domenica 23 ottobre 2011

Viaggiando con artisti e letterati 3, La Locride VI


Viaggiando sulle montagne della Locride, è come entrare in un tempo lontano.

Ogni angolo ha una storia antichissima.
Incisiva è stata la presenza dei monaci basiliani e dei profughi che si insediarono nel territorio per sfuggire alle incursioni turche e che diedero vita ad alcuni centri come Ciminà (dal greco Kyminà, luogo del cumino selvatico), fondata da Greci e Albanesi di religione cristiana, scacciati da Costantinopoli dai Turchi. Così Mammola (il cui nome deriverebbe da “Mamoula” dal centro greco nell’isola di Eubea), costruita da profughi che si rifugiarono nel monastero basiliano dove dimorò San Nicodemo (Cirò ?, X secolo-Mammola, 990):



Gross St Martin Grablegungs gruppe


Nikodemus (membro del Sinedrio), unbekannte Person, Maria Magdalena, Maria, Mutter Jesu, Apostel Johannes, Josef von Arimathäa raccolsero il corpo di Gesù sotto la croce, lo avvolsero nella Sindone e lo deposero nel sepolcro.

La Locride è un incrocio e un sovrapporsi di culture, di epoche, di stili, di materiali e di dominazioni con ricche e varie testimonianze come la struttura medievale a Bivongi e a Ciminà con viuzze strette e intricate, reperti archeologici risalenti al neolitico, resti di un castello normanno a Gioiosa Jonica, di un teatro romano a Marina di Gioiosa Jonica, di un tempio Dorico a Monasterace, ruderi del castello di Roccella Jonica (costruito dagli Angioini su di una rupe abitata fin dall'epoca protostorica, come dimostra, in epoca recente, il ritrovamento di una necropoli del X-VIII sec. a. C), l’utilizzo della pietra tufacea dai riflessi violacei di Ciminà e gli stupendi panorami come quello di Canolo posto tra cave di pietra rossastra.

Nel 1962, quando oramai il castello era diventato uno sfasciume, scrive Leonida Rapaci, scrittore e pittore (Palmi,1898-Marina di Pietrasanta,1985): Roccella .. col suo castello alto sulla rupe, prossimo a disintegrarsi, a polverizzarsi sotto la stretta del sole, il morso del vento, il lupus del salino, la marea degli uragani .. Questo castello, che mostra nella sua struttura di fortezza e di sede principesca i segni dell'antica nobiltà, resistette ai pirati di Dragut ma nulla potè, e può, contro le ore che scorrono nel quadrante del tempo.

Ora il palazzo dei Carafa è un cadavere calcinato dagli elementi, qualche cosa che, a ogni minuto, crepa si apre, sta a crollare. Diventato stazzo di pecore i pastori vi portan le greggi che, salendo l'erta, cercano qualche filo d'erba tra i sassi, e non trovano che la pietra nuda, liscia, consumata come un'antica medaglia. (da La piana di Locri: il silenzio della storia)



Vivant Denon in un autoritratto del 1823

Così scrive Dominique-Vivant Denon, scrittore, incisore, storico dell’arte, egittologo (Givry,1747-Parigi,1825), durante il suo viaggio in Calabria del 1778: "... Roccella, posta su una roccia arida che da lontano assume un effetto imponente, ma che da vicino è una rovina orribile, senza una casa abitabile.
Si dice che fu forte ed opulenta ma di tutto il suo splendore passato non resta che un cannone di bronzo, dimenticato dal re cattolico. L'esplosione d'un solo colpo, se lo facessero sparare, farebbe crollare tutte le costruzioni che restano nella città.

