EBE
E all’improvviso, alla fine del percorso della
mostra Art Decò, gli anni ruggenti in
Italia, il mio passo si è fermato, ammaliato dalla bellezza di Ebe di
Antonio Canova. Per parlarne riporto le
espressioni con le quali i miei studenti la descrissero nel percorso relativo
al Neoclassicismo, presente nel libro Interazioni tra Arte, Storia, Musica e
Letteratura. Progetto didattico. Un percorso tematico-modulare, dal
secondo Settecento al primo Ottocento. Correnti, movimenti e protagonisti. “Quest’opera a noi è piaciuta anche se i
critici non l’hanno molto apprezzata, in quanto hanno visto in essa alcuni
elementi barocchi, come la nuvola sulla quale poggiano le gambe della dea.
L’opera fu commissionata a Canova da una
gentildonna di Forlì, la contessa Veronica Guarini, e fu realizzata tra il 1816
e il 1817. Misura 166 cm
di altezza ed è conservata a Forlì, nella Pinacoteca Comunale. Nel mito greco
Ebe era la dea della giovinezza. Figlia di Giove e di Giunone, diventò sposa di
Ercole, quando questi fu accolto nell’Olimpo. Ebe, ancella e coppiera degli
Dei, spesso è raffigurata sui vasi greci, mentre regge una coppa nella quale ha
appena versato del nettare da una brocca. Canova, per creare quest’opera, si
ispirò alle immagini greche: l’ha rappresentata mentre avanza leggera ed
armoniosa come una danzatrice, con le braccia semiaperte che le creano intorno
un movimento rotatorio e un senso di equilibrio. Una leggera tunica,
drappeggiata e svolazzante, le avvolge il bacino e le lascia il busto scoperto.
L’uso del marmo mette in evidenza la leggerezza del tessuto, la morbidezza
della pelle e i riccioli che sembrano naturali. Dopo aver lucidato il marmo,
Canova, usò la cenere, per attenuarne il bianco, e posò un velo di minio sulle
guance e sulle gote di Ebe. In contrasto con il bianco vi sono piccole parti
dorate e, si dice che, per curarla nei minimi particolari, mentre la scolpiva
le girasse intorno.
E fra l’altre immortali ultima venne
rugiadosa
la bionda Ebe, costretti
in
mille nodi fra le perle i crini,
silenziosa,
e l’anfora converse:
e
dell’altre la vaga opra fatale
rorò
d’ambrosia; e fu quel velo eterno.
U. Foscolo Il velo delle grazie vv.
193-198
La lettura del mito ci
ha fatto conoscere la storia di Ebe, Canova ce l’ha mostrata nella sua bellezza
e Foscolo ci ha suggerito il colore dei capelli: così abbiamo capito come tre
linguaggi interagendo riescano ad offrirci una conoscenza degli elementi più
reale e completa.
Antonio Canova (1757-1822), scultore di origine
veneta, fu il massimo esponente della scultura neoclassica. Giovanissimo si
trasferì a Roma, dove espresse le proprie idee sulla pittura e, in particolare,
sulla scultura. Per la produzione delle sue opere si ispirò all’arte
greco-romana. I caratteri fondamentali della sua arte sono il naturalismo, cioè
il suo modo di rappresentare l’anatomia dei corpi e l’idealizzazione, ossia la
sua capacità di disporre gli elementi e di creare tra loro un giusto
equilibrio. Nelle sue opere i soggetti sono rappresentati nudi, perché secondo
lui la totale bellezza di un corpo umano può essere espressa solo da un corpo
nudo proprio come nell’arte greca dove l’eroe era rappresentato nudo ed era
protetto soltanto dalla sua virtù.
Le opere sulle quali
ci siamo soffermati di più sono quelle in cui Canova ha rappresentato la
bellezza femminile, perché le consideriamo più armoniose e tra queste: Ebe,
Paolina Borghese e Le Grazie. Per realizzare le sue opere, l’artista
utilizzò esclusivamente il marmo bianco, poiché lo riteneva più adatto ad esprimere
l’idea di equilibrio e di grazia interiore.
Canova si sofferma
molto sull’anatomia dei corpi, scolpendoli in tutta la loro bellezza, come
abbiamo potuto notare analizzando Dedalo e Icaro”.
Il progetto
“Interazioni” è presente sul mio blog
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