Jean Baptiste Camille
Corot, Ragazza che legge, 1868
La lingua è l’identità di un
popolo a come tale, nell’utilizzo, è il biglietto di presentazione di ognuno di
noi. Nel tempo però si è deteriorata e lo dimostrano chiaramente gli scritti di
studenti universitari, che dopo un ciclo di studi completo, sono ancora intrisi di errori intollerabili, come è stato
di recente denunciato. La colpa purtroppo non è da attribuire ai ragazzi ma a
chi ne ha omesso il corretto utilizzo.
Il problema non è nuovo, ma mai
come ora appare in tutta la sua
complessità e pone l’esigenza di essere
seriamente affrontato, certamente non dall’alto, visto che tutti i tentativi di
riforme non hanno dato risultati soddisfacenti.
Dobbiamo essere noi, insieme, di
comune accordo, a riprenderci tra le mani la nostra cultura e ridare dignità
alla nostra lingua. Il problema non è semplice da affrontare, dopo che per anni
non sono stati utilizzati gli strumenti di base che nel passato ci avevano
guidato, ma dobbiamo agire con urgenza per riportare gradualmente la nostra
lingua al modello che tutti ci hanno invidiato e che oggi risulta essere
patrimonio di pochi. Ripercorrere le nostre orme dal punto di vista
didattico-metodologico non è regresso bensì consapevolezza. Il compito non è facile, ma diventa possibile
se da parte di tutti si pone la dovuta attenzione nella scelta delle parole e
alla loro valenza espressiva. Penso, e l’esperienza me lo detta, che l’uso quotidiano del vocabolario, del
dizionario, di una grammatica che contenga tutte le sezioni del “sapere e del
saper fare” sia un ottimo aiuto, per parlare
e scrivere in modo corretto.
Il pensiero,
per risultare funzionale alla comunicazione ed esempio per un parlare
privo di errori, di improprietà e di imprecisioni, deve essere formulato in modo chiaro, semplice
e lineare, struttura che richiede la conoscenza di tutte le regole grammaticali;
la presenza di errori dimostra scarsa conoscenza della lingua e toglie il
piacere della lettura e dell’ascolto.
Compito doveroso di ognuno è
quello di educare e formare, e per arginare il problema della lingua, siamo chiamati tutti a collaborare. Se alla
scuola è demandato il compito di insegnare, nei vari cicli, le regole per la corretta lettura e scrittura,
la famiglia diventa per i bambini e i ragazzi un’interlocutrice fondamentale per
seguirli nello studio e correggerne le espressioni. Ma altrettanto fondamentale è il ruolo della
società e di coloro che ne occupano i vari settori, specialmente quelli più
alti, perché chi parla e chi scrive è
responsabile dei gesti e del linguaggio che usa.
Noi adulti siamo i modelli dei
nostri ragazzi che fin da bambini ci seguono nei comportamenti e nel linguaggio
e se vogliamo arginare il problema, colmandone le lacune, dobbiamo insegnargli, previa conoscenza delle
regole, a riflettere prima di operare, a dare un senso, con un corretto
costrutto, al pensiero, ad avere rispetto per la parola, con scelte oculate,
per evitare termini inadatti e impropri. Dobbiamo abituarci e abituare i nostri
ragazzi al vecchio metodo, che oggi, secondo il mio punto di vista, può essere di nuovo funzionale allo scopo, di studiare sui testi, di
vedere nel libro, l’amico da seguire, di
abituarli a non essere frettolosi e superficiali ma a dare corpo e sostanza
alla parola, di controllare, di
confrontare, di verificare ciò che si dice e ciò che si scrive, di essere
critici nei confronti di ciò che si legge o si ascolta. È la pratica quotidiana che può aiutarci tutti a
colmare un vuoto, lasciato per molto tempo aperto, e a salvare la nostra lingua
e con essa, la nostra identità.
Non dobbiamo mai dimenticare che,
come diceva un vecchio film, “i bambini ci guardano” , i ragazzi ci guardano e ci imitano, siamo i
loro modelli, esempi da seguire, nostra è la responsabilità se non sanno.
Dobbiamo sanare questa crepa, non
possiamo e non dobbiamo più sottrarci al nostro dovere di educatori, i nostri
ragazzi e le future generazioni ce lo
chiedono.
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