Gli abitanti si stabiliscono adesso fuori dalle mura col rischio d'essere attaccati dai Turchi che non hanno ancora cessato di fare scorrerie da queste parti e che, qualche giorno fa, s'erano impadroniti dei battelli davanti agli stessi abitanti e nonostante la torre di guardia in cui tengono per guarnigione il reliquario d'un cappuccino e un vecchio eremita.(da Calabria felix)
E tra gli speroni rocciosi dei monti “Stella” e “Consolino” è incastonato Pazzano, con case accatastate, stretti vicoli detti magnani e ripide scale esterne.
« ...Qui e la spunta la roccia, nuda, nera, ciclopica. Non è dunque questo Ferdinandea? No, questo è Pazzano: paese di pietra e paese di ferro. Sta nell'aria e si respira il ferro: sgorga e si rovescia dalla bocca delle miniere, rossastro, sottilissimo, dilagante in flutti di polvere. » (Matilde Serao, agosto 1883)
Matilde Serao, scrittrice e giornalista, (Patrasso,1856– Napoli,1927), sul Corriere di Roma del 19 settembre 1886, scriveva: Fresca profonda verde foresta. La luce vi è mite, delicatissima, il cielo pare infinitamente lontano; è deliziosa la freschezza dell'aria; in fondo al burrone canta il torrente; sotto le felci canta il ruscello ... Si ascende sempre, fra il silenzio, fra la boscaglia fitta, per un'ampia via ... Tacciono le voci umane ... Non v'è che questa foresta, immensa, sconfinata: solo quest'alta vegetazione esiste. Siamo lontani per centinaia di miglia dall'abitato: forse il mondo è morto dietro di noi. Ma ad un tratto, tra la taciturnà serena di questa boscaglia, un che di bianco traspare tra le altezze dei faggi. Questa è Ferdinandea. Un territorio di 3600 ettari delle Serre calabresi, ricoperto quasi interamente da boschi di faggio e abete.

I poeti di Pazzano:

Ada Saffo Sapere nacque a Catanzaro il 17-03-1893
I nomi di Ada e di Saffo, le furono dati dal padre in onore alle poetesse Ada Negri e Saffo, poetessa Greca dell’isola di Lesbo.
Così scriveva quando era a San Paolo….“Non ci fu giorno della mia vita, nel mio peregrinare per il mondo in cui non ho rivolto il mio pensiero a questa Chiesa, a Pazzano, a questi luoghi, a questa buona gente. Da questa struggente malinconia, nel forzato esilio, scaturì come limpido ruscello di montagna, la mia poesia Calabria”.
“Calabria” fu pubblicata per la prima volta sul bollettino mensile “La stella sulla vetta”, fondato e diretto da Don Mario Squillace.
« Ada Saffo Sapere, colei che più si avvicina alla fatica del mio spirito. », così si esprimeva in “Acque e terre”, Salvatore Quasimodo, legato alla poetessa da profonda amicizia e stima.

Giuseppe Coniglio, U poeta, ( Pazzano,1922- Catanzaro, 2006), autore di diverse opere in dialetto pazzanito.
« Giuseppe Coniglio rientra senza dubbio nel novero dei poeti calabresi più importanti dell'ultimo ventennio. Personaggio autentico, semplice e spontaneo, ha un comportamento originale e fantastico », così scrive di lui, Claudio Stillitano in "Calabria Letteraria".
Coniglio ha pubblicato nel 1973 la sua prima raccolta di poesie “Calabria contadina”, nel 1984 la seconda “Quattru chjacchjari e dui arrisi”, e l’ultima nel 1996 “A terra mia”.

« Pazzanu è ncassaratu nta ddu timpi
a menza costa tra a muntagna e u mari
duva na vota nc'eranu i minieri i carcaruoti e l'armacatari...

Poesia: Pazzanu, Giuseppe Coniglio »




L’attrazione maggiore di Pazzano è il Santuario di S. Maria della Stella, posto a 650 m di altezza sul monte Stella, le cui rocce sono costituite da calcari del Giurassico.


