Mi piace visitare le mostre sia
per curiosità che per passione verso l’arte. Ed è stata la curiosità che mi ha
spinta a visitare la mostra dell’artista ceco Alphonse Mucha (1860-1939), ospitata a Bologna, nelle sale settecentesche
di Palazzo Pallavicini, dal 29/9 al 20/1.
La retrospettiva, composta da 80
opere, traccia l’evoluzione artistica di Mucha e i suoi cambiamenti stilistici,
coinvolgendo il visitatore con un acceso gusto di armonie tra forme e colori.
Le didascalie, chiare ed esaustive, ne raccontano l’iter di vita e di arte da Ivančice, in Moravia, suo paese natale, in
altre città come Parigi, dove era presente
una comunità boema e dove Mucha frequentò
amici quali Paul Gauguin,
Camille Claudel e Louis-Joseph-Raphaël Collin da cui trasse influssi per
l’arte giapponese, presente nelle sue stesse opere.
La mostra si apre con Gismonda, il primo manifesto disegnato da
Mucha per Sarah Bernhardt, che egli trasforma in una dea bizantina. Manifesti che rendevano sublime l’immagine dell’attrice in un equilibrio tra
semplicità e dettaglio. Dato l’enorme successo, Mucha produsse altri manifesti
per la
-divina- nelle vesti di Lorenzaccio (1896), La dama delle camelie
(1896) e la Samaritana
(1897). L’impatto visivo delle sue opere
è notevole per l’originalità del suo stile e la novità nel rappresentare la
donna con la sua elegante forma allungata nei delicati toni pastello. Il
successo raggiunto gli procurò commissioni per manifesti pubblicitari per
marche famose come JOB (carta per sigarette) o Lefèvre-Utile
(biscotti).
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Il tratteggio, le forme ondulate
e la cura dei particolari evidenziano una simbiosi con la natura, specialmente
nell’ampio uso floreale. Arte e natura si intrecciano in elementi suggestivi
quali uccelli e fiori che in una
molteplice varietà guidano l’occhio attento sulle forme perfette e sui
colori pastello mai aggressivi che quasi
ondeggiano come le vesti leggere, sottili, appena coprenti o i capelli, le cui acconciature riportano ad
altri tempi. Tutto concorre ad evidenziare le curve perfette dove si
esemplifica il concetto di bellezza: delicata, incorporea e irreale, fulcro centrale dell’arte
di Mucha, ora espressiva, ora simbolica e suggestiva.
Artista molto apprezzato nella Parigi fin-de-siècle,
per le sue composizioni armoniose e per
gli elementi caratterizzanti l’emergente stile decorativo del periodo, Mucha viene
annoverato con Gustav Klimt, tra i più
grandi interpreti dell'Art Nouveau (o Liberty). Apparentemente lineare, la
mostra offre spunti di approfondimento e di riflessione. Di sala in sala gli
elementi si caricano di nuovi significati, da rappresentativi diventano simbolici come nel rapporto con la natura
dove fanciulle deliziose nelle vesti delle stagioni, indicano nella fisionomia il trascorrere del
tempo o la rappresentazione delle Arti. Mucha mutua attraverso la sua
esperienza il concetto stesso di arte, giungendo alla conclusione che
l’obiettivo ultimo dell’arte è
l’espressione della bellezza, che può a suo parere essere raggiunta solo
attraverso l’armonia tra idee, messaggi e la loro rappresentazione. L’arte deve
arrivare al popolo e moltissimi furono i manifesti pubblicitari, esempi di arte
destinata a un vasto pubblico che egli
così commenta “Sono stato felice di essere coinvolto in una forma d’arte
destinata alla gente e non ai soli salotti eleganti. Arte poco costosa,
accessibile al grande pubblico e che ha trovato dimora nelle abitazioni più
povere così come nei circoli più influenti.”
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Il percorso si snoda attraverso
cambiamenti di stile, ed evidenzia i mutamenti dell’esperienza artistica di
Mucha che nel 1910 ritornò in patria per impegnarsi per la libertà del suo
Paese e ove compose Epopea slava (1912-1926) ed altre opere tese ad ispirare
l’unità dei popoli slavi.
Si spegnerà a Praga il 14 luglio 1939.
Lo stile di Mucha è unico, inimitabile e originale, definito a ragione -le style Mucha-, artista
della bellezza.
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