile e cercare di capire ciò che l’artista ha voluto dire, il messaggio muto che ci offre.
In questo caso i connotati ci guidano: è una donna abbandonata, una donna violentata, una donna venduta, una donna comprata, una donna condannata, una donna pronta al martirio, una donna sacrificata, una donna segregata, una donna gravida, una donna accovacciata, una donna  indifesa…una donna!
L’immagine ci aveva colpito profondamente e la sua forza espressiva non ci aveva lasciati indifferenti; ognuno aveva formulato un’identità,  e i tratti ci avevano accomunati a una realtà,  di ogni tempo e di ogni luogo, all’oggi  in cui la violenza sulla donna non è superata, anzi ingigantita con brutalità: violenza familiare, sedia elettrica, lapidazione, impiccagione, segregazione, punizioni e morte.
Morte! Come se il mondo intero volesse costringere al silenzio la “donna”, all’ubbidienza.
Forse  perché ne teme il dominio? Il tutto farebbe presagire! Forse! Chissà!
Infiniti nomi di donne offese, umiliate e uccise, furono pronunciati e non solo donne di fama.

                                                          La prigione del castello Estense

Avevamo visitato da pochi giorni le segrete del castello Estense a Ferrara e avevamo ascoltato la tragica storia della "Parisina".
Aveva solo tredici anni, Paola Malatesta, quando il matrimonio fu combinato con  Niccolò III, marchese di Ferrara, molto più vecchio di lei; uomo viziato e malconcio, che aveva già disseminato molti figli.
Giovane, bella, colta e intelligente, il caso volle che Paola si innamorasse in seguito del giovane figlio del marchese, da lui prediletto: Ugo d’Este.
Intrighi, gelosie e tradimenti fecero sì che Niccolò scoprisse questo amore.
Li fece segregare nelle carceri in celle separate (come si dice) o insieme e decapitare entrambi; era il 21 maggio 1425.
Avevano  vent’anni, lei solo un anno di più e pagarono con la morte il loro amore,  che agli occhi degli altri era solo  una colpa da punire.

Insieme continuammo a citare casi di donne che portavano in sé tragedie e morte.
Nulla è mutato nei confronti delle donne se le ultime notizie parlano di ragazze violentate, di donne brutalmente uccise in casa, di condanne eseguite, di donne che appese a un filo di vita, attendono la loro sorte.

                                                                              Anna Lanzetta
                                                                          annalanzetta@libero.it