« Saldo t'innanzi e come sempre care
mi sono le tue falde e le tue cime
non ti posso mirare senza sognare
non ti posso mirar senza far rime. »

(poeta dell'ottocento; citato in Mario Squillace,
L'Eremo di S. Maria della Stella, edizione Grottaferrata, 1965)

È un eremo bizantino posto in una grotta a cui si accede da una strada che s’inerpica in un territorio molto impervio e che custodisce la statua della Vergine.

-Si racconta che la statua, trasportata su una barca presso punta Stilo, abbia fatto intuire ai marinai, tramite una grande luce che splendeva sul monte Stella, la volontà di voler prendere dimora in quel luogo e che, trasportata su da due buoi, attraverso la vallata, arrivata in grotta, abbia lottato contro satana prendendo possesso del luogo-.




La bianca statua marmorea, della bottega del Bonanno è del 1562 e fu posta sull’altare in sostituzione dell’icona della Madonna di culto ortodosso.

« Accui nci cerca grazzia nci nda duna
cu avi u cori offisu nci lu sana
E io, Madonna mia nda ciercu una
nchianati 'n paradisu st'arma sana>>

tratto da un canto popolare

All’eremo si accede scendendo una lunga scalinata di 62 scalini) scavata nella pietra.



 


Di particolare interesse all’interno della grotta è il frammento di un affresco di arte bizantina, raffigurante Santa Maria Egiziaca che riceve l'eucarestia dal monaco Zosimo. L'affresco che si ritiene sia del secolo XIV ca., è il più antico affresco bizantino dell’Italia meridionale. (da: Viaggio nella riviera dei gelsomini).

-Qui salirono or sono mille e trecento anni (sec. VIII) i primi monaci greci per vivere nelle grotte eremitiche la più macerante e severa ascesi anacoretica. Il pellegrino che sale all'Eremo di Montestella, percorrendo la strada da Pazzano o da Stilo, resta sensibilmente colpito dal luogo, un abisso nelle viscere della terra ove per due secoli circa gli Eremiti vissero in contemplazione, in preghiera, in mortificazione. La Grotta non è altro che una escavazione naturale nelle pendici della montagna, un rifugio per proteggersi dalle intemperie: in essa si trovava una cuccetta, uno stipetto al muro, dove si depositava il Salterio, qualche icona e qualche manoscritto biblico o di contenuto ascetico.

Il cibo era costituito da quello che le pendici del monte producevano, mentre le mortificazioni corporali erano addirittura inaudite. Le incursioni saracene costrinsero l'Egumeno dell'Eremo a fuggire salvando dei codici preziosi che i monaci avevano trascritto. Cessate le invasioni saracene il successore dell'Egumeno tornò riportando molti dei manoscritti che costituirono il primo fondo di biblioteca nel cenobio di Santa Maria. Da Eremo, di vita intensamente anacoretica e rigorosa, Santa Maria della Stella diviene Monastero (minore) coi Normanni…-




Uno dei luoghi della Locride di grande intensità spirituale è la Certosa di Serra San Bruno.



San Bruno, fondatore dei Certosini, nacque a Colonia, in Germania, nel 1030.


Dalla Francia dove aveva dimorato, scese in Calabria dove fondò la Certosa di Serra san Bruno e dove morì nel 1101.
Il Santo descrisse la natura del luogo ricevuto in dono in una lettera indirizzata a Rodolfo il Verde, uno dei due compagni che fecero insieme a lui, nel giardino di Adamo, il voto di consacrarsi alla vita monastica:

«In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l'aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili».(San Bruno, Lettera a Rodolfo il Verde, 1097)

Cari lettori, termina con Serra San Bruno il nostro viaggio nella Locride. Spero che le sue perle che vi ho descritto suscitino in voi e in ogni visitatore   l'amore e l'emozione che io ho sentito e che sento per questo territorio dopo d'averlo visitato.
Il mio è un invito a conoscere  La Locride per  poter apprezzare e amare questo territorio per ciò che possiede come eredità storica, per ciò che può mostrare, per tutto ciò  che sa donare con lo spirito dell'ospitalità.

Anna Lanzetta