bellissima, ma spesso, troppo spesso sopraffatta da
violenze che la lacerano con ferite che la rendono vulnerabile.
Nei
tempi andati sino all'aprile del 1880
l'ascensione al Vesuvio si faceva per la maggior parte a
piedi, pochi a dorso di mulo o di asino.
Riportiamo
dal romanzo di Antonio Stoppani “Il Bel Paese”, la magistrale descrizione della sua prima ascensione: « Una gita a piedi su quella meravigliosa
montagna, sotto quel limpido cielo, in faccia a quella splendida natura, in
mezzo a quel continuo variare di scene, una più incantevole dell'altra, una
gita a piedi, ripeto, è quanto si può immaginare di dilettevole, di estasiante.
Poi pel geologo c'è tutto da osservare; principalmente per uno che vi giunge la
prima volta. Quelle nere correnti di lava che arrivano fino al mare, ed oggi
ancora fanno irto il lido di negre rupi e tutto frastagliato a seni, a baje che
riflettono il tranquillo bagliore dell'aurora, mi avean già messo in corpo un
tal fremito, una tale smania di osservazioni, che non avrei voluto lasciarmi sfuggire
inesplorato un palmo di quella montagna, ove si condensa tanta parte di ciò che
il geologo ha fatto oggetto de' suoi studi. Vi assicuro che fui ben contento di
aver resistito alla tentazione di pigliarmi una cavalcatura.
Si comincia ad ascendere. Dalle falde del
cono fin verso la metà della sua altezza è tutto un giardino, tutto una terra promessa. Vigneti, uliveti, fichi d'India che verdeggiano fin sugli scogli più
ignudi, distendendo le foglie carnose coperte di spine; agavi che slanciano
esili e ritto il tronco fiorito da un cespo di foglie, che sembran fuse di
getto in verde metallo: tutto è bello, tutto è grazioso, tutto ridondante,
tutto nuovo per chi è cresciuto ai piedi delle Alpi.
Ma sopra questa base verdeggiante e fiorita
sorge un colosso ignudo, nero come un gran mucchio di carbone; aspro e duro
come una montagna di bronzo. È quello propriamente il Vesuvio, che si slancia
tutto d'un pezzo da quel cinto fiorito, isolandosi in mezzo allo spazio, non
avendo altro sfondo che il cielo, entro il cui seno azzurro disegna il suo
conico profilo d'una regolarità perfetta. Al suo fianco verso nordovest si
svolge a semicerchio la cresta dentata del monte Somma, che accenna ad
abbracciare da lontano quel Vesuvio, che nacque un giorno dalle sue viscere
».
Dopo la
descrizione dell'ascesa, dello stesso autore riportiamo la descrizione della discesa.
« La discesa dal cono fino all'Atrio del
Cavallo fu una vera rivincita sopra la fatica sostenuta nell'ascendere e
l'altra durata per uscire dal cratere. In quell'epoca, dalla cima del cono fino
all'Atrio del Cavallo, il fianco settentrionale del monte era coperto d'un
grosso strato di lapillo e di sabbia scorrevolissima, e la discesa era tale da
quella parte, quale la trovereste, per ripetere la similitudine, se la montagna
fosse un gran mucchio di miglio o di granturco. Come si fa? Discendere adagio è
impossibile; ai primi passi sentesi il suolo mancare sotto i piedi; la montagna
sembra sfasciarsi; vi par d'essere senza appoggio, quasi in aria, sopra nubi
polverose, e di rotolar giù a precipizio. Ma pur si cammina... pur si discende.
La via e il viandante discendono insieme; i passi si alternano, con velocità
sempre maggiore; sotto i passi si muove l'orma, e intorno all'orma si muove il
suolo da l'orma improntato; esso par che v'inghiotta, e voi sempre a galla; né
si sfonda, né s'incespica, né si stramazza. Dunque giù a salti, a balzelloni,
quasi volando sopra una nube di polvere, confusi entro un'aureola di polvere, e
sotto i piedi un fragore, un crepitìo sonoro, metallico, quasi rotolasse tutto
disciolto un sacco di carbonella. Finalmente ci troviam fermi nell'Atrio.
Guardiamo l'orologio... sette minuti per discendere dal cratere all'Atrio del
Cavallo! Sette minuti per far quella via, che nel salire ci era costata almeno
un'ora e mezza!...>>.
(Antonio Stoppani, insigne studioso dell'Ottocento. Lecco, 15
agosto 1824 - Milano2 gennaio 1891).
La descrizione è così efficace da
renderci direttamente partecipi e come ogni scritto che si rispetti per la sua
bellezza possiamo trarne una metafora. La salita è aspra come a volte è la vita, ma
la discesa è agevole a dirci che c’è
sempre una possibilità di rialzarsi, più forti, più consapevoli, pronti a cambiare
i ritmi della propria esistenza e a guardare benevolmente la natura e il territorio, fonti di vita e di
bellezza.